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Si vis pacem, para bellum? Come la mediazione avrebbe risolto i conflitti nell'antica Roma

Spunti di riflessione
MEDIAZIONE
Ph. Giacomo Martini / MEDIAZIONE

Si vis pacem, para bellum? Come la mediazione avrebbe risolto i conflitti nell'antica Roma. Spunti di riflessione

L'importanza della mediazione nella regolazione dei rapporti sociali

Abstract

La seguente disamina si occupa di affrontare il ruolo del mediatore fin dai tempi più remoti. In maniera particolare, lo scritto si occupa di svolgere una sintetica riflessione sul modo in cui alcuni conflitti storici dell’Antica Roma, si sarebbero potuti risolvere con l’intervento di n facilitatore della comunicazione.

Abstract

The following examination deals with the role of the mediator since ancient times. In particular, the paper deals with carrying out a synthetic reflection on the way in which some historical conflicts of Ancient Rome could have been resolved with the intervention of a facilitator of communication. 

 

Indice:

Si vis pacem, para bellum?

Lo storico conflitto tra patrizi e plebei

Conclusioni

 

Si vis pacem, para bellum?

 

"Se vuoi la pace, prepara la guerra”: il detto latino  è ricavato per condensazione dalla frase di Vegezio “Igitur qui desiderat pacem, praeparet bellum”, letteralmente “Dunque chi aspira alla pace, prepari la guerra”. Flavio Vegezio Renato era un funzionario imperiale dell’epoca di Teodosio (IV – V secolo d.C.), noto per la sua opera sull’arte della guerra “Epitoma rei militaris”.

Da allora il motto è stato ripetutamente utilizzato negli studi politici (ad es. nel “Principe” di Machiavelli) e nelle relazioni internazionali per legittimare il principio della deterrenza o dissuasione, ovvero la costituzione di un apparato militare paragonabile a quello di un nemico attuale o potenziale, come sistema di equilibrio tra le potenze per evitare i conflitti.

Il conflitto è quindi antagonismo tra due tesi opposte, ossia quella situazione che si determina tutte le volte che su un individuo agiscono contemporaneamente due forze psichiche di intensità più o meno uguale, ma di opposta direzione.

L’esperienza dimostrerebbe che si conduce più agevolmente una trattativa di pace e si raggiunge più facilmente un accordo di civile coesistenza o almeno un patto di non aggressione quando sussiste una condizione di parità di armi offensive, naturalmente a condizione di riuscire a limitarne l’uso semplicemente come un deterrente.

In una situazione di contesa quindi, quando le armi della diplomazia sono spuntate o si sono esaurite, l’ultima chance sembra quella di tirare fuori le unghie e prepararsi ad uno scontro.

Questo aspetto appena analizzato come possiamo trasmutarlo in mediazione?

È evidente che trovare una risoluzione a una controversia non è sempre semplice, specie se non si analizzano le ragioni che ne stanno alla base. Compito del mediatore diventa quindi quello di analizzare le motivazioni che hanno spinto i litiganti al conflitto, se vi erano già presenti situazioni di disagio, o in maniera particolare quali bisogni delle parti non siano stati soddisfatti.

Oggi abbiamo la figura del mediatore istituito con il dlgs.28/2010, ma nella storia in particolare nel diritto romano, vi era una figura che sostituisce quella dell'odierno mediatore?

Analizziamo quanto appresso più nel dettaglio.


Lo storico conflitto tra patrizi e plebei

Prendiamo ad esempio il conflitto tra patrizi e plebei ovvero nelle fazioni tra optimates e populares, scontro politico basilare nell'antica Repubblica romana, basato  sul desiderio e senso del diritto della plebe di raggiungere le più alte cariche governative e la parità politica, onde assicurarsi un trattamento equo e non di sfruttamento.

Come vediamo, alla base delle storico conflitto vi era un particolare desiderio, quindi bisogno, che la plebe voleva vedere soddisfatto.

