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Art. 609-bis - Violenza sessuale (1)

1. Chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità, costringe taluno a compiere o subire atti sessuali è punito con la reclusione da sei a dodici anni. (2)

2. Alla stessa pena soggiace chi induce taluno a compiere o subire atti sessuali:

1) abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto;

2) traendo in inganno la persona offesa per essersi il colpevole sostituito ad altra persona.

3. Nei casi di minore gravità la pena è diminuita in misura non eccedente i due terzi.

(1) Articolo aggiunto dall’art. 3, L. 66/1996.

(2) L’attuale pena è stata aumentata dall’art. 13 della L. N. 69/2019. In precedenza era da cinque a dieci anni.

Rassegna di giurisprudenza

Elemento soggettivo

Ai fini dell’integrazione dell’elemento soggettivo del reato di violenza sessuale non è necessario che la condotta sia specificamente finalizzata al soddisfacimento del piacere sessuale dell’agente, essendo sufficiente che questi sia consapevole della natura oggettivamente “sessuale” dell’atto posto in essere volontariamente, ossia della sua idoneità a soddisfare il piacere sessuale o a suscitarne lo stimolo, a prescindere dallo scopo perseguito (Sez. 3, 3648/2018).

 

Elemento oggettivo

Integra l’elemento oggettivo del reato di violenza sessuale non soltanto la condotta invasiva della sfera della libertà ed integrità sessuale altrui realizzata in presenza di una manifestazione di dissenso della vittima, ma anche quella posta in essere in assenza del consenso, non espresso neppure in forma tacita, della persona offesa, come nel caso in cui la stessa non abbia consapevolezza della materialità degli atti compiuti sulla sua persona (Sez. 3, 22127/2017).

Ai fini della configurabilità del delitto di violenza sessuale, la rilevanza di tutti quegli atti che, in quanto non direttamente indirizzati a zone chiaramente definibili come erogene, possono essere rivolti al soggetto passivo, anche con finalità del tutto diverse, come i baci o gli abbracci, costituisce oggetto di accertamento da parte del giudice del merito, secondo una valutazione che tenga conto della condotta nel suo complesso, del contesto in cui l’azione si è svolta, dei rapporti intercorrenti fra le persone coinvolte e di ogni determinazione della sessualità del soggetto passivo (Sez. 3, 10248/2014).

In tema di reati sessuali, l’idoneità della violenza o della minaccia a coartare la volontà della vittima va esaminata non secondo criteri astratti e aprioristici, ma valorizzando in concreto ogni circostanza oggettiva e soggettiva, sicché essa può sussistere anche in relazione ad una intimidazione psicologica attuata in situazioni particolari tali da influire negativamente sul processo mentale di libera determinazione della vittima, senza necessità di protrazione nel corso della successiva fase esecutiva (Sez. 3, 14085/2013).

Il concorso di persone nel reato di violenza sessuale è configurabile solo nella forma del concorso morale con l’autore materiale della condotta criminosa ove il concorrente non sia presente sul luogo del delitto, configurandosi diversamente il reato di violenza sessuale di gruppo (Sez. 3, 26369/2011).

La fattispecie criminosa di violenza sessuale è integrata, pur in assenza di un contatto fisico diretto con la vittima, quando gli “atti sessuali”, quali definiti dall’art. 609-bis, coinvolgano oggettivamente la corporeità sessuale della persona offesa e siano finalizzati ed idonei a compromettere il bene primario della libertà individuale, nella prospettiva del reo di soddisfare od eccitare il proprio istinto sessuale (Sez. 3, 11958/2011).

Il delitto di violenza sessuale è configurabile sia nel caso di rapporto sessuale completo sia nel caso di compimento di atti sessuali, in quanto ai fini della configurabilità del reato è sufficiente un’intrusione nella sfera sessuale della vittima (Sez. 3, 16757/2009).

In tema di reati sessuali, rientra nella nozione di minaccia impiegata dall’art. 609-bis anche la prospettazione, da parte del soggetto agente, di esercitare un diritto quando essa sia finalizzata al conseguimento dell’ulteriore vantaggio di tipo sessuale, non giuridicamente tutelato, ottenendosi per tale via un profitto ingiusto e contra ius (Sez. 3, 37251/2008).

