Carrozza n. 8

Carrozza n. 8
I denti dell’arcata superiore erano esposti, quasi orizzontali rispetto alla mascella. Si erano spinti talmente in là da sembrare una tenda al vento, un vento che li aveva congelati in quella posizione così innaturale e antieconomica per alcune azioni fondamentali dell’uomo, quali mangiare o parlare. Si trattava di una donna di circa sessant’ anni, anche se darle un’età risultava difficile per via di quella smorfia stampata sulla faccia. La dentatura, infatti, non le permetteva di esprimersi chiaramente con il volto: ironia, tristezza, noia, divertimento non si comprendevano appieno osservandola, sembrava costretta a una sola mimica insondabile.
A prima vista, sarebbe sembrato giusto chiederle di togliersi quell’espressione e di spiegarsi chiaramente, ma non le era d’altronde possibile, perché anche la parlata era viziata da quella conformazione e le sillabe venivano per lo più pronunciate malamente.
Nonostante ciò, da quando era salita sul treno, non aveva mai smesso di parlare, di chiosare, di commentare con un accento romanesco anch’esso menomato da quella maschera e dalla voce sfocata che esordiva con un picco grave per poi sfumare fino a un filo afono.
I capelli erano sciatti, di un grigio vecchio, ma lisci e raccolti in una coda come quelle delle ragazzine e che si ama vedere scarmigliate in gioventù.
Di contro gli occhi erano bellissimi, ma di un azzurro senza profondità, un mare chiuso, imbambolato, forse traumatizzato.
Continuava a rivolgere la parola a tutti, senza farlo davvero; si sentiva in dovere di manifestare un atteggiamento, un’idea, una posizione, un ruolo in questa società, fosse pure quella che popolava una sola carrozza, la n.8. Il posto che le avevano assegnato non andava bene e voleva cambiarlo, l’aria condizionata troppo forte, la sua stazione d’arrivo non era quella che avrebbe voluto. Talvolta si rivolgeva al figlio, adulto, capitato dalla parte opposta alla sua, un tonto e pacifico sognatore di cose piccole, molto piccole.
Trovarsi braccati tra questi Scilla e Cariddi sarebbe stata una tortura, se non fosse stato che, dietro il profilo sgraziato della nonna, fantasticava una bimba dalle ciocche bionde con due occhi blu oceano spalancati su un mondo sconosciuto.
I lineamenti esprimevano una dolcezza che toccava il cuore, la vocina era irresistibilmente morbida, le parole intelligenti, impossibile non accorgersi del suo portato di bellezza, impossibile. Eppure, il suo clan non le dava retta, la nonna la apostrofava con frasi trite e incomprensibili che Elisa sapeva ormai tradurre, ma non l’accontentavano in nulla, perché non la comprendevano.
“Meriterebbe altro...” pensai indignata, mentre lei si perdeva nel suo mondo di fantasia, colorava, cancellava, disegnava. Raccontava alla nonna i suoi pensieri, le sue idee che sbattevano su quel portone di piombo senza abbatterlo mai. Scintillava, guizzava come un pesciolino dorato sulla sabbia desideroso di riprendersi il mare.
Quante cose avrei potuto insegnarle! Ma lei, Elisa, faceva con quello che aveva e lasciava che il suo istinto la spronasse oltre. A fare domande profonde a una buona maestra che le si era seduta di fronte, ad accarezzare sorridendo il cagnolino buffo e tranquillo sotto il sedile, a copiare le lettere del suo nome che le avevo riportato su un foglio, fino a scriverlo corretto e a mostrarlo orgogliosa a tutto lo scompartimento.
Mi balenò il desiderio irresistibile di volere altro per lei, di meglio.
Elisa si sdraiò sulle gambe di quella stramba nonna, raccolse le sue mani ruvide, le accompagnò sulla sua testa e con gesti di carezza invitava quelle ottuse dita ad arricciare le sue ciocche, un rito d’amore prima di chiudere gli occhi pieni di sogni. La introduceva così, con il suo linguaggio, alla tenerezza e a mille altri mondi di cui la donna non sapeva.
Mi ritirai con la schiena nel guscio del mio sedile: chi lo dice che solo una famiglia ineccepibile possa dare le giuste chances di felicità?
Non è forse che spesso chi ha tutto, troppo, poi non ha più desiderio di niente e rischia di essere soffocato da genitori ingombranti e apparenze vuote? E chi ha poco si allena a parlare bene con sé stesso e cerca corrispondenze vere?
Mi preparai a scendere con il pensiero di lei.
“Leggi, studia con passione, Elisa, abbi curiosità del mondo e insegna ai grandi il tuo stupore”.