La pena e le misure di reinserimento – l’attacco al sistema Bollate

La pena e le misure di reinserimento – l’attacco al sistema Bollate
la critica strumentale e populista che risponde di pancia e non guarda al sistema
- 23 maggio 2025 -
La vicenda del detenuto della II CR di Milano-Bollate suicidato gettandosi dalle guglie del Duomo di Milano domenica 11 maggio scorso ha aperto un dibattito per certi aspetti surreale e mistificatorio. Lasciando alla autorità giudiziaria l’accertamento dei fatti collegati alla vicenda (morte della collega ritrovata al parco Nord, aggressione al collega avvenuta sabato mattina 10 maggio all’alba nei pressi del luogo di lavoro, estremo gesto di suicidio plateale), qui ci si vuole interrogare sulle divagazioni che l’evento ha sollecitato circa l’opportunità che persone detenute secando dal carcere a lavorare compromettendo la sicurezza sociale. Abbiamo sentito esternazioni di ogni sorta unanimemente orientate ad una censura senza appello ad un sistema giudicato inopportuno e financo sbagliato. Abbiamo sentito accostare il fatto a presupposti strampalati per descrivere la condizione del detenuto E.D. : fruitore di un permesso lavorativo, libero in permesso premio per lavorare … espressione quelle usta e tutte errate e volutamente fuorvianti, capaci di allarmare l’opinione pubblica e brandire un populismo giustizialista che non ammette seconde opportunità.
Va chiarito in via preliminare che il detenuto , protagonista della vicenda, era in carcere dall’Aprile 2018 per scontare una condanna alla pena di 14 anni e 3 mesi inflitta dalla Corte d’Appello di Napoli per il reato di omicidio volontario. Nel maggio 2023 ossia dopo 5 anni di carcerazione intramuraria, durante i quali il condannato ha dato prova di corretta condotta e adesione all’opera trattamentale a norma dell’art. 21 Ordinamento penitenziario è stato ammesso al lavoro all’esterno del carcere (lavoro reperito sulla base della affidabilità del datore di lavoro, le caratteristiche formative del soggetto, le predisposizioni attitudinali (il detenuto parlava correttamente quattro lingue straniere). L’art. 21 Ordinamento prevede : “ 1. I detenuti e gli internati possono essere assegnati al lavoro all'esterno in condizioni idonee a garantire l'attuazione positiva degli scopi previsti dall'articolo 15. Tuttavia, se si tratta di persona condannata alla pena della reclusione per uno dei delitti indicati nei commi 1, 1-ter e 1quater dell'articolo 4 bis, l'assegnazione al lavoro all'esterno può essere disposta dopo l'espiazione di almeno un terzo della pena e, comunque, di non oltre cinque anni. Nei confronti dei condannati all'ergastolo l'assegnazione può avvenire dopo l'espiazione di almeno dieci anni. ….”
Il detenuto in questione aveva superato il terzo di pena ed aveva scontato i 5 anni previsti dalla norma quale termine massimo .
Va inoltre precisato che l’ammissione al lavoro all’esterno non è affatto un beneficio, né tantomeno un premio, si tratta di una modalità di trattamento, ossia una modalità individuata in ragione della finalità della pena detentiva (art. 27 Costituzione) quale strumento appropriato per portare il condannato al progressivo reinserimento sociale … ossia al suo recupero quale persona e quale cittadino, dopo l’espiazione della pena inflitta dalla sentenza di condanna che ne ha accertato la responsabilità penale dei fatti contestati.
Quindi non ci si trovava difronte ad alcun permesso, né tantomeno permesso premio !
La descrizione enfatizzata e apocrifa delle cronache ha volto invece descrivere un “privilegio” per dimostrare che i detenuti non vanno premiati perché pericolosi e capaci di atroci comportamenti! Una narrazione volutamente orientata a determinare paura nell’opinione pubblica e deplorazione rispetto soggetti che vanno avviati ad una corretta accettazione delle regole ed al recupero sociale (art. 27 Cost.).
La narrazione della cronaca si è accompagnata ad una enfatizzazione dell’allarme sociale rispetto ai detenuti ed alle pene mediante una spettacolarizzazione mediatica dell’accaduto seguito in maniera ossessiva e martellante, nelle ore tra sabato 10 maggio pomeriggio e domenica 11 maggio in mattinata l’immagine della foro segnaletica del detenuto e la ricostruzione del tutto fantasiosa e romanzata della vicenda e delle ore che si susseguivano alla ricerca del “fuggitivo omicida” hanno rappresentato un angosciante pathos degno di taluni Thriller cult americani (tanto da ricordare "Omicidio in diretta" -film del 1998- o "Quinto potere" del 1976 - in alcuni tratti "Il fuggitivo" film del 1993 -). Tutto per arrivare a mettere sotto accusa il sistema del carcere ritenuto sul piano trattamentale un vero e proprio Modello in Italia ed in Europa dove la recidiva, grazie al piano trattamentale incentrato proprio sul lavoro interno ed esterno, è scesa sino toccare il minimo dell’8%.
