Dissenso del condòmino rispetto alla decisione di resistere al ricorso di terzi: diritto di sottrarsi al pagamento di interessi e danni

Condominio
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Dissenso del condòmino rispetto alla decisione di resistere al ricorso di terzi: diritto di sottrarsi al pagamento di interessi e danni

ABSTRACT: Nel caso in cui il condominio abbia deliberato, con la maggioranza prevista dalla legge, di resistere ad un ricorso proposto da terzi (p. es. la Ditta esecutrice di lavori), si deve ritenere che il condòmino dissenziente, ossia che in assemblea abbia votato contro tale decisione, sia legittimato a pagare direttamente al terzo (proporzionalmente alla quota millesimale o ad altri criteri eventualmente previsti) la somma da questi richiesta, senza essere obbligato a subire gli effetti di una – secondo lui, probabile – sentenza di condanna del condominio agli interessi ed al risarcimento del danno. Ciò sulla base: dell’art. 1137 c.c., che prevede la legittimazione del singolo condòmino ad impugnare una delibera contraria alla legge; dell’art. 1132 c.c., per effetto del quale il dissenso espresso dal condòmino rispetto ad una lite comporta oneri a carico di quest’ultimo solo quando la sentenza sia stata favorevole al condominio (e non anche quando la stessa sia stata di condanna del medesimo); dell’art. 1108 c.c., che vieta gli atti migliorativi dell’immobile nel caso in cui consti il dissenso di un solo condòmino; dell’art. 96 c.p.c., che, in materia di “lite temeraria”, non opera alcuna distinzione tra condanna al pagamento delle spese legali e condanna al risarcimento del danno (a differenza dell’art. 1132 comma 1 c.c., a norma del quale invece il dissenso espresso dal singolo condòmino rispetto alla lite – e quindi l’assenza di qualsiasi “temerarietà” nella medesima – opera solo per quanto attiene alle “spese di giudizio”).

In the event that the condòminium has resolved, with the majority required by law, to resist an appeal brought by third parties (e.g. the Company carrying out the works), it must be considered that the dissenting condòminium member, i.e. the one who voted against such decision in the assembly, is entitled to pay directly to the third party (proportionally to the thousandths share or to other criteria that may be provided for) the sum requested by the latter, without being obliged to suffer the effects of a – in his opinion, probable – sentence condemning the condòminium to interest and compensation for damages. This is based on: art. 1137 of the Civil Code, which provides for the legitimacy of the individual condòminium member to challenge a resolution contrary to the law; art. 1132 of the Civil Code, by virtue of which the dissent expressed by the condòminium member with respect to a dispute entails charges for the latter only when the sentence has been in favour of the condòminium (and not also when the same has been in condemnation of the latter); art. 1108 c.c., which prohibits improvements to the property in the event that there is dissent from only one co-owner; art. 96 c.p.c., which, in matters of “frivolous litigation”, does not make any distinction between a sentence to pay legal costs and a sentence to pay damages (unlike art. 1132 paragraph 1 c.c., according to which the dissent expressed by the single co-owner with respect to the litigation – and therefore the absence of any “frivolousness” in the same – applies only with regard to “court costs”)

Ai sensi dell’art. 1132 c.c.,qualora l'assemblea dei condòmini abbia deliberato di promuovere una lite o di resistere a una domanda il condomino dissenziente, con atto notificato all'amministratore, può separare la propria responsabilità in ordine alle conseguenze della lite per il caso di soccombenza. L'atto deve essere notificato entro trenta giorni da quello in cui il condomino ha avuto notizia della deliberazione”. Viene quindi data al condòmino dissenziente la possibilità di dissociarsi, tramite apposita comunicazione da inviarsi entro 30 gg., dalla decisione del condominio di resistere ad un’azione giudiziale proposta da terzi.

L’espressione “conseguenze della lite per il caso di soccombenza” sta ad indicare la condanna alle spese legali, la quale a sua volta conseguirà alla – assai probabile, secondo l’opinione del condomino dissenziente – condanna al pagamento della prestazione in favore del terzo.

