Fantasia

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Fantasia

Ai Giardini della Biennale di Venezia, appena uscito dal padiglione “Germania”, tutto il verde di giugno gli sembrò più intenso. Le angosce dell’uomo assurte ad arte non potevano competere con quelle fronde, con quei fiori profumati di grappoli bianchi e soprattutto con quei coleotteri euforici, sfreccianti di felicità. Il loro manto smeraldo metallizzato vestiva elegantemente un corpo goffo, sostenuto in volo da piccole ali iperattive. Una bizzarra perfezione che sfidava irriverente cotanti ingegni.

Luca scese i gradini sfiorando le foglie, aveva ancora molto da gustare e tutto sarebbe dipeso dal modo di esistere che avrebbe accolto in quel preciso istante, in ogni preciso istante. Sembrava stesse riavvolgendo un filo invisibile e che, a mano a mano che lo tirava a sé, si scoprisse miracolosamente il passo successivo, non programmato e gioioso; bastava stare, procedere, stare, procedere. I tempi di stasi e dinamica li avrebbe appresi al momento, in concomitanza con l’osservazione della realtà che non sarebbe stata solo condotta dagli occhi, ma anche da tutti gli altri sensi. Un odore morbido, ad esempio, lo avrebbe fatto sentire a casa, in una condizione di pace, un sapore troppo compatto invece lo avrebbe spronato ad andarsene. Voleva agire così. Si sentiva ricco di quella libertà sfacciata e per la prima volta fu grato alla sua fantasia, quel dono di cui tante volte non aveva saputo che farsene. In passato, infatti, gli era parso che ci fossero talenti più proficui, più intelligenti della sua stupida fantasia, quando tutto e tutti attorno gli suggerivano l’inopportunità di quella visione alternativa. Ora invece, che era grande, si accorgeva che amava solo quella dimensione e stare con chi quella luce nelle cose la vedeva, per meno di così non si sarebbe alzato dal divano.

Si trattava di una doppia visione, così come la intendeva Leopardi, in cui una cosa è al contempo tale e oltre, altro: “All'uomo sensibile e immaginoso che viva, come io sono vissuto gran tempo, sentendo di continuo ed immaginando, il mondo e gli oggetti sono in certo modo doppi. […] Trista quella vita (ed è pur tale la vita comunemente) che non vede, non ode, non sente se non che oggetti semplici, quelli soli di cui gli occhi, gli orecchi e gli altri sentimenti ricevono la sensazione”.

Il suo spirito ormai desto era pronto a cogliere la realtà solo in questi termini, si lasciava continuamente sfidare dai sensi nel riconosce le tracce da seguire per un’esistenza piena. Quanta bellezza in ogni dove! Lì dov’era, a Venezia, la fantasia dell’uomo aveva sfidato la natura e ora gareggiava con essa in bellezza, era forse la testimonianza più fulgida della fantasia in azione. Gli piaceva pensare all’etimologia di quella parola secondo Aristotele, per il quale “fantasia” deriva da phos, cioè “luce”, e indica l’apparire interiore degli oggetti che i sensi vedono all’esterno. E quella città sull’acqua, costruita su milioni di pali di legno infissi nel terreno lagunare, incarnava una visione, una luce vista e appresa dagli uomini. Camminò fino al ponte di Rialto. Decise di attraversarlo dalla parte meno frequentata, si sedette all’imbrunire e attese che i lampioni si accendessero per riflettersi sul canale, le gondole mimavano un quadro del Canaletto e pensò che la felicità fosse con lui. Non avrebbe avuto nessuna scusa per disperare, ora sentiva e comprendeva che "la realtà non è mai esausta perché vive in fondo alle cose la freschezza più cara" (Hopkins).