Ripetiamo la vicenda la si lascia alla competenza dell’autorità giudiziaria, ci si limita in questa sede ad una domanda: il detenuto in circolazione dopo non essere rientrato in carcere ed essere stato coinvolto nella vicenda interpersonale con i colleghi di lavoro protagonisti della vicenda, si sarebbe gettato dalle guglie del duomo se non avesse assistito alla martellante rincorsa di notizie ed immagini passate compulsivamente su tutte le emittenti televisive e sui canali social che lo ritraevano come un “Killer in fuga dopo aver ucciso e accoltellato” ? forse quella pressione mediatica ha prodotto in lui una tale angoscia da spingerlo giù da quelle guglie … non lo sapremo mai… ma certo quel rincorrersi di notizie urlate con un linguaggio violento che parlava di fuggiasco, killer, galera … non ha fatto benne …a nessuno !
Ma tornando al tema della riflessione…la vicenda ha messo sotto accusa il “sistema bollate” tanto da ipotizzarsi ispezioni ministeriali sull’operato degli educatori e financo su quello del Magistrato di Sorveglianza che avrebbe firmato il “permesso premio per lavorare”
L’on. Maurizio Gasparri e il deputato di Fratelli d’Italia, Riccardo De Corato, hanno annunciato due interrogazioni al Ministro della Giustizia Carlo Nordio, in cui si chiede di chiarire eventuali responsabilità ed errori di valutazione da parte dei giudici che hanno concesso i permessi al detenuto.
Le parole di Gasparri : “È incredibile che una persona responsabile di un femminicidio abbia potuto fruire di permessi. Chiedo un'ispezione sulle strutture giudiziarie che sono responsabili dei permessi concessi a E.D. Le valutazioni della magistratura sono state evidentemente sbagliate ed è necessario individuare le colpe e sanzionare chi ha commesso un errore così grave. Chiedo quindi al ministro Nordio di procedere con immediatezza a un'ispezione nella speranza che questa volta chi ha sbagliato nella Magistratura paghi e non accada quello che accade sempre: le toghe sbagliano ed i cittadini pagano”.
L’on. Riccardo De Corato, di Fratelli d’Italia, criticando ‘una certa magistratura buonista e di sinistra’ accusata di essere ‘troppo morbida’ chiede “Sin dalle prime ore successive all’accoltellamento, proprio due giorni fa, avevo annunciato una mia interrogazione parlamentare alla Camera, all'attenzione dei ministri Nordio e Piantedosi sul fatto che certa magistratura 'buonista' e di sinistra fosse troppo morbida nei confronti di alcuni carcerati che, viceversa, devono scontare le loro pene all'interno delle galere”.
Questi signori probabilmente non conoscono il concetto ontologico e giuridico della statuizione portata dall’art. 27 della Costituzione eppure siedono in Parlamento, concorrono a fare le leggi, e soprattutto esprimono giudizi nei diversi Talk Show televisivi (magari incassando un lauto gettone di presenza) .
Il populismo penale, l’ansia di forca, soprattutto tra i dirigenti politici, i giornalisti e i parlamentari è una delle forme più di basso livello di populismo. Una smania di potere, di accanimento, un tipo speciale di sadismo. I capi dei partiti, se avessero un minimo senso dello Stato, richiamerebbero i propri parlamentari a un atteggiamento più responsabile.
Il Ministro Nordio ha chiesto i documenti del fascicolo del detenuto annunciando ispezioni sulle relazioni del carcere mettendo in discussione all’operato di educatori e dell’equipe trattamentale. Eppure il detenuto era stato osservato per oltre cinque anni e non solo dal carcere di Bollate, aveva dato segni di pentimento, prendendo in mano la sua vita iscrivendosi all’università e dando valore alle sue competenze, in particolare la conoscenza di ben cinque lingue che parlava correttamente tanto che il suo datore di lavoro che lo ha valutato e conosciuto per ben due anni lo stimava e lo riteneva un “dipendente modello” da meritarsi un contratto a tempo indeterminato.
