La competenza territoriale degli organismi di mediazione nel sistema delineato dalla Riforma Cartabia: tra vincoli normativi, autonomia privata e funzione deflattiva del processo

La competenza territoriale degli organismi di mediazione nel sistema delineato dalla Riforma Cartabia: tra vincoli normativi, autonomia privata e funzione deflattiva del processo
Premessa
La disciplina della competenza territoriale degli organismi di mediazione è stata oggetto, a partire dalla novella del 2013, di un’evoluzione normativa e interpretativa che trova oggi un nuovo punto di approdo nella Riforma Cartabia.
Il d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, in attuazione della legge delega 26 novembre 2021, n. 206, ha inciso sul d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28, rafforzando il principio secondo cui la domanda di mediazione deve essere radicata presso un organismo localizzato nel circondario del giudice territorialmente competente per la controversia.
L’intervento normativo ha recepito l’orientamento giurisprudenziale e dottrinale volto a limitare il fenomeno del c.d. “forum shopping” nella mediazione, attribuendo al criterio territoriale un valore determinante ai fini della validità del tentativo di mediazione, laddove questo costituisca condizione di procedibilità della domanda giudiziale ex art. 5, comma 1, d.lgs. 28/2010.
La genesi del principio di corrispondenza tra organismo e foro
Nel testo originario del d.lgs. n. 28/2010 mancava qualsiasi riferimento ad un criterio di competenza territoriale degli organismi di mediazione. La Relazione illustrativa giustificava tale omissione con l’intento di evitare la giurisdizionalizzazione della mediazione, lasciando libertà alle parti nella scelta dell’organismo. Tuttavia, già nella prassi applicativa emerse il rischio concreto di strumentalizzazioni: la scelta dell’organismo, localizzato in sedi lontane dal domicilio della parte invitata, diventava un mezzo per ostacolare o disincentivare la partecipazione alla procedura.
Per porre rimedio a tale distorsione, il d.l. 21 giugno 2013, n. 69, convertito con modificazioni dalla l. 9 agosto 2013, n. 98, ha modificato l’art. 4, comma 1, del decreto, imponendo che la domanda fosse depositata presso un organismo «nel luogo del giudice territorialmente competente per la controversia». Con la Riforma Cartabia, il medesimo criterio è stato confermato e ampliato, includendo anche una disciplina specifica per il caso di pluralità di domande.
Competenza territoriale e funzione deflattiva: una relazione necessaria
Il radicamento della domanda presso un organismo localizzato nel circondario del giudice competente per la controversia risponde ad un’esigenza di effettività della mediazione come strumento deflattivo. La finalità di incentivare la partecipazione delle parti – in particolare del convenuto – alla procedura non può essere perseguita in assenza di un criterio oggettivo e vincolante che favorisca la prossimità territoriale tra le parti e l’organismo.
In quest’ottica, la Corte di Cassazione (cfr. Cass. civ., sez. III, 2 settembre 2015, n. 17480) ha affermato che il rispetto della competenza territoriale costituisce un presupposto imprescindibile per la validità del tentativo di mediazione obbligatoria, sancendo un legame sistematico tra la disciplina della competenza giudiziale e quella della mediazione.
La deroga convenzionale della competenza: tra autonomia privata e limiti impliciti
Una delle novità più significative introdotte dalla Riforma Cartabia consiste nella possibilità di derogare convenzionalmente alla competenza territoriale dell’organismo, anche in relazione a controversie per le quali la competenza del giudice non è derogabile. Tale opzione normativa apre interessanti prospettive teoriche in merito alla natura convenzionale della mediazione e al ruolo dell’autonomia privata nei procedimenti ADR.
Tuttavia, il testo normativo si astiene dal precisare in quali forme debba manifestarsi l’accordo derogatorio. Tale silenzio lascia spazio a diverse interpretazioni: può l’accordo essere implicito, ad esempio, mediante la mancata contestazione della sede da parte dell’invitato? È sufficiente la presentazione congiunta della domanda? È valida una clausola contrattuale di mediazione con indicazione dell’organismo?
Una lettura sistematica, coerente con l’assetto del codice di procedura civile, porterebbe a ritenere valide anche le manifestazioni tacite di volontà (facta concludentia), purché univoche e inequivoche. Tale impostazione valorizza la flessibilità della mediazione e limita l’uso strumentale delle eccezioni processuali.
L’interpretazione giurisprudenziale: tra improcedibilità e inefficacia
Sul piano applicativo, la giurisprudenza non ha fornito soluzioni univoche. Alcune pronunce (Trib. Foggia, 19 luglio 2021, n. 1831; Trib. Torino, 16 ottobre 2022, n. 2577; Trib. Milano, 13 gennaio 2023, n. 220) ritengono che la domanda proposta presso un organismo incompetente produca un effetto nullo, qualificandola come inefficace. Altre, come la recente sentenza del Tribunale di Modena del 15 febbraio 2024, n. 405, optano per la soluzione dell’improcedibilità, in coerenza con l’art. 5, comma 1, d.lgs. 28/2010.
Tale divergenza ha conseguenze rilevanti: se si opta per la tesi dell’inefficacia, la parte potrebbe riproporre validamente la mediazione; se si aderisce alla tesi dell’improcedibilità, il giudice potrebbe dichiarare inammissibile la domanda giudiziale, con effetti preclusivi sull’accesso alla tutela giurisdizionale.
Le sedi secondarie e la posizione degli organismi pubblici: criticità irrisolte
Il riferimento al “luogo del giudice competente” ha generato non pochi problemi interpretativi, soprattutto con riferimento agli organismi dotati di sedi plurime o che operano a livello regionale o interprovinciale, come le Camere di Commercio.
La circolare ministeriale del 27 novembre 2013 ha chiarito che, ai fini della competenza territoriale, è sufficiente che l’organismo abbia una sede principale o secondaria regolarmente comunicata e iscritta nel registro tenuto dal Ministero della Giustizia, all’interno del circondario del giudice competente.
Tuttavia, la questione resta controversa per gli organismi pubblici con competenza ultraterritoriale, i quali non sono tenuti – in forza di alcuna previsione normativa – ad istituire sedi secondarie in ciascun circondario. Appare quindi eccessivamente formalistica un’interpretazione che escluda tali organismi solo in virtù dell’assenza di una sede fisica nel singolo distretto giudiziario.
Mediazione telematica e irrilevanza del criterio territoriale ai fini dello svolgimento
Un ultimo aspetto riguarda la mediazione svolta in modalità telematica. La possibilità di svolgere incontri da remoto non incide sulla determinazione della competenza territoriale, che deve comunque essere verificata in base alla sede fisica dell’organismo. La natura meramente funzionale della modalità telematica non altera la disciplina sostanziale, né modifica i criteri di localizzazione della domanda, che rimangono ancorati al territorio.
Conclusioni
La disciplina della competenza territoriale degli organismi di mediazione costituisce uno snodo cruciale nel bilanciamento tra rigore normativo e flessibilità procedurale. La Riforma Cartabia ha reso più chiara la cornice normativa, ma ha lasciato aperti diversi margini di incertezza interpretativa.
In prospettiva, sarà fondamentale un intervento chiarificatore – sia da parte del legislatore sia da parte della giurisprudenza di legittimità – volto a garantire certezza del diritto e coerenza sistematica. La mediazione, quale strumento di giustizia complementare, può svolgere pienamente la sua funzione solo se inserita in un quadro normativo stabile, proporzionato e orientato alla tutela effettiva dei diritti.