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La riforma Cartabia ed il nuovo contenzioso condominiale

Riforma Cartabia e condominio
Riforma Cartabia e condominio

La riforma Cartabia ed il nuovo contenzioso condominiale

 

Una riforma efficientista

Gli obiettivi che la riforma Cartabia si è posta, ben lungi dall’ambire a rendere più efficace il sistema giudiziario del Paese, e dunque di fornire una risposta adeguata e competente al cittadino, alla impresa o all’ente che chiede di ottenere tutela – o, se si preferisce, “Giustizia” – si è posta l’obiettivo, neppure minimamente malcelato, di rendere semplicemente più efficiente il sistema giudiziario, indipendentemente – e talora, forse spesso, a discapito – dalla sua efficacia e ciò nel chiaro intento di consentire la percezione dei fondi del PNRR, e dunque con una prospettiva meramente finanziaria.

L’efficienza aziendalistica, tuttavia, se ben si attaglia ad un sistema produttivo, faticosamente trova la sua collocazione in un sistema – quale quello giudiziario - la cui funzione non consiste, solamente, nel dare risposte in tempi celeri a chi vi accede, ma nel dare risposte giuste in tempi celeri, a chi vi accede e dunque nel premiare – parimenti – l’efficienza con l’efficacia.

Lo spirito che ha animato il legislatore della riforma, pertanto, ha pesantemente segnato i provvedimenti che la compongono e che qui brevemente analizzeremo nel dettaglio, esaminando in particolare quelle modifiche che incidono sul contenzioso in materia condominiale con particolare riferimento al procedimento di mediazione.
 

La mediazione: lo stato dell’arte

Esaminando i dati del Ministero della Giustizia in materia di mediazione si rileva come la durata media delle procedure di mediazione introdotte dal 2015 al 2022 sia aumentata da 103 a 186 giorni.

Quanto al numero delle procedure, dal 2014 ad oggi, salvo un picco nel 2015, dovuto verosimilmente alla recente reintroduzione della obbligatorietà nelle principali materie di lite, e fatta salva, altresì, una diminuzione nel 2020 a causa della pandemia, si può notare come i procedimenti introdotti annualmente siano oggi attestati circa sul numero di 150.000.

Di tali procedimenti, si stima che circa 20.000 siano relativi all’ambito condominiale, strettamente inteso, mentre ampliando il campo all’ambito dei diritti reali, dei procedimenti divisori, delle locazioni e dei comodati e dunque più in generale all’ambito immobiliare, si giunge a circa 70.000 procedimenti, che – ove sommati agli 8.000 relativi alle successioni ereditarie che, verosimilmente, contemplano quasi sempre questioni di carattere immobiliare – vanno a costituire la metà del numero complessivo delle mediazioni azionate.

Dall’analisi dei dati emerge, inoltre, come in materia condominiale risulti oltre la metà (54,2%) dei chiamati.

In generale, inoltre, la percentuale di successo dei procedimenti si attesta negli ultimi anni intorno al 28% al primo incontro, mentre aumenta intorno al 47% se si accede alla mediazione, con un importante effetto deflattivo del contenzioso complessivo.
 

La nuova mediazione

L’avvento della riforma Cartabia conduce ad una radicale revisione delle procedure di mediazione: i dati che emergeranno dal prossimo futuro ci diranno se tale novella legislativa ha inciso favorevolmente o negativamente sulla efficacia delle mediazioni, e non solo sulla loro efficienza.

Non sembra casuale, infatti, che il legislatore abbia deciso di limitare a tre mesi, prorogabili di altri tre mesi, la durata della procedura di mediazione, così circoscrivendola al periodo di 180 giorni che le statistiche ministeriali riportano quale durata media delle procedure azionate.

Una scelta che non appare comprensibile, in realtà: l’esperienza sul campo insegna agli operatori del diritto come il tempo – fino ad ora, teoricamente illimitato – di durata della procedura consentisse alle Parti la possibilità di lasciare decantare le ragioni di lite, aprendo un tavolo di confronto e ricerca di una composizione bonaria, che peraltro ciascuna di esse poteva abbandonare senza obbligo di motivazione, in qualsiasi momento.

Porre una limitazione alla durata della procedura può comportare, invece, il rischio di veder compressa la tempistica più utile alla definizione della controversia in forma pacifica, senza alcun concreto vantaggio, anzi forse con un reale svantaggio, in termini di deflazione del contenzioso.

Di analogo segno paiono le ulteriori modifiche legislative introdotte con la riforma: tra queste, la precisazione che la durata della mediazione non sconta la sospensione feriale (quasi che le parti ed i loro legali dovessero continuare le trattative anche in vacanza…) con un evidente svantaggio per quei procedimenti il cui semestre si sovrappone con il periodo di sospensione dei termini (e delle attività) processuali.

Considerata la natura di condizione di procedibilità del procedimento di mediazione, e tenuto conto degli effetti che la legge riconduce al deposito della domanda, così come al momento in cui termina la procedura, sarebbe stato preferibile ascrivere anche la durata del procedimento di mediazione nell’ambito di quei termini – processuali ed endoprocessuali – che giovano della sospensione feriale.

Viene altresì previsto l’obbligo per l’Organismo di mediazione di fissare – non più entro trenta giorni dal pervenimento della domanda, ma – non prima di venti e non oltre quaranta giorni dalla ricezione della domanda, il primo incontro di mediazione.
 

Nuovi poteri e responsabilità per l’amministratore condominiale

Prevede il novellato art. 5 ter del D.lgs. 28/2010, come l’amministratore sia “legittimato ad attivare un procedimento di mediazione, ad aderirvi e a parteciparvi.”

La facoltà, riconosciuta all’amministratore, di scegliere se attivare o se aderire e partecipare, ad una procedura di mediazione, ne comporta, quale rovescio della medaglia, la corrispondente responsabilità.

Si tratta di una eccezione al generale principio di sovranità dell’assemblea condominiale, che implica per il professionista (o, quel che è peggio, per il condòmino) incaricato di amministrare l’ente di gestione, l’onere di scegliere se attivare o se non attivare una procedura e, non da ultimo, se aderirvi o non aderirvi, con ogni conseguenza di legge in merito alla condotta che lo stesso deciderà di fare assumere al condominio.

Si tratta, inoltre, di un ampliamento dei poteri di lite che l’amministratore possiede per il compimento degli “atti conservativi delle parti comuni dell’edificio” ex art. 1130 co. 1 n. 4) c.c., poiché l’amministratore potrebbe attivare procedure di mediazione anche in merito a tematiche non strettamente connesse ai detti atti conservativi ed anche in relazione a materie non obbligatorie.

Prosegue la norma, statuendo che “il verbale contenente l'accordo di conciliazione o la proposta conciliativa del mediatore sono sottoposti all'approvazione dell'assemblea condominiale, la quale delibera entro il termine fissato nell'accordo o nella proposta con le maggioranze previste dall'articolo 1136 del codice civile. In caso di mancata approvazione entro tale termine la conciliazione si intende non conclusa.”

Si fissa dunque un termine, che viene lasciato alla libera determinazione delle Parti, entro il quale deve deliberarsi da parte dell’assemblea sulla approvazione o sul respingimento della ipotesi di accordo.

Chiarisce il nuovo testo normativo come debbano, a tal fine, farsi valere le maggioranze di cui all’art. 1136 c.c. e ciò con l’intento di ricondurre alla maggioranza specificamente prevista dalla legge, secondo l’oggetto della singola delibera, il criterio di approvazione della stessa, evitando interpretazioni incerte della norma.