In difesa di Francesca Albanese: la verità scomoda dei diritti umani

In difesa di Francesca Albanese: la verità scomoda dei diritti umani
Abstract:
L’articolo analizza la figura di Francesca Albanese, la relatrice speciale delle Nazioni Unite per i diritti umani nei Territori Palestinesi Occupati.
The article analyzes the figure of Francesca Albanese, the United Nations Special Rapporteur on Human Rights in the Occupied Palestinian Territories.
1. Introduzione
Francesca Albanese è oggi una delle figure più discusse del sistema ONU. Giurista italiana, esperta di diritto internazionale e relatrice speciale delle Nazioni Unite per i diritti umani nei Territori Palestinesi Occupati, è diventata bersaglio di una campagna di delegittimazione che va ben oltre la critica politica. Le accuse che le vengono mosse – di parzialità, antisemitismo, persino di “minaccia alla sicurezza” – raccontano meno di lei e più del contesto in cui opera: un mondo che tollera la violenza, ma non la denuncia.
2. Un mandato scomodo per definizione
Essere relatrice speciale dell’ONU sui Territori Palestinesi non è un ruolo neutrale. Il mandato nasce per monitorare e denunciare violazioni dei diritti umani commesse nei territori sotto occupazione israeliana dal 1967. Chi ricopre quell’incarico è, per statuto, chiamato a denunciare — non a mediare. È una funzione di controllo, non di diplomazia.
Eppure, molti attaccano Albanese proprio perché “non è equilibrata”. Ma chiedere equilibrio in un contesto di occupazione – dove il diritto internazionale riconosce una parte occupante e una parte occupata – significa chiedere a chi indaga di ignorare la realtà giuridica. La neutralità, in certi casi, diventa complicità.
3. Le accuse e il peso delle parole
Le critiche ad Albanese si concentrano soprattutto sul linguaggio. Ha usato termini come “apartheid”, “colonialismo di insediamento”, “genocidio”. Parole pesanti, certo, ma non inventate da lei. Molti giuristi internazionali – tra cui relatori precedenti, come Michael Lynk, o istituti come Human Rights Watch e Amnesty International – hanno impiegato le stesse definizioni per descrivere la struttura di controllo e segregazione nei Territori Occupati.
In diritto internazionale, quei termini hanno un significato preciso: apartheid indica un regime istituzionalizzato di dominazione di un gruppo etnico su un altro; genocidio implica la distruzione di un popolo, anche parziale, attraverso azioni sistematiche. L’uso di queste parole, nel contesto di Gaza, può essere discusso, ma non può essere ridotto a provocazione. È una tesi giuridica, argomentata, sostenuta da dati e prove.
4. Le sanzioni americane: un precedente pericoloso
Nel 2025 gli Stati Uniti hanno imposto sanzioni personali contro Francesca Albanese. Una decisione senza precedenti nei confronti di un funzionario ONU, accusata di “diffondere disinformazione” e di “minare gli sforzi di pace”. Ma la vera domanda è: da quando la difesa dei diritti umani è considerata una minaccia alla pace?
Punire una relatrice delle Nazioni Unite perché denuncia crimini internazionali è un atto politico, non legale. Significa colpire chi indaga, non chi viola la legge. E crea un precedente gravissimo: se chi esercita un mandato indipendente può essere intimidito da uno Stato membro, allora l’intero sistema di protezione dei diritti umani rischia di diventare un simulacro.
Le sanzioni non hanno solo un valore simbolico: bloccano conti, limitano spostamenti, isolano la persona colpita. E soprattutto mandano un messaggio a tutti gli altri funzionari internazionali: “attenzione a chi toccate”.ù
5. L’attacco mediatico e la manipolazione dell’opinione pubblica
A colpire non è solo la pressione politica, ma anche quella mediatica. Francesca Albanese è stata definita “antisionista”, “negazionista”, persino “nemica dell’Occidente”. Molte testate hanno rilanciato accuse senza verificarle, contribuendo a un clima di sospetto e demonizzazione.
Eppure, basta leggere i suoi rapporti per scoprire un linguaggio tutt’altro che ideologico: tecnico, giuridico, fondato su dati dell’ONU, dell’OCHA, di agenzie internazionali. Certo, Albanese è diretta. Ma è la realtà a essere brutale, non le parole che la descrivono.
La polarizzazione dell’informazione – soprattutto sul conflitto israelo-palestinese – trasforma ogni voce critica in un bersaglio. In un’epoca in cui la disinformazione è un’arma geopolitica, colpire una relatrice ONU significa indebolire uno degli ultimi spazi di verità verificabile.
6. Il coraggio della coerenza
Francesca Albanese non è una militante, ma una giurista che applica il diritto. Difendere i palestinesi non significa negare la sofferenza degli israeliani, né giustificare la violenza di Hamas. Significa ricordare che i diritti umani non sono selettivi: o valgono per tutti, o non valgono per nessuno.
Il punto è che Albanese fa ciò che la comunità internazionale spesso evita: nominare le responsabilità. E questo, nel linguaggio diplomatico, è considerato un peccato capitale.
La vicenda Albanese va letta anche in chiave più ampia: è parte di una tendenza crescente a colpire chi denuncia abusi di potere. Negli ultimi anni, relatori ONU, giornalisti, operatori umanitari e accademici sono stati attaccati, minacciati o diffamati per aver criticato Stati membri influenti.
Quando la denuncia diventa pericolosa, la verità diventa un atto di coraggio. E difendere Francesca Albanese oggi significa difendere il principio stesso di libertà intellettuale e indipendenza istituzionale.
7. Conclusioni
La figura di Francesca Albanese divide, certo. Ma ogni vera voce indipendente lo fa. Il punto non è se piaccia o meno, se condividiamo o no le sue parole, ma se vogliamo che esistano ancora persone capaci di dire ciò che è scomodo, documentato, verificabile.
Dietro la sua battaglia non c’è ideologia, ma il tentativo di restituire al diritto internazionale la forza che la politica gli ha sottratto. E in un tempo in cui i confini tra verità e propaganda sono sempre più sottili, difendere Francesca Albanese significa difendere qualcosa di molto più grande: la possibilità stessa di chiamare le cose con il loro nome.