Pena di morte: pro e contra
Pena di morte: pro e contra
Abstract: Può lo stato arrogarsi il diritto di comminare e di eseguire la pena capitale nei confronti di chi ha perpetrato un delitto gravissimo? Questa domanda è stata posta già oltre due millenni orsono e viene riproposta, fino ai giorni nostri.
Pena di morte – Regina delle pene?
Per tanti secoli, la pena di morte è stata considerata la “regina delle pene”. Pochi si erano posti il problema, se la stessa fosse lecita o “giusta” oppure utile.
Platone, nella sua opera “Nomoi”, pur avendo affermato, che la pena deve avere lo scopo di “rendere migliore” il delinquente, tuttavia ha poi asserito, che per certi di essi, la morte è il minore dei mali.
Altri hanno parlato, a proposito della pena capitale, di pena naturale nel senso che l’autore di un omicidio, deve patire una pena analoga al delitto perpetrato. In altre parole, al “malum actionis”, deve corrispondere l’identico “malum passionis”.
La pena di morte – per secoli e secoli – era stata generalmente “accettata” quale sanzione adeguata (e necessaria) per delitti gravi (o considerati gravi).
È stato all’epoca dell’Illuminismo, che, per la prima volta, ci si è posta la domanda circa la legittimità e/o l’opportunità della “Todesstrafe”.
Cesare Beccaria e la sua opera
Particolare importanza, in proposito, ha avuto la famosa opera di C. Beccaria: “Dei delitti e delle pene” (1764). Per il Beccaria, la funzione della pena è - prevalentemente – intimidatrice, nel senso che fine della pena, non sarebbe altro, che impedire “il reo dal far nuovi danni ai cittadini e di rimuovere gli altri dal farne uguali”.
Il Beccaria si è anche discostato dall’”esigenza”, che la pena debba essere necessariamente crudele. Ha ravvisato nell’ "inesorabilità della punizione”, la funzione deterrente della stessa, vale dire, nella certezza della pena. Ha contestato l’utilità (e la necessità) della pena capitale; inoltre, per il Beccaria, era inconcepibile, che i cittadini possano avere a “disposizione” anche il diritto sulla vita dei loro simili.
Il libro di Beccaria ha fatto grande impressione a un suo contemporaneo, a Voltaire e, si dice, anche al granduca di Toscana, Leopoldo II, che, nel 1786, ha abolito la pena di morte (“di abolire, la pena di morte per sempre (!) e per qualunque reo, anche se confesso” (ma pure se contumace). Questa monarchia, per la prima volta, ha abrogato formalmente la pena capitale.
Caterina II di Russia ha condiviso le tesi del Beccaria, asserendo che “l’esperienza di tutti i secoli prova, che la pena di morte, non ha giammai resa migliore una nazione”.
L’esempio di questi due stati, non è stato, però, seguito da altri e anche illustre personalità- come Rousseau e Kant – non si sono pronunziati per l’abolizione della pena di morte, anzi, come vedremo, hanno propugnato la tesi opposta.
Secondo il Filangieri, il diritto alla vita si può perdere per effetto della commissione di delitti gravi.
Kant – Doverosità della pena di morte?
Una concezione rigorosamente retributiva, ha spinto Kant (e Hegel) a schierarsi, non soltanto a favore della pena di morte, ma di ritenere l’inflizione della stessa, addirittura “doverosa”. Deve essere corrispondenza tra delitto commesso e castigo, concependo la giustizia come uguaglianza (“uguaglianza correttiva”).
Secondo Kant “se egli ha ucciso, egli deve morire” (“Dottrina del diritto”). Non è ammissibile surrogato alcuno, che possa soddisfare la giustizia.
Ciò nonostante, l’opera di C. Beccaria ha avuto per effetto, che le condanne alla pena capitale sono diminuite dopo la pubblicazione del libro: ”Dei delitti e delle pene”.
Piuttosto curioso appare, che uno dei sostenitori dell’abolizione della pena di morte, sia stato (proprio) Robespierre. Contestava (in un discorso all’Assemblea costituente (1791)), che la pena di morte potesse avere più effetto intimidatore di altre pene e metteva in rilievo anche l’irreversibilità degli errori giudiziari. Altro effetto avuto dall’opera di C. Beccaria, è stato, che in non pochi stati, la punibilità con pena capitale, è stata ristretta ai delitti più gravi, (perlopiù, a omicidi premeditati e spionaggio) e, via via, sono stati eliminati i supplizi (e le inutili crudeltà in occasione dell’esecuzione della pena capitale). Anche le pene per reati meno gravi sono state ridotte.
Uno degli avversari più decisi della pena di morte è stato Victor Hugo.
