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Sesso a distanza: anche l’invio di foto hard integra il reato di violenza sessuale

Violenza sessuale
Violenza sessuale

Con la recente sentenza 8 settembre 2020, n. 25266, la Corte di Cassazione, Terza Sezione Penale, torna a pronunciarsi in tema di atti sessuali e reato di violenza sessuale, giungendo a ritenere lo stesso integrato anche da condotte commesse esclusivamente con l’uso di strumenti telematici, qualora idonee a compromettere il bene primario della libertà individuale della persona offesa.

La pronuncia della Cassazione trae origine dal ricorso proposto da un soggetto sottoposto alla misura della custodia cautelare in carcere disposta dal Giudice per le Indagini Preliminari e confermata dal Tribunale del Riesame. Il ricorrente era indagato per il reato di cui agli articoli 81 cpv, 609-bis e 609-ter Codice Penale per aver “scritto una serie di messaggi di whatsapp allusivi e sessualmente espliciti ad una ragazza, minore di età, costringendola a scattarsi foto e ad inoltrare una foto senza reggiseno, nonché a ricevere una foto ritraente il membro maschile e commentarla, sotto la minaccia di pubblicare la chat su instagram e su pagine hot”.

Nel ricorso, la difesa dell’indagato eccepiva violazione di legge con riferimento alla fattispecie delittuosa contestata, deducendo l’insussistenza di un “atto sessuale”, anche solo tentato, non essendosi verificato alcun incontro tra l’agente e la persona offesa, ma esclusivamente lo scambio di messaggi a sfondo sessuale e di foto ritraenti parti anatomiche erogene, sia dell’uno che dell’altra.

A parere del ricorrente, la condotta contestata non poteva essere ritenuta lesiva dell’integrità psico-fisica e della sfera sessuale della minore – bene giuridico protetto dalla fattispecie delittuosa di cui all’articolo 609-bis Codice Penale – per l’assenza di qualsivoglia richiesta di rapporto sessuale volta al soddisfacimento degli impulsi concupiscenti dell’agente. Per l’insussistenza del predetto elemento oggettivo, non poteva ritenersi integrato il reato di violenza sessuale, neppure nella forma tentata, potendosi al più contestare il reato di adescamento di minore ex articolo 609-undecies Codice Penale.

La Suprema Corte ha ritenuto il ricorso infondato, sostenendo la legittimità e la non censurabilità del ragionamento esposto nella decisione oggetto di gravame, in base al quale il delitto di violenza sessuale doveva ritenersi pienamente integrato quando, “pur in assenza di contatto fisico con la vittima, gli atti sessuali coinvolgessero la corporeità sessuale della persona offesa e fossero finalizzati e idonei a compromettere il bene primario della libertà individuale nella prospettiva di soddisfare o eccitare il proprio istinto sessuale”.

Nel caso di specie, il Tribunale del riesame, con decisione “solida e ben motivata”, aveva ravvisato i gravi indizi di colpevolezza del reato contestato “nell’induzione allo scambio di foto erotiche, nella conversazione sulle pregresse esperienze sessuali ed i gusti erotici, nella crescente minaccia a divulgare in pubblico le chat”.

I giudici di legittimità hanno ricordato, peraltro, come, in altre occasioni, condotte simili siano state sussunte nella forma tentata di violenza sessuale. In particolare, nella decisione qui annotata, è citato un caso in cui, nella vigenza dell’abrogato articolo 519 Codice Penale, era stato qualificato come tentativo di violenza carnaleil fatto di chi, minacciando – e poi attuando la minaccia – di inviare ai parenti di una donna foto compromettenti scattate in occasione di incontri amorosi con lei precedentemente avuti, tenti di costringerla ad ulteriori rapporti sessuali, non rilevando l’assenza di qualsivoglia approccio fisico, in quanto con l’effettuazione della minaccia, diretta a costringere la persona offesa alla congiunzione, iniziava comunque l’esecuzione materiale del reato” (Cassazione, sentenza 14 giugno 1994, n. 8453).

Più di recente, la Cassazione ha ritenuto integrato il reato di tentata violenza sessuale a danno di un minore dalla condotta di un soggetto che aveva inviato a mezzo telefono cellulare un SMS alla persona offesa nel tentativo di indurlo a compiere sulla propria persona atti di autoerotismo (Cassazione, sentenza 25 marzo 2009, n. 12987).

In una situazione assimilabile a quella in esame, invece, la Corte di legittimità ha ravvisato l’integrazione del reato consumato di atti sessuali con minorenne di cui all’articolo 609-quater Codice Penalenella condotta di richiesta ad un minorenne, nel corso di una conversazione telefonica, di compiere atti sessuali, di filmarli e di inviarli immediatamente all’interlocutore, non distinguendosi tale fattispecie da quella del minore che compia atti sessuali durante una video-chiamata o una video-conversazione” (Cassazione, sentenza 24 aprile 2019, n. 17509).

A giudizio della Cassazione, dunque, ai fini dell’integrazione del reato di violenza sessuale, non è dirimente la mancanza di un contatto fisico tra autore e vittima e questo può essere commesso anche mediante l’esclusivo utilizzo di strumenti telematici di comunicazione a distanza, purché gli atti posti in essere coinvolgano oggettivamente la corporeità sessuale della persona offesa, siano finalizzati a soddisfare l’istinto sessuale dell’agente e siano idonei a compromettere il bene primario della libertà individuale.

L’atto sessuale richiesto dalla fattispecie di cui all’articolo 609-bis Codice Penale, che implica il coinvolgimento della corporeità sessuale del soggetto passivo, può realizzarsi non solo con un contatto fisico diretto tra autore e persona offesa, ma anche a distanza, attraverso l’utilizzo di mezzi telematici.

Per le ragioni suesposte, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali.