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L’abbattimento delle barriere architettoniche in condominio

Maggioranze assembleari e responsabilità dell’amministratore
barriere architettoniche
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L’abbattimento delle barriere architettoniche in condominio

Maggioranze assembleari e responsabilità dell’amministratore

 

La tematica dell’abbattimento delle barriere architettoniche in ambito condominiale è caratterizzata da una ampia casistica ed una ampiezza applicativa che non la rende di semplice interpretazione.

Essa è disciplinata dal combinato disposto di diverse normative, ed in particolare:

  1. dalla l. 13 del 9.1.1989 e dal suo regolamento attuativo, emanato con D.M. Ministero dei Lavori Pubblici in data 14.6.1989 n. 236;
  2. dall’art. 1120 co. 2 c.c. che rinvia all’art. 1136 co. 2 c.c.;
  3. dall’art. 10 co. 3 D.L. 16.7.2020 n. 76 (c.d. Decreto Semplificazioni);
  4. (per il periodo di competenza, ovvero sino al 31.12.2025 ed in relazione ai lavori ivi disciplinati) dall’art. 119 ter d.l. 34/2020 convertito dalla l. 17.7.2020 n. 77 (relativo alla detrazione del 75% per gli interventi aventi ad oggetto l’abbattimento delle barriere architettoniche) come novellato dalla l. 197 del 29.12.2022 (c.d. Finanziaria 2023).

Prima di analizzare brevemente il contenuto di tali norme, occorre preliminarmente chiarire quale sia l’oggetto della tematica, richiamando l’enunciazione che lo stesso regolamento attuativo, all’art. 2, espone in relazione alla definizione di barriere architettoniche, per le quali, si intendono:

a) gli ostacoli fisici che sono fonte di disagio per la mobilità di chiunque ed in particolare di coloro che, per qualsiasi causa, hanno una capacità motoria ridotta o impedita in forma permanente o temporanea;

b) gli ostacoli che limitano o impediscono a chiunque la comoda e sicura utilizzazione di parti, attrezzature o componenti;

c) la mancanza di accorgimenti e segnalazioni che permettono l'orientamento e la riconoscibilità dei luoghi e delle fonti di pericolo per chiunque e in particolare per i non vedenti, per gli ipovedenti e per i sordi.

Come si noterà, la definizione che viene data è particolarmente ampia e ne discende, pertanto, una casistica variegata che conduce ad una diversità di impostazioni interpretative.

Al fine dell’abbattimento delle barriere architettoniche, come sopra definite, è consentito al singolo condomino o partecipante alla comunione di “realizzare a proprie spese ogni opera di cui agli articoli 2 della legge 9 gennaio 1989, n. 13, e 119 del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, anche servendosi della cosa comune nel rispetto dei limiti di cui all'articolo 1102 del codice civile.

Tale disposizione, introdotta con l’art. 10 co. 3 del già menzionato Decreto Semplificazioni, amplia decisamente il campo di intervento ed attribuisce al singolo condomino un potere sulla cosa che può divenire fonte di contenzioso, in quanto viene autorizzato all’uso della cosa comune, pur nei limiti di cui all’art. 1102 c.c. il quale prevede il noto limite del pari uso della stessa tra tutti i partecipanti alla comunione o al condominio.

L’effettivo rispetto di tale limite dovrà essere, dunque, in primo luogo, valutato dall’amministratore, al quale spetta l’onere, di cui all’art. 1130 co. 1 n. 4) c.c. di “compiere gli atti conservativi relativi alle parti comuni dell’edificio” e dunque di tutelare il condominio nel caso in cui l’uso delle predette parti comuni ecceda i limiti previsti dall’art. 1102 c.c.

Spetterà all’amministratore, pertanto, il compito di valutare preliminarmente se l’intervento operato dal singolo condomino rientri o meno in tali limiti e, in caso di violazione o – semplicemente – di dubbio per l’eventuale articolazione e complessità della questione, chiamare a riunirsi l’assemblea perché deliberi sul punto, eventualmente con l’ausilio di legali e tecnici che valutino la tematica.

Ove il singolo condomino non si attivasse, anche in quanto l’intervento “a proprie spese” appare l’extrema ratio a seguito di un’inerzia dell’assemblea, la strada maestra rimane la convocazione assembleare per decidere sull’opera proposta.

L’assemblea, regolarmente convocata e riunitasi secondo le maggioranze costitutive di legge, delibererà nei termini previsti dall’art. 1120 co. 2 c.c., ovvero con la maggioranza di cui all’art. 1136 co. 2 c.c., e dunque la maggioranza degli intervenuti e la metà del valore dell’edificio.

Precisa l’art. 2 co. 1 della l. 13/1989 come tale maggioranza è applicabile “in prima o in seconda convocazione”.

Chiarisce, infine, la medesima norma come “le innovazioni di cui al presente comma non sono considerate in alcun caso di carattere voluttuario ai sensi dell'articolo 1121, primo comma, del codice civile. Per la loro realizzazione resta fermo unicamente il divieto di innovazioni che possano recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato, di cui al quarto comma dell'articolo 1120 del codice civile”.

Va annotato dunque come il Legislatore abbia cercato di semplificare massimamente l’approvazione di tali opere, elidendo, tra gli altri, i limiti imposti dal codice in caso di opere gravose o voluttuarie e quindi non consentendo che una parte dei condòmini potesse sottrarsi alle spese per l’abbattimento delle barriere architettoniche.

Inoltre, se si indica il limite del pregiudizio alla stabilità ed alla sicurezza, va evidenziato come il Legislatore non riporta – pare di dedurne, consapevolmente – il limite del decoro architettonico dell’edificio, il quale viene normalmente indicato nel resto della normativa codicistica in materia condominiale quale limite alla realizzazione di opere comuni o di iniziativa privata (a titolo esemplificativo, si vedano le disposizioni in tema di innovazioni, ex art. 1120 c.c., in tema di opere su parti di proprietà od uso individuale ex art. 1122 c.c. o in tema di sopraelevazione ex art. 1127 c.c.).

Va evidenziata, infine ma non da ultimo, l’importante eccezione al quorum previsto per la delibera che avesse ad oggetto un’opera inclusa tra quelle previste dall’art. 119 ter del D.L. 34/2020, la quale, fino alla data del 31.12.2025, può essere approvata con “la maggioranza dei partecipanti all'assemblea che rappresenti almeno un terzo del valore millesimale dell'edificio.