Un’etica di convenienza

Le contraddizioni di una società senza memoria

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Un’etica di convenienza

 

La vicenda della “Flottiglia” è emblematica di una situazione sociale carica di contraddizioni, combattuta tra tensioni ideali convenienze e mancanza di una visione di insieme, tutta incentrata sulla impulsività emozionale mai scevra di illogica irrazionalità

Ha quasi commosso l’urlo ideologico della portavoce italiana dalla flottiglia, le parole urlate nel tentativo di imporsi al sistema…incapace di ascoltare il filosofo Zecchi che con pacatezza invitava a documentare una realtà diversa da quella che appariva evitando di farsi strumentalizzare. Quell’idealità urlata da un lato ci restituiva una passione civica che si pensava assente nelle nuove generazioni, dall’altro riportava contenuti non del tutto ponderati né tantomeno coerenti con la storia ed i fatti.

Se da un lato colpisce la passione verso l’inerte e incolpevole popolazione civile di Palestina, dall’altro ci si chiede: dove eravate giovani ardenti quando il 07.10.2023 le truppe palestinesi di Hamas attaccarono Istraele ?

In un solo giorno, 859 civili israeliani (278 soldati e 57 membri delle forze dell'ordine sono stati uccisi in località, kibbutz e basi militari nei dintorni della Striscia di Gaza. I miliziani di Hamas hanno attaccato anche un festival musicale, il Nova festival, a cui partecipavano all’incirca 3 000 giovani, uccidendo 364 partecipanti e rapendone 44. Circa 250 persone, di cui circa 30 bambini, sono state rapite e portate come ostaggi nella Striscia. Sono stati segnalati numerosi casi di stupri e violenze sessuali contro donne israeliane. Non si è vista una mobilitazione pari a quella di questi giorni, eppure l’atrocità perpetrata era pari e grave, contro persone innocenti e ignare.

Dove era la CGIL allora? perché non mobilitò uno sciopero generale portando in piazza gli italiani contro l’atrocità della guerra?

L’atrocità non ha colore e non ha distinguo, non c’è una atrocità più atroce dell’altra.

Eppure le reazioni non sono uguali, anzi sono state volutamente  ed interessatamente diverse.

Oggi si manifesta, si sciopera, si rischia una guerra diplomatica internazionale, perché si vuole colpire il topolino avversario politico in patria, si vuole un vetrina, …semplicemente non si conoscono i motivi della tragedia e si reagisce di impulso…secondo convenienza

Certo non è una critica ai giovani che animati da intenzioni nobili si stanno mobilitando, ma si considera che il male non è solo e tanto quello che si vede ora, che non possiamo demonizzare oggi Israele, se non si ragiona nell’ambito di un quadro di conflitto arabo israeliano lungo oltre 100 anni.

Oggetto di questo pensiero non è l’analisi delle ragioni e dei torti nel conflitto Palestinese-Israeliani ma le evidenze di una protesta che non ragiona nei termini di uno spettro ampio che contempli i fatti storici non trascurabili ma si puntualizza su un evidenza emozionale del momento alimentata da convenienze.

Cosi come ragionare in termini di guerra in questo momento dove Gaza e la questione palestinese attrae l’attenzione generale dopo che alla casa Bianca qualche mese fa in pompa magna si presentava un progetto per la realizzazione di un resort per il quale si prevedeva di acquistare le proprietà degli abitanti invogliandoli ad andarsene. Un conflitto che con la rapidità della luce all’alba ha soppiantato la guerra in Ucraina, dove vite civili, bambini e ospedali sono stati rasi al suolo, e per i quali non si sono mobilitati scioperi e proteste eclatanti. Eppure in Ucraina abbiamo inviato aiuti, armamenti ingenti alimentando la guerra e l’orrore delle morti. Oggi questa guerra non merita mobilitazioni ? non c’è forse convenienza politica ad una protesta troppo accesa e plateale ! c’è di contro la convenienza a tenere accesa la fiammella del conflitto affinché le grandi industrie belliche e degli armamenti possano produrre ed arricchirsi.