Fin dalla nascita della Repubblica la popolazione di Roma era divisa in due parti: il patriziato e la plebe e le teorie su questa suddivisione sono diverse, si sostiere

- che i patrizi fossero i discendenti dei primi senatori e i plebei i clienti dei patroni patrizi;

- che i patrizi fossero i Latini, abitanti del Palatino e i plebei i Sabini insediati sul Quirinale ed entrati a far parte della società in un secondo tempo e pertanto in una condizione di inferiorità;

- che i patrizi fossero i grandi proprietari terrieri e i plebei i ceti emergenti economicamente tenuti in una condizione di inferiorità.

Secondo la tradizione fu a Romolo a creare cento senatori (patres), i cui discendenti furono detti patrizi, e tutti gli altri erano plebei. Per altri le gentes patrizie erano antiche organizzazioni politiche, anteriori alla civitas; quindi i patrizi sarebbero i membri (gentiles) di queste genti unitesi a formare la civitas originaria.

Per altri ancora, i patrizi sarebbero sorti dalla solidarietà di interessi di famiglie divenute ricche e potenti, e anche piuttosto imparentate.

Come si evince, le cause dei contrasti sociali tra le due parti furono comunque di natura sia economica che politica, essendo chiaro per i plebei che se non si riscattavano politicamente non avrebbero neppure ottenuto un'equità economica.

Tito Livio, nella sua Ab Urbe Condita, narra che i patrizi, una volta preso il potere esecutivo detronizzando Tarquinio il Superbo e cacciando definitivamente la monarchia nel 509 a.c., stabilirono di limitare ai soli componenti del loro ordine il governo annuale della città con il titolo di console.

Le continue guerre di Roma con i popoli vicini rendevano spesso impossibile alle famiglie agricole plebee, private dei maschi della famiglia per il lavoro dei campi, pagare i debiti che contraevano per sopravvivere durante la loro assenza.

Allora dovettero intervenire le leggi a calmare le acque, intorno al 450 a.c. circa, quando vennero promulgate le XII tavole da parte dei Decemviri. Le XII Tavole in realtà non introdussero grandi novità, perché i Decemviri si sarebbero limitati a redigere per iscritto gli antichi mores, cioè i costumi vigenti in quell'epoca: codificarli significava però che i patrizi non potessero modificare i costumi a proprio vantaggio.

La riflessione si sposta a questo punto su un altro piano: se non vi fossero state le XII Tavole, come si sarebbe concluso lo storico conflitto? Era proprio necessario attribuire il ruolo di mediatore alla "legge"?


Conclusioni

Il termine conciliatio ha in tarda epoca repubblicana (dal 116 al 27 a. C.) un diverso etimo rispetto a quello che diamo noi oggi alla conciliazione ove il conciliatore svolge un ruolo attivo che può anche incentrarsi su una proposta.

Ancora più lontano da quello di “mediazione” ossia della facilitazione della comunicazione tra le parti e del soddisfacimento degli interessi. Ad esempio, il sensale era un mediatore in affari e contratti di vario tipo e fungeva da intermediario tra venditore e acquirente, nell'avvio, definizione e stipulazione di accordi, transazioni.

Lo stesso vocabolo mediator aveva presso i Romani a che fare con il commercio. Essi intendevano colui che indagando la volontà e la convenienza dei negozianti,  si intrometteva tra di loro per trattare e concludere tra di essi un’operazione lecita ed onesta.

In conclusione quindi, alla luce di quanto sopra, lo storico conflitto tra patrizi e plebei, prima ancora che alla Legge, si sarebbe potuto risolvere con l'intervento di un mediator, quale facilitatore della comunicazione ed ottima arma di risoluzione pacifica delle controversie, prima ancora dell'intervento della Legge, quale autorità statale.

Dobbiamo perciò riflettere sull'importanza del mediatore nella regolazione dei rapporti sociali, facilitatore della comunicazione tra le parti, arma pacifica di risoluzione di conflitti, di qualsiasi conflitto anche dei più ardui e difficoltos