Alla fine è arrivato il Decreto Legge Sicurezza

Uno stato che insiste con le pene è uno stato che si delegittima
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Uno stato che insiste con le pene è uno stato che si delegittima

Alla fine è arrivato il Decreto Legge Sicurezza

La situazione si aggrava …la sicurezza si riduce … nelle carceri si continua a morire

 

 

Un provvedimento «corposo», articolato in 34 norme e «non di facile lettura», il decreto legge sulla sicurezza, approvato il 04.04.2025 dal Consiglio dei ministri e pubblicato dopo la firma del Presidente della repubblica in Gazzetta ufficiale il 11.04.2025 con il n. 48,  presenta diverse correzioni rispetto al testo originario del Ddl, in particolare su sei punti oggetto di rilievo da parte del Presidente della Repubblica. La più significativa riguarda la collaborazione tra amministrazioni pubbliche e servizi segreti: è stata espunta la previsione che imponeva un obbligo generalizzato di condivisione di dati, anche in deroga alla normativa sulla privacy. Resta soltanto la facoltà di collaborazione già prevista dalla normativa vigente.

Altro punto attenuato è la custodia cautelare per donne incinte o madri di bambini sotto l’anno di età: la misura non sarà più obbligatoria, ma lasciata alla valutazione del giudice. Viene così esclusa una rigida automatizzazione, che avrebbe potuto comportare violazioni ai diritti dei minori e alla finalità rieducativa della pena.

Sul fronte delle manifestazioni, l’aggravante per chi ostacola opere pubbliche è stata limitata alle sole infrastrutture di interesse strategico (trasporti, energia, telecomunicazioni, servizi pubblici), mentre è stata confermata l’esclusione del reato di rivolta nei centri di accoglienza per migranti. Nei CPR e nelle carceri, invece, il reato si configura solo in caso di violazione di ordini impartiti per la tutela dell’ordine e della sicurezza interna, con esclusione di altri ordini generici.

Altre modifiche riguardano la vendita di SIM ai migranti, che ora potranno essere acquistate anche con passaporto o altro documento valido, senza obbligo di permesso di soggiorno, e la possibilità di considerare le attenuanti generiche nei reati contro pubblici ufficiali, laddove inizialmente previste come escluse.

Il decreto mantiene un impianto ampio in termini di introduzione di nuovi reati e aggravamenti sanzionatori, assumendo un rilevante peso sanzionatorio. Si confermano oltre venti nuove fattispecie penali (che si aggiungono a quelli già introdotti con il decreti precedenti) tra cui:

. occupazione abusiva di immobili;

. blocchi stradali o ferroviari;

. induzione all’accattonaggio minorile;

. rivolta nei CPR e nelle carceri.

Elemento centrale del decreto è l’adozione di tutele legali per gli operatori del comparto sicurezza. Gli agenti e militari indagati per fatti connessi al servizio potranno continuare a prestare attività lavorativa e avranno diritto a un rimborso legale fino a 10.000 euro per ciascuna fase del procedimento, anticipato dal Viminale. La misura, secondo la premier Meloni, rappresenta una risposta attesa da tempo e ritenuta “sacrosanta”.

Il Parlamento avrà ora 60 giorni per convertire il decreto in legge. Secondo il ministro Piantedosi, il testo rappresenta una “tutela dei più deboli” e non un ritorno a un’impostazione esclusivamente securitaria. Le scelte del Governo – ha ribadito – sono state dettate dalla necessità di porre fine a un iter legislativo troppo lungo e intervenire in maniera risolutiva su temi di forte impatto sociale, mentre le opposizioni hanno definito il provvedimento una “forzatura” e annunciato iniziative di mobilitazione contro quella che ritengono una compressione del ruolo del Parlamento.

Avvocatura, Accademia e Magistratura: tutti uniti contro il dl sicurezza, incardinato ieri nelle commissioni Affari costituzionali e giustizia della Camera. Dopo la presa di posizione della scorsa settimana del Consiglio direttivo dell’Associazione Italiana dei Professori di Diritto Penale, presieduta dal professor Gatta, e la delibera di astensione di tre giorni proclamata dall’Unione Camere Penali ieri è arrivato anche il comunicato di critica da parte dell’Anm riguardante possibili profili di illegittimità costituzionale.

Secondo le toghe, capeggiate da Cesare Parodi, ci sono problemi di metodo e merito. Sul primo perché “il ricorso al decreto legge ha posto nel nulla un fecondo dibattito in Parlamento che durava da oltre un anno”. Sul secondo in quanto “le quattordici nuove fattispecie incriminatrici, l’inasprimento delle pene di altri nove reati e l’introduzione di aggravanti prive di fondamento razionale danno vita a un apparato normativo che non si concilia facilmente con i principi costituzionali di offensività, tassatività, ragionevolezza e proporzionalità”. In particolare “si introducono nuovi reati per sanzionare in modo sproporzionato condotte che sono spesso frutto di marginalità sociale e non di scelte di vita”, “incriminare la resistenza passiva nelle carceri e nei CPR produce effetti criminogeni”, infine “nonostante la gravissima situazione carceraria, più volte denunciata, si introducono nuove ipotesi di esclusione delle misure alternative e dei benefici penitenziari, oltre al carcere per le donne incinte”.

Dopo l’entrata in vigore del D.L. (12.4.2025) due avvocati milanesi, in un processo per direttissima a carico di due arrestati per resistenza a pubblico ufficiale, hanno chiesto al giudice di sollevare dubbio di legittimità costituzionale proprio del dl sicurezza per “mancanza delle ragioni di necessaria e straordinaria urgenza per la decretazione governativa”. Il decreto, infatti, ha introdotto una nuova aggravante se “il fatto è commesso nei confronti di un ufficiale o un agente di polizia giudiziaria o di pubblica sicurezza con l’aumento di pena fino alla metà”. La giudice Ilaria Simi si è riservata e dovrebbe decidere nell’udienza fissata per il 26 maggio.

È ancora l’annuncio da parte di Franco Corleone, presidente del Comitato scientifico della Società della Ragione, ex sottosegretario alla Giustizia e già garante dei detenuti della Toscana, dell’inizio di uno sciopero della fame per protestare contro il decreto sicurezza. “Sono rimasto sbigottito e incredulo di fronte all’emanazione di un decreto legge sulla sicurezza e ancor più per la firma del presidente della Repubblica a un provvedimento senza i requisiti di necessità e urgenza e che segna una svolta autoritaria e un colpo allo stato di diritto”, ha spiegato Corleone. “Ho deciso di compiere un atto di testimonianza – ha aggiunto – per non essere complice neppure per omissione e da questo lunedì fino al venerdì prima di Pasqua digiunerò aspettando il suono a morto delle campane di tutte le chiese per ricordare la tragedia delle carceri”.

Nel mentre il vertice della Corte Costituzionale, Amoruso, nella relazione annuale con tono grave ammonisce:  "È una tragedia quella dei suicidi in carcere", commenta poi il presidente, che negli anni scorsi ha partecipato al denso viaggio della Consulta negli istituti penitenziari italiani. Affrontando poi il tema del diritto all'affettività dei detenuti, sancito da una recente sentenza della Corte, aggiunge: "La Corte era ben consapevole dei problemi organizzativi, ma è un cammino che occorre intraprendere e rendere effettiva questa tutela. Prima c'era un impedimento che ora è stato rimosso. La Corte ha svolto suo compito, ora va affrontato quello organizzativo. E' inevitabile che ci sia una gradualità nell'affrontare i luoghi per l'affettività". Infine, senza pronunciarsi sulle controverse norme del recente decreto Sicurezza varato dal governo, poco prima nella relazione Amoroso aveva significativamente puntualizzato: “L'esecuzione della pena deve tendere alla riabilitazione del condannato con modalità che non rappresentino aggravamenti ingiustificati della stessa".

In carcere le vittime per suicidio sono giunte a 27 dall’inizio dell’anno al 10.04.2025. Ultima tragedia si consuma a Cuneo ed il sindacato di Polizia Penitenziaria Osapp, definisce “mai così drammatiche le condizioni delle carceri italiane”.

 “Non è più solo un problema di sovraffollamento carcerario, con cifre che raggiungono in alcuni penitenziari oltre il 70% in più delle capienze consentite” sostiene il segretario generale dell’Osapp Leo Beneduci, menzionando anche il problema degli organici (“mancano il 20% degli agenti con punte in alcune sedi di oltre il 35%”) e la fatiscenza delle infrastrutture (il 70% degli istituti penitenziari è “in condizioni disastrose”). L’emergenza “riguarda l’assenza di una politica penitenziaria nazionale e in grado di produrre risultati concreti”.

 Il problema “gravissimo ed inaccettabile dei suicidi in carcere” è la riprova, sostiene il sindacalista, di “un sistema che fa acqua da tutte le parti” .

