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Guerra di Louis-Ferdinand Céline

Celine, Guerra
Celine, Guerra

Guerra di Louis-Ferdinand Céline

Noi occidentali pensiamo che ci sia soltanto la guerra ucraina, in realtà, leggo che nel 2022 le guerre censite erano 59. Però, delle altre si deve tacere, mentre di questa se ne deve parlare in continuazione, in particolare, per dirla con Sergio Leone, dei suoi tre attori principali: il Buono, il Brutto, il Cattivo. Le centinaia di migliaia di morti e di feriti non interessano a nessuno, e nessuno ne parla, salvo Papa Francesco.

In attesa che finisca, consiglio ai lettori di leggersi Guerra, appena uscito per Adelphi, 155 pagine, copertina con disegno di Otto Dix, 18 €. L’autore è un ventenne, Louis-Ferdinand Celine, quello dell’immortale Viaggio al termine della notte del 1932. La sintesi autentica di quello che fu l’ignobile, guerresco Novecento.

Celine si deve leggere, tassativamente, ma non si può recensire, figuriamoci quando parla di guerra. Della guerra ne può parlare e scrivere solo chi l’abbia vissuta in prima persona, o come combattente sul campo, o come vittima civile, sempre sul campo. Il resto è spazzatura woke alto borghese.

 Lui dalla guerra ne uscì per due terzi distrutto, nel corpo e nello spirito. Così ne può parlare e scrivere, e lo fa in modo sublime e volgare al tempo stesso, come sono la vita e la morte. Seguendo la traccia incandescente di 250 fogli manoscritti, sottratti nel dopoguerra dal suo alloggio in Rue Girardon a Montmartre, e poi ritrovati avventurosamente, è nato Guerra, la sua e nostra guerra.

Tre frasi-tweet, sconvolgenti, la sintetizzano:

# Mi sono beccato la guerra nella testa. Ce l’ho chiusa nella testa.

# È fetente il passato, si scioglie nella fantasticheria.

# All’umanità non dovevo niente, almeno quello che uno si crede quando ha vent’anni.

Fulminante l’incipit del libro, e quelli dei pochi capitoli in cui è diviso. Sia chiaro, capitoli creati solo per far prendere fiato al lettore. C’ho passato una domenica intera, leggendolo, prima d’un fiato, poi godendomelo, con tutti i sensi, desti come può succedere solo a maggio. E mi ha ricordato il 18 maggio del 1944, la “mia bomba di Aulla”, il cui acufene guerresco non mi ha mai abbandonato, per tutta la vita. Perché la guerra non finisce mai, la pace è una finzione per i gonzi, in attesa che il Buono, il Brutto, il Cattivo, riprendano a far massacrare i propri servi.

# Sarò rimasto lì ancora una parte della notte dopo. A sinistra tutto l’orecchio era appiccicato a terra con il sangue, la bocca pure. Fra l’uno e l’altro un rumore immenso. In quel rumore ho dormito e poi è piovuto, pioggia di quella fitta fitta. Lì accanto Kersuzon era stecchito sotto l’acqua a peso morto. Ho allungato un braccio verso il corpo. Ho palpato. L’altro non ce la facevo più. Non lo sapevo dove era l’altro braccio. Era schizzato in aria altissimo, vorticava nello spazio e poi ridiscendeva a trafiggermi la spalla, nella carne viva. Ogni volta cacciavo un urlaccio di quelli che poi era peggio. Comunque riuscivo a fare meno rumore, sempre con quel grido, dell’orribile baccano che sfondava la testa, l’interno come un treno. Ribellarsi non serviva a niente. È stata la prima volta che ho dormito, in quella melassa piena di granate che passavano fischiando, in tutto il rumore che hanno voluto fare, senza perdere del tutto conoscenza, cioè insomma nell’orrore.

# Non ci credevo molto nelle nuove giornate. A forza di svegliarmi venti trenta volte per i ronzii durante la notte alla mattina ero più stanco del giorno prima. Una stanchezza senza nome, quella che viene dall’angoscia. Tu lo sai quello che ti ci vorrebbe a tornare a essere un uomo come gli altri, dormire. Sei troppo stanco anche per avere l’impulso di ammazzarti. Tutto è fatica.

Chiudo usando la terminologia celiniana, “… la guerra a cui sei sopravvissuto, sempre per caso, è una carogna del passato, sempre ubriaco di smemoratezza, un vecchio marpione che ha sputato su tutte le tue vecchie storie, già sistemate, cioè accatastate, schifose, al rantolante termine dei giorni, nella bara tutta tua, morto ipocrita”.

Anche questa volta, in Ucraina, quando arriverà la solita finta pace, premessa della prossima vera guerra, chissà se il Bello, il Brutto, il Cattivo si chiederanno: “… e ora dove andremo?” . Se dovessero avere ancora un briciolo di umanità, chissà se si risponderanno, come Celine “Certo che è enorme la vita. Ti ci perdi dappertutto”.

Grazie, caro Louis-Ferdinand!

 

Zafferano.news