Kashmir tra diritto internazionale e diplomazia negata: la crisi India–Pakistan minaccia l’equilibrio globale

Kashmir tra diritto internazionale e diplomazia negata: la crisi India–Pakistan minaccia l’equilibrio globale
Confine indo-pakistano – maggio 2025. La Linea di Controllo che separa India e Pakistan nel Kashmir è più di un confine: è il margine instabile di una crisi geopolitica che rischia di degenerare in un conflitto regionale su larga scala. L’operazione aerea condotta dall’India contro obiettivi in territorio pakistano, come risposta all’attentato del 22 aprile a Pahalgam, ha già causato almeno 31 morti e decine di feriti. Le reazioni di Islamabad sono immediate, e lo scambio di accuse si intensifica.
Ma nel rumore delle armi, il diritto tace. E chi non tace, viene ignorato. Violazioni del diritto internazionale?
Secondo l’articolo 2(4) della Carta delle Nazioni Unite, “tutti gli Stati membri si asterranno dalla minaccia o dall’uso della forza contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di qualsiasi Stato”. Un principio cardine del diritto internazionale, oggi apertamente messo in discussione.
L’India ha rivendicato il diritto all’autodifesa contro entità terroristiche transfrontaliere, facendo riferimento all’articolo 51 della stessa Carta, che autorizza la legittima difesa “in caso di attacco armato”. Tuttavia, molti esperti ricordano che l’autodifesa deve essere necessaria, proporzionata e comunicata al Consiglio di Sicurezza. Nulla di tutto ciò è stato formalmente notificato.
Nel frattempo, l’impatto sulla popolazione civile potrebbe configurare violazioni del diritto internazionale umanitario: l’articolo 48 del Primo Protocollo Aggiuntivo alle Convenzioni di Ginevra impone il principio di distinzione tra combattenti e civili. Le immagini provenienti da Muzaffarabad e dalle zone colpite mostrano abitazioni distrutte, scuole danneggiate e ambulanze prese di mira.
Una diplomazia bloccata da decenni…Il conflitto sul Kashmir è uno dei più antichi e irrisolti del mondo. Dall’adozione delle risoluzioni 47 e 80 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (1948 e 1950), che prevedevano un referendum per determinare il destino della regione, nessun progresso significativo è stato compiuto. L’India ha sempre rifiutato l’internazionalizzazione della questione, considerandola una faccenda interna. Il Pakistan, invece, chiede l’applicazione delle risoluzioni ONU e la fine di quella che definisce “l’occupazione indiana del Kashmir”.
Gli strumenti diplomatici esistono, ma restano inutilizzati: dalla mediazione internazionale prevista dall’articolo 33 della Carta ONU, ai meccanismi regionali previsti dalla SAARC (Associazione dell’Asia Meridionale per la Cooperazione Regionale), oggi paralizzata da veti incrociati.
Nel frattempo, la situazione umanitaria si aggrava. Le ONG parlano di una catastrofe silenziosa: mancano medicinali, acqua potabile, rifugi. Secondo le stime preliminari, oltre 12.000 persone sono state sfollate nelle ultime 72 ore. I bambini sono le principali vittime della crisi, in violazione dell’articolo 38 della Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia, che impone la protezione dei minori nei conflitti armati. Tuttavia, né l’India né il Pakistan hanno autorizzato finora la creazione di corridoi umanitari. L’assenza di una risposta coordinata da parte del Consiglio di Sicurezza, ancora una volta paralizzato da divisioni geopolitiche, alimenta un senso di impunità.
La scelta che il mondo deve fare: Il conflitto in Kashmir non può più essere affrontato come una disputa bilaterale. È un nodo strategico, umanitario e giuridico che tocca l’intera comunità internazionale. Ignorarlo oggi significa rischiare, domani, una crisi fuori controllo.
Servono tre azioni immediate: L’attivazione di missioni diplomatiche terze per facilitare un cessate il fuoco verificabile; L’apertura di canali per aiuti umanitari urgenti, sotto supervisione internazionale; Il rilancio di una piattaforma multilaterale di dialogo, che rimetta in discussione lo status del Kashmir alla luce del diritto internazionale e della volontà delle popolazioni locali.
Nel frattempo, su una collina ai margini della Linea di Controllo, una madre stringe suo figlio e prega che il prossimo boato non colpisca la sua casa. In un mondo che arde, è tempo di versare acqua, non benzina.