Gli USA hanno investito miliardi di dollari, imponendo all’EUROPA di acquistare le armi da inviare all’Ucraina.

Ma nessuno di quanti proclamano e invocano la Pace, è disposto oggi a fermare la produzione delle armi, a convertire le industrie belliche in produzione di pace.

Come si comporterà la Presidente della Regione Sardegna.

“Gli stabilimenti sardi della Rwm non stanno per chiudere: c’è una recente commessa da 411 milioni di euro (circa 20mila bombe) destinata a un paese dell’area M.e.n.a (Medio Oriente e nord Africa) da soddisfare”. Lo sostiene l’analista della Rete Italiana Disarmo (Rid) e dell’Osservatorio per le armi leggere (Opal) Giorgio Beretta, intervenendo sul dibattito innescato da un articolo di Avvenire pubblicato il 7 gennaio scorso. Secondo il quotidiano della CEI, infatti, la multinazionale tedesca Rheinmetall avrebbe un piano per spostare la produzione degli armamenti oggi confezionati a Domusnovas in Arabia Saudita, primo cliente della Rwm. La prova sarebbe la realizzazione di nuovi stabilimenti a sud di Ryad da parte di una joint venture tra la Rheinmetall Denel Munitions (società creata dalla Rheinmetall e dalla sudafricana Denel) e la Samic (Saudi military industries corporation), inaugurati nel marzo del 2016: nella nuova fabbrica si forgeranno le stesse bombe prodotte oggi in Sardegna.

Una delibera di giunta tiene col fiato sospeso più di cinquecento famiglie del Sulcis. In una zona già depressa economicamente l'ampliamento di una delle realtà produttive più all'avanguardia (la Rwm che produce armi) è da molto tempo appesa al via libera sull'impatto ambientale che questo ampliamento può comportare.

Negli ultimi mesi si sono fatte avanti alcune associazioni di ambientalisti producendo documentazioni che lascerebbero dubbi alla giunta regionale presieduta dalla grillina Alessandra Todde. Ora spetterà ai vari assessorati competenti valutare la validità delle obiezioni avanzate nella relazione degli ambientalisti. La fabbrica si trova nel territorio del comune di Domusnovas e appartiene alla tedesca Rheinmetall. E i tempi potrebbero allungarsi visto che la stessa Todde ha annunciato che per motivi di salute rinuncia al tavolo in programma al ministero delle Imprese, convocato dal ministro Adolfo Urso con sindacati e rappresentanti dell'impresa e di Confindustria. "Questa decisione, arrivata a poche ore dal tavolo convocato al Mimit - commenta Antonella Zedda, vicecapogruppo al Senato di Fratelli d'Italia -, rappresenta uno schiaffo ai lavoratori, alle famiglie e a tutto il tessuto produttivo del territorio. Il messaggio lanciato dalla Giunta è chiaro: ideologia prima di tutto, anche a costo di calpestare il diritto al lavoro e allo sviluppo".

"L'ampliamento di una fabbrica di ordigni bellici - replica la governatrice - coinvolge competenze trasversali e richiede il vaglio di più assessorati e direzioni generali prima di dare l'assenso". Il tempo scorre, però, ed è sempre più concreto il rischio di uno spostamento della produzione. Per le famiglie coinvolte è una doppia beffa. Non soltanto non si aumenterà il personale come previsto dal piano di ampliamento dello stabilimento, ma si ridurrà drasticamente visto che gran parte degli attuali contratti sono a tempo e potrebbero non essere rinnovati o - come ipotizzato e promesso dall'azienda - stabilizzati.

Il pilatesco rinvio voluto dalla giunta viene considerata una "insensata mossa ideologica" dal coordinatore regionale di Fratelli d'Italia, Francesco Mura. "Non c'è alcuna giustificazione per questa mossa ideologica, che danneggia il lavoro e le famiglie- commenta Mura -. È un atto volto a ostacolare chi sta cercando di costruire un futuro per questa terra.