Il comma 2 dello stesso art. 1132 c.c. stabilisce cheil condomino dissenziente ha diritto di rivalsa per ciò che abbia dovuto pagare alla parte vittoriosa”. Cosa sta a significare questa “rivalsa”? Se con essa si intende “il pagamento del corrispettivo dovuto al terzo per la prestazione da questi resa”, ciò non avrebbe senso in quanto la volontà del condòmino dissenziente era sempre stata, fin dall’inizio, quella di provvedere a tale pagamento senza resistere al ricorso proposto dal terzo stesso, e quindi non avrebbe senso che egli si rivalesse sugli altri condòmini chiedendo la restituzione di una somma che lui stesso si era dichiarato pronto a pagare senza andare in giudizio. Allora, l’unico significato attribuibile all’azione di rivalsa sembra essere quello per cui quest’ultima può essere esercitata verso gli altri condòmini al fine di ottenere, a seguito della sentenza di condanna del condominio, la restituzione degli “interessi in quanto questi, a norma dell’art. 1284 comma 4 c.c., decorrono “dal momento in cui è proposta domanda giudiziale”.

Per effetto dell’art. 1132 comma 2 c.c., che parla di “azione di rivalsa”, il condòmino, nonostante che abbia espresso il proprio dissenso dalla decisione della maggioranza di resistere al ricorso proposto dal terzo, si vede comunque costretto a subire gli effetti di un procedimento giudiziale al quale egli non avrebbe mai voluto partecipare, essendo conscio del fatto che molto probabilmente quest’ultimo si sarebbe concluso con una condanna a carico del condominio, come poi infatti è effettivamente avvenuto. Quindi il dissenso di cui al comma 1 della stessa norma comporta l’esenzione soltanto dal pagamento delle spese legali, ma non anche dalla corresponsione degli interessi in corso di causa. Pertanto, non è prevista, per il condòmino dissenziente, la possibilità di procedere, a seguito del manifestato dissenso, al pagamento diretto in favore del terzo, in modo da essere completamente estromesso dal processo: egli è comunque tenuto a subire gli effetti della sentenza di condanna al pagamento degli interessi maturati nell’ambito del giudizio.

Lo stesso discorso si può fare riguardo all’azione di rivalsa mirante ad ottenere dagli altri condòmini, a seguito della pronuncia di condanna del condominio, il rimborso dell’eventuale somma pagata a titolo di “risarcimento del danno”. Anche tale somma, infatti, rientra tra quelle che il condòmino dissenziente “abbia dovuto pagare alla parte vittoriosa”, ex art. 1132 comma 1 c.c. .

La questione, pertanto, è quella di verificare se il condòmino, il quale abbia manifestato in assemblea la volontà di non resistere ad un ricorso da parte di un terzo (p. es. la Ditta esecutrice di lavori) per il pagamento delle proprie spettanze, possa pagare direttamente il terzo stesso (in proporzione alla propria quota millesimale o ad altri criteri eventualmente previsti), sottraendosi pertanto ad una sentenza di condanna al pagamento degli interessi ed al risarcimento del danno, che egli reputi, viste le circostanze, abbastanza probabile (per non dire “certa”).

La previsione del diritto di rivalsa, quale unico strumento tramite cui conseguire il rimborso delle spese sopra citate, sembrerebbe rispondere ad una ratio ben precisa: il condominio, nel caso di coinvolgimento in un’azione giudiziale, è un soggetto con una capacità processuale inscindibile da quella del singolo condòmino, e pertanto quest’ultimo, quand’anche abbia espresso il proprio dissenso rispetto alla decisione della maggioranza di resistere alla suddetta azione, deve comunque rimanere dentro il processo e pagarne le conseguenze.

