Il giubileo dei detenuti
Il giubileo dei detenuti
occasione per un ulteriore appello alla dignità
Era il 26 dicembre 2024 quando papa Francesco parlando ai detenuti di Rebibbia ha rivelato di aver desiderato ardentemente questa seconda Porta Santa perché «Desideravo che ognuno di noi, sia dentro che fuori, potesse anche aprire le porte del proprio cuore e comprendere che la speranza non tradisce».
I segni indicati dal Papa nella Bolla di indizione sono stati: la ricerca della pace, la trasmissione della vita, i detenuti, la remissione del debito dei Paesi poveri».
Misericordia e Speranza i moniti urgenti: «Dinanzi alla gravità del peccato, Dio risponde con la pienezza del perdono. La misericordia sarà sempre più grande di ogni peccato, e nessuno può porre un limite all’amore di Dio che perdona».
Il pensiero è diretto ai detenuti, così spesso incontrati e accompagnati da Papa Francesco, gli ultimi di una società per via dei loro sbagli: la mancanza di libertà, la durezza della reclusione e il vuoto affettivo, sono temi sollecitati di continuo da Bergoglio, tanto da aver deciso di aprire il Giubileo 2025 all’interno del carcere di Rebibbia.
Il Giubileo dei Detenuti, previsto per il 14 dicembre 2025, è un evento significativo all'interno delle celebrazioni giubilari. Questa giornata speciale è dedicata ai detenuti, offrendo loro un momento di riflessione spirituale e rinnovamento. L'evento mira a portare speranza e un senso di inclusione a coloro che sono spesso emarginati, sollecitando il messaggio di misericordia e redenzione .
Il tema principale del Giubileo 2025 è la speranza, riassunto nel motto Spes Non Confundit ("La speranza non delude"), la misericordia nuovamente al centro delle riflessioni incoraggiando l’uomo a vivere il perdono in modo concreto.
E’ tempo per riflettere sulla giustizia sociale e sull'impegno per la pace. Papa Francesco ha spesso sottolineato l'importanza di un'economia giusta e sostenibile, che metta al centro la dignità della persona umana. Il diritto penale, per Francesco, deve chinarsi su quell’umanità ferita, non schiacciarla con il peso della punizione. La Porta Santa nel carcere di Rebibbia ci mostra l’unica via che ha senso: quella del perdono, della speranza, della dignità. In un mondo che ha perso la fiducia nell’uomo, il Papa è rimasto l’ultimo custode di una scintilla di umanità.
Risuonano così le parole di Giovanni Bachelet : «La giustizia è civiltà, non vendetta: perciò credo nel perdono. … il fine della pena non è far piacere alla vittima, ma rieducare il detenuto e mettere in sicurezza la società».
Il problema del processo penale non dovrebbe essere la vittima. La difficoltà di chi cerca davvero maggiore sicurezza è dimostrare che con una giustizia più umana c'è anche più sicurezza. Il nesso tra giustizia umana e sicurezza è dimostrato dai fatti. Invocare soluzioni facili – come “sparare ai ladri” o “buttare la chiave” – non è solo contrario al Vangelo o all’Illuminismo, ma anche agli interessi dei cittadini. Questa è la battaglia più importante, ma anche la più difficile.
La società della vendetta c’è sempre stata. La Costituzione e l’Illuminismo, da Beccaria in poi, si oppongono all’istinto naturale della rivalsa. Ci vuole una grande forza educativa – della scuola, della cultura, delle religioni – per convincere che odio e vendetta portano più danni che benefici. C’è chi pensa che sia giusta la legge del taglione, occhio per occhio, dente per dente. Però se si ritiene giusto sparare a chi ci ruba in casa vuol dire che anche la legge del taglione è troppo poco.
Cambiare il sentimento comune con una legge è solo un’illusione. Bisogna lavorare a livello educativo e sociale.
IL Ministro aveva assicurato che erano in arrivo concrete soluzioni al sovraffollamento che avrebbero alleviato il carico detentivo ampliando le strutture e agevolando la detenzione domiciliare per i detenuti con residuo pena inferiore ai due anni e da inserire in percorsi di cura e recupero rispetto alle dipendenze . Promesse più volte ad assicurare l’agone politico che a realizzare un piano di governo. Le parole e le promesse sono rimaste lettera morta negli ultimi due anni e la situazione nelle carceri è andata via via peggiorando come evidenzia la drammatica situazione dei suicidi (91 nel 2024) e arrivati ad oggi a 69 persone che si sono tolte la vita soffocate dalla condizione di disperazione e degrado, a cui devono aggiungersi quanti sono deceduti per l’incuria sanitaria che regna negli istituti detentivi, e le morti tra gli agenti stremati dal sovraccarico di responsabilità e incombenze a cui sono sottoposti in evidente carenza di organico, nonché ai sempre minori strumenti lasciati alla fase del trattamento.
La deriva sicuritaria (di segno opposto alle promesse ed assicurazioni) ribadisce nelle recenti circolari e disposizioni del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria come i detenuti debbano essere sempre più isolati rispetto alla società presente attraverso le organizzazioni di volontariato oggi limitate.
Alto il grido di sofferenza si è levato dalle carceri come testimonia l’istanza reclamo ex art. 35 ordinamento penitenziario che 135 detenuti di Opera hanno fatto recapitare ai tavoli del Parlamento, in cui denunciano condizioni di grave disagio e deterioramento della qualità della vita detentiva : mancanza di acqua calda nelle celle e nelle docce, condizioni di deterioramento nei locali doccia; infiltrazioni d’acqua dalle finestre delle stanze, insufficiente illuminazione; diffusa presenza di muffa sui muri, infestazione da cimici e zecche, disattivazione del campanello di emergenza nelle stanze, con conseguente impossibilità di richiedere soccorso tempestivo in caso di malore; la carenza costante di personale sanitario e la discontinuità nella somministrazione delle terapie, la mancanza di screening di prevenzione; la difficoltà per i detenuti delle sezioni interessate di accedere a colloqui con i propri legali, alla biblioteca, alla scuola e alle attività lavorative; tempi di attesa eccessivamente lunghi per i colloqui con i familiari; la mancanza o l’irregolarità nella fornitura di beni essenziali per l’igiene personale; le pessime condizioni delle stanze detentive; la perseverante presenza di fumo in ogni angolo degli istituti senza adozione di idonei aspirazioni e sistemi di riciclo dell’aria, ….” E queste sono le condizioni di tutti gli istituti penitenziari nessuno escluso.
Ma la politica è sempre più intenta ad assecondare una cultura sicuritaria in cambio di consenso. È più facile prendere voti spaventando che ragionando e costruendo politiche di inclusione.
Perché la giustizia sia davvero giusta serve un sistema carcerario umano. Le carceri sono sovraffollate e inumane, e questo alimenta la disperazione. Se vogliamo sicurezza dobbiamo cambiare mentalità: pensare non solo ai grandi casi, ma anche a chi sconta pene per piccoli reati e non ha nessuno. La giustizia non è vendetta: è civiltà.
La civiltà si realizza anche attraverso il perdono, aprire una Porta Santa in carcere ci mostra l’unica via che ha senso: quella del perdono, della speranza, della dignità.