La Giunta, ancora una volta, sceglie di sacrificare gli interessi dei lavoratori sardi in nome di una politica miope, senza tener conto delle necessità reali della Sardegna. Fratelli d'Italia resta al fianco dei lavoratori e delle imprese e lotteremo con tutte le forze per proteggere il futuro del Sulcis".

Una narrazione che apparentemente invoca la tutela dei lavoratori e delle famiglie ma che in realtà cela la volontà di continuare a fabbricare armi per la guerra, la tutela dei lavoratori è certo una convenienza poichè non si può fare la Pace se si continua ad alimentare la guerra.

La mobilitazione  per la Palestina organizzata sull’onda emotiva della “Flottiglia” a guardarla in profondità rileva una contraddizione insanabile di un modo di essere dalla società contemporanea, e soprattutto dei movimenti politici e sindacali. Le mobilitazioni non sono mai coerenti con una obbiettività sostanziale, mai riferite all’essenza del problema, ma alla convenienza del momento: inseguire il consenso rispondendo ai mal di pancia della piazza.

E’ così che si mobilità la piazza per la guerra a Gaza, l’asserito “genocidio” dei Palestinesi (che non sono una razza né una specificità religiosa) e lo si fa ora ed in questo contesto per inseguire il consenso, non lo si è fatto del pari nell’ottobre 2023 quando ad essere barbaramente trucidati  furono i civili (donne e bambini) israeliani, così come non lo si è fatto quando ad essere uccisi in modo barbaro e disumano  sono stati i civili (donne anziani e bambini) Ucraini, quando sono stati bombardati ospedali  scuole, non si è fatto quando ad essere trucidati dalle bombe americane vendute all’esercito ucraino furono i civili inermi della Russia, non si fa quando ad essere trucidati sono civili (donne anziani bambini)  in Africa (Eritrea – Somalia -) dove non devono essere disturbati gli interessi della fabbriche di armi che vendono a questi paesi e agli eserciti in guerra armamenti in cambio di preziose materie prime.

Anzi si continuano a costruire armi e a venderle indiscriminatamente proprio agli eserciti efferati che alimentano le tragedie delle guerre; l’Italia ha previsto nel bilancio 2026 un incremento delle spese per armamenti investendo circa 12 miliardi di euro in più per le spese militari nel triennio 2026-2028. Si partirebbe da 3,3 miliardi (0,15% del Pil) per il 2026, per un totale di 11-12 miliardi, ma solo se l’Italia uscirà dalla procedura d’infrazione europea (quindi se riuscirà a scendere sotto il 3% di deficit), dopo che nel 2025 l’aumento della spesa militare era salita del 12,5%

Nessuno dei manifestanti per la pace ha chiesto di sospendere tutte le spese per armamenti bellici chiedendo al conversione delle fabbriche di armi in beni e servizi per le popolazioni colpite dai conflitti e per la loro ricostruzione..

Ancora più comunemente non si sono viste mobilitazioni per i continui suicidi in carcere (66 dall’inizio del 2025 a cui si aggiungono le morti tra gli operatori) di detenuti costretti a condizioni di sovraffollamento disumano e dove operatori come agenti penitenziari sono costretti a lavori in sottorganico con esposizione a situazioni degradanti sul piano lavorativo che meritano una riflessine sulla legittimità del comportamento dello Stato e della amministrazione .

Le morti tragiche e disumane evidentemente per questi agitatori di mobilitazioni non sono tutte uguali, ma contano solo quelle che rappresentano un ritorno di consenso. Del pari non si comprende come si possa e continui ad invocare la pace, ci si esalti per un accordo di tregua tanto da mobilitare vertici internazionali, ma non si fa nulla per risolvere alla radice il problema, ossia cessare la produzione ed il commercio delle armi !

Le guerre servono, servono a chi fabbrica le armi e servono ai potenti per dimostrare la loro magnanimità quando si impegnano magari per un Nobel a risolvere i conflitti dettando regole non condivise ma imposte.

Appare sempre di più di assistere ad una etica capovolta, che insegue il consenso anziché tutelare con scelte autentiche i valori in gioco.