Va richiamata l’attenzione sulla norma contenuta nell’art. 1137 c.c., che così dispone: “contro le deliberazioni contrarie alla legge o al regolamento di condominio ogni condomino assente, dissenziente o astenuto può adire l'autorità giudiziaria”. La norma non prevede che il condòmino dissenziente, al fine di impugnare la deliberazione, debba proporre un’azione congiuntamente ad altri condòmini: quella di adire il Giudice è una facoltà che ciascun singolo condòmino può esercitare, anche nel caso in cui egli fosse l’unico ad esercitarla. Il discorso è, allora, il seguente: la legge, come attribuisce al singolo condòmino il diritto di adire il Giudice chiedendo che questi riconosca una delibera come illegittima anche quando gli altri condòmini non abbiano proposto tale azione, allo stesso modo dovrebbe riconoscere al medesimo anche il diritto di non essere coinvolto (“dissenziente”) in una causa contro terzi alla quale gli altri condòmini intendano invece partecipare in qualità di parti resistenti.

Inoltre, l’esercizio dell’azione di rivalsa potrebbe rendere necessaria l’attivazione, da parte del condòmino dissenziente, di un ulteriore ricorso avverso gli altri condòmini, in quanto non è detto che questi siano disposti a rimborsare al medesimo le somme da questi pagata a titolo di interessi e di risarcimento.

Pertanto, consentire al singolo condòmino dissenziente la facoltà di pagare personalmente il terzo in modo da non essere coinvolto nel ricorso e quindi da evitare la condanna alle suddette spese, contribuirebbe a tutelare il principio di economicità dell’attività giurisdizionale, in quanto in tal caso il condòmino stesso non avrebbe poi alcun motivo di proporre un’azione giudiziale di regresso contro gli altri condòmini per ottenere il rimborso delle medesime, e non appare superfluo ricordare che il principio sopra citato ha una rilevanza costituzionale (art. 97 Cost. ).

Si consideri, poi, che, in base al comma 3 dell’art. 1132, il condòmino, il quale in assemblea aveva espresso il proprio dissenso in merito alla decisione dell’assemblea di resistere al ricorso, sarà tenuto, nel caso (per lui inaspettato) che il ricorso venga respinto e che quindi la decisione del condominio si riveli vittoriosa, a concorrere, insieme agli altri condòmini, nel pagamento delle spese legali che non sia stato possibile ripetere dalla parte soccombente. Da tale norma si ricava quindi il principio in base al quale il dissenso del condòmino, quando è stato smentito dal fatto che la sentenza è stata favorevole al condominio, obbliga il condòmino stesso a subire gli effetti di tale sentenza, sotto il profilo della condanna alle spese di giudizio. Quindi, sembrerebbe potersi sostenere anche il principio opposto: il dissenso del condòmino, quando è stato confermato dal fatto che il giudizio si è concluso con una sentenza di condanna a carico del condominio, dovrebbe esentare il condòmino stesso dal pagamento di “qualsiasi” somma conseguente alla condanna (vedi interessi e danni). Di conseguenza, al condòmino il quale abbia espresso il proprio dissenso dalla volontà assembleare, dovrebbe essere attribuito il diritto di provvedere direttamente (in proporzione alla propria quota millesimale o comunque ad altri criteri previsti da eventuali norme speciali) al pagamento in favore del terzo, in modo da consentirgli di sottrarsi al pagamento non soltanto delle spese legali ma anche degli interessi che matureranno in corso di causa e dei danni che verranno eventualmente riconosciuti dalla pronuncia di condanna del condominio. Il dissenso, quindi, dovrebbe poter determinare, in favore del condòmino, un’estromissione totale dal processo, e non soltanto un’estromissione limitata al pagamento delle spese legali.

A ciò si aggiunga che, a norma dell’art. 1118 comma 3 c.c.,il condòmino non può sottrarsi all'obbligo di contribuire alle spese per la conservazione delle parti comuni, neanche modificando la destinazione d'uso della propria unità immobiliare”.

Vietare al condòmino di sottrarsi alle spese da sostenere per la conservazione delle cose comuni appare giustificato in virtù del fatto che in ambito condominiale l’interesse primario da tutelare è quello, per l’appunto, comune.