L’accaduto non ha nulla a che vedere con l’opera trattamentale, la dedita competenza dell’Equipe, al piano trattamentale proprio dell’impianto educativo del carcere di Bollate che negli anni (più di venti) ha dato prova di sconfiggere la recidiva proprio con il lavoro e significativamente con il lavoro all’esterno dentro a quella società che deve prepararsi a riaccogliere il detenuto.
L’intervento più sbagliato e controproducente, dopo la tragedia di Milano e del detenuto, sarebbe quello del ministero. Sarebbe un errore qualunque sanzione nei confronti dei giudici o della direzione e del equipe trattamentale del carcere di Bollate, l’istituto di pena che vanta il più basso tasso di recidiva di reati d’Italia.
Il percorso carcerario del detenuto era stato perfetto e impeccabile sino a quel momento, tanto da meritare relazioni positive di ogni operatore penitenziario, dallo psicologo all’educatore, fino alla direzione del carcere e ai giudici del tribunale di sorveglianza. Un percorso tipico dei migliori risultati del carcere di Bollate, l’istituto di pena nato venticinque anni fa su iniziativa di un gruppo di riformatori, tra cui il direttore del carcere di San Vittore, Luigi Pagano, sulla base di un principio fondamentale, quello della dignità della persona.
Lo studio, il teatro e soprattutto il lavoro sono stati, e tuttora sono, l’apriscatole per combattere la recidiva. Un modello riuscito, se si pensa che, mentre i detenuti usciti da altri istituti di pena hanno il 60-70% di probabilità di commettere di nuovo qualche reato, la recidiva media di Bollate si attesta al 7%. Impegnare i detenuti nel lavoro è l’intuizione più fortunata.
Ora non si può pensare di buttare a mare un esperimento, che è diventato una realtà stabile, che funziona e che sarebbe invece opportuno estendere il più possibile a tutta Italia.
Il sottosegretario on. Sisto ha sottolineato come il caso sia particolarmente delicato e abbia messo in evidenza le problematiche psicologiche del detenuto. Sisto ha ribadito, in una recente intervista, che la concessione di permessi premio a detenuti con precedenti penali gravi richiede un'accurata valutazione da parte del giudice di sorveglianza. Secondo il viceministro, il giudice deve agire con prudenza, ha anche suggerito che sarebbe utile che il giudice di merito possa decidere direttamente sulla possibilità di concedere permessi premio, garantendo una maggiore sicurezza per i cittadi. Tali considerazioni dimostrano una scarsa conoscenza approfondita della realtà: il Giudice di merito non ha facoltà di entrare in valutazioni che riguardano la esecuzione della pena, la cui valutazione non può che essere fatta in itinere e non già anticipata ex ante, il suggerimento quindi incontra una oggettiva improcedibilità. Lascia aperto tuttavia lo spunto ad una ulteriore riflessione: quanto investe lo stato sulla effettiva applicazione del principio costituzionale dell’art. 27 . ossia quante risorse impiega per rendere effettiva quella valutazione di idoneità, che lo stesso sottosegretario invoca come necessaria, e che non dipendente da valutazione preventive o precostituite sul passato ma richiede un programma di valutazione e di accompagnamento necessariamente fatto di competenze. Allora perché chiediamo al sottosegretario Sisto ed al Ministro Nordio, tagliare i fondi per gli psicologi che sono applicati alle carcere proprio per le valutazioni criminologiche ex art. 80 Ordinamento Penitenziario.
Sino a due anni fa gli Psicologi applicati in regime di convenzione venivano retribuiti 15 euro l’ora per un monte ore di 70 ore mese, nel 2023 a causa della carenza di fondi e per rispondere alla protesta dei professionisti non più disposti a lavorare sottopagati il Ministero e di Provveditorati hanno raddoppiato la paga oraria passata a 35 euro ora (lordi) ma dimezzando le ore assegnate.
Risultato : il servizio di valutazione criminologica si è ridotto drasticamente non riuscendo a garantire ai percorsi carcerari quel servizio indispensabile per le valutazioni appropriate richieste dall’ordinamento (art. 80 O.P) nella ammissione alle modalità trattamentali ed ai benefici penitenziari, facendo venire meno così alle equipe trattamentali e ai magistrati di sorveglianza proprio quei supporti tecnici di valutazione psicologica e criminologica che oggi, dopo il caso del detenuto di Bollate che si è suicidato gettandosi dalle guglie del Duomo, si invocano.
Forse all’origine di tutti i mali c’è ancora una volta la atavica incapacità dello stato di programmare e di investire sulla persona per il suo sostegno nei casi di fragilità e questo vale per il carcere, per la scuola, per la sanità. Uno stato incapace di investire e programmare e che si affida ad un populismo di pancia che gli garantisce consenso elettorale.