L’Illuminismo ha avuto per effetto pure, che le sentenze di condanna alla pena di morte, venissero meno frequentemente inflitte ed eseguite o sospese oppure tramutate in pena detentiva.
Sorprendente, è stata la decisione della Corte Suprema degli Stati Uniti d’America, che, dopo una dichiarazione (1972) di incostituzionalità della pena di morte, perchè in contrasto con l’VIII° Emendamento della Costituzione federale (che proibisce pene crudeli e “unusual”), a distanza di soli 4 anni (1976), a seguito di un “revirement”, ha ritenuto, che la pena capitale non violi – sempre – il predetto Emendamento.
Come sopra brevemente accennato, l’argomentazione pro o contro la pena di morte, dipende, almeno in gran parte, dalla funzione, che si attribuisce alla pena.
La concezione tradizionale, cioè quella retributiva, è basata sulla giustizia come uguaglianza (o corrispondenza). È "giusto“, che il delinquente venga punito con lo stesso male, che ha inflitto a un altro. “Chi uccide, sia ucciso”; “chi uccide, perde il diritto alla vita”.
Secondo la concezione preventiva, funzione della pena è di scoraggiare la commissione di reati.
C’è poi chi parla di una concezione etica (o dei princípi) e di concezione utilitaristica (orientata sui “risultati”). Cosí, per esempio, nella discussione circa la punizione da infliggere ai ribelli di Metilene, c’è stato, chi ha ritenuto, che gli abitanti di questa città, che si erano ribellati, dovessero essere puniti – da Atene – con la morte. Diodoto, ispirato al criterio dell’utilità della pena, ha reputato inutile tale pena, asserendo, che era meglio, “lasciar perdere” e farsi alleati gli abitanti di Metilene.
Funzione della pena e pena capitale
Per quanto concerne la funzione espiativa della pena, è stato sostenuto, che, per espiare, bisogna continuare a vivere. Pertanto, questa corrente di pensiero, era contraria alla pena capitale. A ciò, però, è stato obiettato, che la morte costituisce espiazione; “il sangue si lava col sangue”.
Contrari alla pena di morte, sono coloro, che accentuano la funzione emendatrice della pena (in ispecie attraverso il lavoro (forzato)). Tra i fautori di questa tesi, figura il Voltaire, che, con riferimento alla “politica criminale” di Caterina II di Russia, ha osservato, che i delitti non sono aumentatati a seguito delle famose “istruzioni” di questa monarca.
I fautori della pena di morte, si ispirano alla concezione etica della giustizia (la morte è un male necessario), mentre chi propende per l’abolizione di questa pena, segue la teoria cosiddetta utilitaristica (la pena di morte non è utile).
Nel Canada, la pena capitale (nel 1967) è stata sospesa per 5 anni. In questo periodo, non è stato costatato, nè un aumento dei delitti più gravi, nè una diminuzione degli stessi.
Abrogazione della pena capitale (1889) e reintroduzione (1930)
L’Italia è stato uno dei primi Paesi ad abolire la pena di morte (1889), con l’entrata in vigore del codice Zanardelli, salutata da B. Croce, che ha anche affermato, che l’abolizione della pena capitale, era “un fatto di costume” e che un’eventuale restaurazione di questa pena, sarebbe stata “inconciliabile col sentimento nazionale”.
Non è stato cosí.
Col Codice penale del 1930, la pena di morte venne reintrodotta, senza che il “sentimento nazionale” si facesse sentire….
In Francia hanno avuto un certo seguito, i fautori della pena capitale con riferimento ai recidivi. È stato detto, che, non poche volte, in cui la pena di morte, non è stata eseguita (per esempio, a seguito di concessione della grazia), il colpevole ha commesso altro delitto passibile con la pena capitale. Se la pena fosse stata eseguita, non si sarebbe verificato il secondo delitto, non sarebbe stata “sacrificata” la vita di un innocente.
Gli antiabolizionisti hanno anche sostenuto, che sarebbe inconcepibile, che il privato potesse uccidere, esercitando il diritto alla legittima difesa, mentre allo stato non verrebbe riconosciuto il “diritto” di mettere a morte un assassino; gli verrebbe negato il diritto di tutelare la comunità da chi trasgredisce, cosí gravemente, le regole del vivere civile.
A ciò è stato obiettato, che il ricorso alla legittima difesa, da parte del privato, spetta soltanto nell’immediatezza dell’offesa e nell’impossibilità, di fare altrimenti.
La concezione organica dello stato e la concezione individualistica
Lo stato, invece, se commina la pena di morte, risponde “meditatamente”, vale a dire, a seguito di un procedimento disciplinato da regole ben precise (e “reclamabili” in caso di inosservanza), agisce nell’esercizio del “Gewaltmonopol” (monopolio della forza); si poterebbe, quasi dire, in sede di “autotutela”. Per questo motivo, si è parlato di assassinio legale come fatto molto più orrendo di quello compiuto da un delinquente.