Invece, imporre al condòmino di subire gli effetti (condanna al pagamento di interessi e danni) di un procedimento giurisdizionale da egli non voluto (il ricorso proposto dal terzo), non è giustificato, in quanto in tal caso si tratta non di spese finalizzate alla tutela di un interesse comune qual è il mantenimento della sicurezza dell’immobile (art. 1118 comma 3 c.c.), bensì di spese relative ad una causa avente ad oggetto il pagamento di una prestazione che, secondo l’opinione del condòmino stesso (poi confermata dalla sentenza!), è stata resa regolarmente e che pertanto deve ricevere il corrispettivo previsto.

 

L’art. 1108 c.c. stabilisce il divieto del condominio, quand’anche questo abbia deliberato con le maggioranze previste dalla legge, di compiere atti eccedenti l’ordinaria amministrazione i quali siano pregiudizievoli all'interesse anche di un solo condòmino. Non si comprende per quale ragione tale interesse possa consentire al singolo condòmino di opporsi al compimento di atti teoricamente comportanti un miglioramento od un più redditizio godimento della cosa comune, e non possa invece permettere al medesimo di esentarsi, mediante il pagamento diretto in favore del terzo creditore, dall’obbligo di subire gli effetti di una sentenza di condanna al pagamento di interessi e danni.

Abbiamo visto che la previsione di un “diritto di rivalsa” da parte del condòmino dissenziente, comporta, a carico del medesimo, l’obbligo di subire la condanna al pagamento degli interessi ed al risarcimento del danno (art. 1132 comma 1 c.c.). Ebbene, anche nelle obbligazioni solidali, che sono generalmente caratterizzate dal fatto che ciascun debitore è obbligato verso il creditore, può accadere che l’obbligazione sia stata contratta nell’interesse esclusivo di uno di essi (art. 1298 c.c.). In tal caso, l’azione di regresso (rivalsa) verso gli altri condebitori non ha luogo in quanto, appunto, l’interesse che aveva determinato il sorgere dell’obbligazione era solo ed unicamente di uno di essi (ossia di chi ha pagato). Quindi, se anche l’obbligazione solidale, che normalmente è caratterizzata dalla presenza di un “interesse comune” a tutti i coobbligati, può essere stata assunta nell’ “interesse esclusivo” di uno di essi e quindi resta a carico solo di quest’ultimo mentre ne sono esenti quelli che non avevano tale “interesse”, allora anche l’obbligo condominiale, conseguente a sentenza di condanna, di pagare interessi e danni, dovrebbe restare a carico solo di quei condòmini i quali avevano espresso “interesse” a resistere all’azione giudiziale del terzo mentre ne dovrebbe essere esente il condòmino il quale aveva espresso il proprio dissenso da tale decisione e che pertanto non aveva manifestato il medesimo “interesse”.

A norma dell’art. 96 c.p.c., se risulta che la parte soccombente ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, il giudice, su istanza dell'altra parte, la condanna, oltre che alle spese, al risarcimento dei danni”. La c.d. “lite temeraria”, ossia quella che la parte – poi soccombente in sentenza – abbia deciso di fare pur dovendo ragionevolmente sapere che poi vi sarebbe stato il rischio di subire una condanna, comporta la condanna della medesima non soltanto alle spese di giudizio, ma anche al risarcimento del danno. Tale principio – che non a caso è previsto anche nel processo amministrativo (art. 26 del D.lgs. 104/2010) – assume una valenza generale, che non sembra poter ammettere deroghe in ambito condominiale. Pertanto, il dissenso del singolo condòmino nei confronti della decisione di resistere all’azione giudiziale proposta dal terzo, e quindi l’assenza di qualsivoglia intento “temerario” di intraprendere un’iniziativa processuale dalla dubbia fondatezza, dovrebbe comportare in favore del medesimo – proprio in conformità all’art. 93 c.p.c. il quale non fa distinzione tra spese legali e risarcimento danni – l’esenzione non solo dal pagamento di tali spese ma anche dalla corresponsione di indennità risarcitorie a favore del terzo stesso.