Dominio totale: Israele, la Striscia di Gaza e la Nuova Dottrina del Controllo Integrale

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Dominio totale: Israele, la Striscia di Gaza e la Nuova Dottrina del Controllo Integrale

 

Il nuovo capitolo della guerra a Gaza si apre sotto il segno del controllo totale. Le forze israeliane, in una delle più vaste operazioni militari degli ultimi decenni nel Mediterraneo orientale, mirano ora a un obiettivo dichiarato senza ambiguità: “Assumere il pieno controllo di tutta la Striscia di Gaza”. Un paradigma che segna una svolta strategica, ma che pone interrogativi cruciali sull’equilibrio tra sicurezza, diritto internazionale e catastrofe umanitaria.

Un’escalation annunciata. L’ordine è arrivato come un’eco metallica attraverso i cieli di Gaza: evacuare immediatamente Khan Younis. La città, la seconda per popolazione della Striscia, è ora ufficialmente considerata “zona di combattimento pericolosa”. Con il suo milione e mezzo di abitanti sfollati più volte nel corso di 19 mesi di guerra incessante, l’ultima direttiva dell’IDF rappresenta non solo un nuovo picco nell’offensiva militare, ma anche un tragico simbolo dell’assenza di rifugi sicuri per i civili palestinesi. “Un attacco senza precedenti” è la formula impiegata per descrivere le imminenti operazioni nella città. La destinazione degli sfollati è la cosiddetta “zona umanitaria” di Al-Mawasi, già bersaglio di raid precedenti. L’uso della parola “umanitaria” si colora così di un’ironia cupa e crudele.

La dottrina Netanyahu: deterrenza, dominio, diplomazia. Nel suo recente messaggio video, il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha tracciato la rotta: distruzione totale di Hamas e controllo assoluto del territorio. Ma in parallelo, per motivi “politici e diplomatici”, ha annunciato anche la ripresa di consegne minime di aiuti. “Non possiamo arrivare a un punto di carestia”, ha detto, specificando che nemmeno i più leali alleati di Israele potrebbero “gestire immagini di carestia di massa”. Queste parole, più che umanitarie, suonano come il riconoscimento di un limite mediatico e strategico alla brutalità del conflitto. La carestia, insomma, come problema di gestione dell’immagine più che come dramma umano.

Un bilancio devastante. Oltre 53.000 morti. Una cifra che parla da sola, e che fa di questa guerra una delle più sanguinose del XXI secolo. La maggior parte delle vittime sono donne e bambini. Gli ospedali sono ridotti a scheletri, le infrastrutture civili a detriti. L’acqua è razionata, l’elettricità quasi inesistente, la dignità ridotta a una lotta per la sopravvivenza quotidiana.

Gaza come laboratorio della guerra futura? Il conflitto in corso, oltre alle sue conseguenze immediate, pone interrogativi di più ampia portata. Sta emergendo un nuovo paradigma bellico? Gaza diventa, in questa lettura, non solo teatro di un confronto storico, ma banco di prova di una dottrina che combina superiorità tecnologica, assedio logistico e guerra psicologica. Israele, con il suo arsenale di droni, intelligenza artificiale e sistemi d’intelligence iperconnessi, conduce una guerra asimmetrica totale, in cui la distinzione tra combattente e civile si dissolve nel fumo degli attacchi aerei. È il futuro della guerra urbana globale?

Una sfida geopolitica senza precedenti. Le implicazioni vanno oltre il Mediterraneo. Gli equilibri regionali sono sempre più fragili: l’asse Teheran-Beirut-Damasco osserva con attenzione; le monarchie del Golfo oscillano tra pragmatismo economico e pressioni interne; l’Occidente affronta un dilemma morale crescente. Per l’Unione Europea, già divisa sulla guerra in Ucraina, la crisi di Gaza rappresenta un banco di prova della sua coerenza politica. Gli Stati Uniti, per quanto ostinatamente solidali con Israele, iniziano a subire pressioni crescenti da parte di un’opinione pubblica sempre più critica.

Verso un nuovo ordine o verso l’abisso…Il “controllo totale” proclamato da Israele può sembrare una vittoria tattica, ma rischia di diventare un disastro strategico. Per ogni città rasa al suolo, per ogni rifugiato senza terra, per ogni bambino senza futuro, si genera una nuova generazione di rancore, radicalizzazione e vendetta. La Striscia di Gaza, oggi, non è solo un luogo. È una ferita aperta nel corpo della geopolitica contemporanea. Una ferita che chiede più che mai lucidità, responsabilità e una visione oltre il breve termine. Perché, come la storia insegna, nessun controllo è davvero totale. Né eterno.