Sono di J. S. Mill le parole, scritte a proposito della pena di morte, lá dove parla, prima, di presunte necessità dell’esistenza sociale e poi, di ingiustizie universalmente condannate.
Nonostante tutto, i dibattiti tra assertori della pena di morte e abolizionisti, sono stati definiti come un ozioso passatempo di chi non si rende conto, di come “va il mondo”.
Allo scopo di “legittimare” la pena di morte, è stato fatto ricorso, nel passato (anche remoto), alla concezione organica dello stato, secondo cui, “il tutto è prima delle parti”; la sopravvivenza della comunità, nella sua totalità, è un bene superiore alla vita di una delle parti (del singolo). Nel medioevo, è stato affermato, che è lodevole, mettere a morte il delinquente ai fini della salvezza del bene comune.
In un’opera di Th. Mann (“Zauberberg”) troviamo l’assunto, che la vita del singolo, viene sacrificata, “senza cerimonie al pensiero più alto.”
Le prime teorie abolizionistiche, si sono sviluppate nell’ambito della concezione individualistica della società e dello stato, che ha rovesciato il rapporto tra stato e singola persona; cio è avvenuto da Hobbes in poi.
Le teorie abolizionistiche, in epoche recenti, hanno avuto un notevole successo, almeno nel senso che non sono stati pochi gli stati, che hanno abolito la pena di morte (che, per secoli, è stata la pena “per eccellenza”) oppure l’hanno ristretta ai delitti più gravi contro la persona o contro lo stato.
Non si può, però, sottacere, che nel cosiddetto sentimento popolare (o “common sense”, che dir si voglia), la pena di morte è tuttora “verwurzelt” (radicata) e vi è un’aperta ostilità verso l’abolizione di questa sanzione.
Al “common sense” si era fatto ricorso pure nel 1930, quando venne reintrodotta la pena capitale.
“Non uccidere” –Valore assoluto?
Per chi reputa, che il comandamento “Non uccidere” abbia valore assoluto, l’illiceità dell’inflizione e dell’esecuzione della pena di morte, è evidente.
C’è, però, chi ritiene, che il predetto comandamento e il diritto alla vita, non sia assoluto, che non sia valido in certe circostanze, se sussiste una “iusta causa” (questo, nonostante il diritto alla vita rientri tra i diritti fondamentali della persona).
Deroghe vengono ritenute fondate in caso di conflitto con un altro diritto fondamentale, che si reputa “superiore” e quando il titolare del diritto, non riconosce e viola l’uguale diritto altrui.
L’alternativa dell’ergastolo
Con riferimento allo stato di necessità e alla legittima difesa, quale giustificazione dell’inflizione della pena di morte, è stato osservato, che lo stato non si trova di fronte all’alternativa di infliggere la pena di morte al criminale oppure di lasciarlo impunito. Infatti, l’inflizione della pena capitale, è (soltanto) una delle alternative, a disposizione dello stato, sussistendo altre pene, alle quali può ricorrere.
Legittima difesa e stato di necessità, operano quale scriminante in favore del privato, soltanto se questi, in determinate circostanze (previste dal codice penale), non può fare a meno di violare la legge (per difendere un diritto proprio o altrui (art. 52 c.p.) o per salvare sé o altri (art. 54 c. p.).
Lo stato, titolare del monopolio della forza, non si trova, di solito, nelle situazioni, in cui è il cittadino. In altre parole, lo stato, non è costretto a uccidere, per comminare la “pena capitale” al delinquente (come invece il privato per difendere la propria vita); lo stato può infliggere l’ergastolo per crimini gravi. Ai fini della deroga al principio “Non uccidere”, lo stato – per adempiere la propria funzione punitiva e preventiva – non può addurre argomenti simili a quelli di un privato. Già il Beccaria ha osservato, che l’ergastolo, è da considerare una pena avente maggiore forza intimidatrice rispetto alla pena capitale.
Ci sono ancora tanti stati, i cui ordinamenti prevedono la pena di morte e lento è stato il cammino verso un minor ricorso a questa pena nel senso di limitarla (almeno) ai delitti più gravi.
Sarà un’ulteriore conquista della civiltà, qualora verrà abolita la “Todesstrafe” dappertutto. Ma ci vorrà – è da ritenere – tempo, molto tempo…. Se si pone mente, che in certi Paesi, verrebbe tagliata la mano ai ladri. Quanti mutilati ci sarebbero in Europa, se a tutti i ladri…..