A detta di Beneduci “non sono più, purtroppo di alcuna utilità i ripetuti appelli del presidente della Repubblica Mattarella o di Papa Francesco se, nonostante l’evidente disastro, le ingentissime spese e l’assenza di risultati concreti, si lasciano le stesse figure, persino per svariati anni ai vertici nazionali del sistema penitenziario”. Stigmatizzando “gli slogan di parte della politica e persino del sottosegretario delegato”, Beneduci denuncia “l’aumento delle morti e dei suicidi in carcere, le continue e cruente aggressioni in danno del personale e il proliferare dei traffici interni a vantaggio della criminalità organizzata”.

A fronte di tutto questo l’inerzia concreta del Governo è palpabile, l’azione è fatta solo di proclami e di provvedimenti vuoti di contenuti, il più delle volte lasciati a dormire : non è stato ancora approvato il regolamento sull'aumento delle telefonate per i detenuti che era annunciato nel famoso decreto carceri; per non dire del tema delle celle- container: Questi prefabbricati sono per 384 nuovi posti che costano 32 milioni di euro, cioè 83 mila euro a detenuto che viene messo dentro un prefabbricato. A fronte di un sovraffollamento di 16 mila persone si spendono 32 milioni per allocare 384 persone.

Il problema dei suicidi e del sovraffollamento non può essere ridotto a mere statistiche o a piani ancora in fase di ipotetica realizzazione, occorre il coraggio di atti di integrazione vera, di promozione concreta della cultura e della volontà di reinserimento utilizzando strumenti di clemenza che sono previsti dall’Ordinamento e dal Codice a cui si accompagnino azioni di cultura sociale volta al rispetto che elimino le disuguaglianze in modo concreto, che intervengano con un sostegno sociale capace di integrare e non solo di essere assistenziale. Occorre mettere in campo una visione di società e di stato capace di “rimuovere quegli ostacoli di ordine economico , sociale , culturale, etnico …” che oggi sono alla base delle devianze e dei reati.

L’idea che uno Stato che ricorre sistematicamente all’inasprimento delle pene sia, in realtà, uno Stato debole, può apparire paradossale, soprattutto in una società che spesso invoca “più sicurezza” come risposta alla criminalità. Tuttavia, se osservata attraverso la lente di alcuni pensatori del diritto e della filosofia politica, questa affermazione rivela una profonda verità: l’inasprimento delle pene è, frequentemente, il segno di un’incapacità strutturale dello Stato di affrontare le cause profonde del disagio sociale.

Già Cesare Beccaria, nel celebre Dei delitti e delle pene (1764), sosteneva che “è meglio prevenire i delitti che punirli”, e che la certezza della pena è più efficace della sua severità. Secondo il giurista illuminista, l’equità del sistema penale dipende dalla sua prevedibilità, non dal terrore che incute. Lo Stato forte, per Beccaria, è quello che sa prevenire attraverso l’istruzione, l’equità e la giustizia sociale.

Michel Foucault, in Sorvegliare e punire (1975), analizza il passaggio da una giustizia spettacolare a una giustizia disciplinare. Per lui, l’inasprimento delle pene e la proliferazione dei dispositivi di controllo sono manifestazioni di un potere che si esercita in modo più sottile, ma non per questo meno autoritario. Quando lo Stato intensifica il proprio apparato punitivo, spesso lo fa perché non riesce a governare attraverso il consenso e la partecipazione.

Il pensiero contemporaneo di Zygmunt Bauman, in Paura liquida (2008), evidenzia come la politica moderna sfrutti la paura come merce di scambio: la promessa di “sicurezza” giustifica misure repressive che, in realtà, mascherano l’incapacità di rispondere alle ansie profonde della società. Uno Stato forte non è quello che punisce duramente, ma quello che costruisce coesione e fiducia.

Anche Luigi Ferrajoli, con la sua teoria del garantismo, insiste sul fatto che l’inasprimento delle pene è spesso il risultato di un populismo penale che punta più al consenso elettorale che all’efficacia del diritto. Uno Stato che funziona ha bisogno di processi giusti, pene proporzionate, reinserimento sociale e prevenzione.

In definitiva, lo Stato che inasprisce le pene come soluzione principale ai problemi sociali mostra la sua debolezza: è lo Stato che rinuncia alla prevenzione, all’educazione, alla giustizia sostanziale. È, paradossalmente, uno Stato che punisce perché non riesce più a governare.