In tema di violenza sessuale, la nozione di atti sessuali è la risultante della somma dei concetti di congiunzione carnale ed atti di libidine, previsti dalle previgenti fattispecie di violenza carnale ed atti di libidine violenti, per cui essa viene a comprendere tutti gli atti che, secondo il senso comune e l’elaborazione giurisprudenziale, esprimono l’impulso sessuale dell’agente con invasione della sfera sessuale del soggetto passivo.

Devono pertanto essere inclusi i toccamenti, palpeggiamenti e sfregamenti sulle parti intime delle vittime, suscettibili di eccitare la concupiscenza sessuale anche in modo non completo e/o di breve durata, essendo irrilevante, ai fini della consumazione del reato, che il soggetto attivo consegua la soddisfazione erotica (Sez. 3, 44246/2005).

I reati di violenza sessuale offendono la libertà personale intesa come libertà di autodeterminazione a compiere un atto sessuale, e non già la libertà morale della vittima, oppure il pudore e l’onore sessuale. Ne consegue che non ogni atto espressivo della concupiscenza dell’agente configura un atto sessuale idoneo a ledere la libertà di determinazione sessuale del soggetto passivo, essendo indispensabile che tale atto offenda la sfera della sessualità fisica della vittima.

La nozione di atti sessuali è, in pratica, la somma dei concetti di congiunzione carnale ed atti di libidine previsti dalle previgenti fattispecie di violenza carnale ed atti di libidine violenti: non possono essere inclusi in tale nozione quei comportamenti quali un gesto di esibizionismo sessuale o un atto di autoerotismo compiuto davanti a terzi che, pur essendo manifestazione di istinto sessuale, non si concretano in un contatto corporeo tra soggetto attivo e soggetto passivo, ovvero non coinvolgono la corporeità di quest’ultimo (Sez. 3, 15464/2004).

 

Circostanze del reato

In tema di violenza sessuale, la diminuente prevista dall’art. 609-bis, terzo comma, concorre nel giudizio di comparazione di cui all’art. 69 (Sez. 3, 13866/2017).

Non può essere riconosciuta la circostanza attenuante del fatto di minore gravità (art. 609-bis, ultimo comma) ove il reato di violenza sessuale sia commesso da un docente all’interno di un istituto scolastico, posto che questo è un luogo all’interno del quale l’alunno deve sentirsi protetto e che, però, rende particolarmente vulnerabile la vittima per il rischio di attenzioni sessuali illecite derivanti dall’approfittamento del rapporto fiduciario intercorrente con l’insegnante (Sez. 3, 14437/2013).

In tema di violenza sessuale commessa mediante strumenti telematici di comunicazione a distanza, la mancanza di contatto fisico tra l’autore del reato e la vittima non è determinante ai fini del riconoscimento della circostanza attenuante del fatto di minore gravità (Sez. 3, 19033/2013).

In tema di reati contro la libertà sessuale, l’attenuante prevista dall’ultimo comma dell’art. 609 bis per l’ipotesi di minore gravità non può essere concessa quando risulta commesso il reato di violenza sessuale di gruppo, trattandosi di attenuante specifica relativa alla sola violenza sessuale individuale (Sez. 3, 17699/2013).

L’abuso di autorità cui si riferisce l’art. 609-bis, comma 1, c.p. presuppone una posizione di preminenza, anche di fatto e di natura privata, che l’agente strumentalizza per costringere il soggetto passivo a compiere o subire atti sessuali (SU, 27236/2020).

In tema di violenza sessuale, l’abuso di autorità presuppone una posizione autoritativa di tipo formale e pubblicistico, derivante dal pubblico ufficio ricoperto dall’agente (Sez. 3, 47869/2012).

Il rifiuto di continuare una relazione sentimentale non integra un “fatto ingiusto” idoneo a legittimare, nel delitto di violenza sessuale, il riconoscimento della circostanza attenuante della provocazione, costituendo tale rifiuto espressione del diritto alla libertà sessuale (Sez. 3, 2702/2012).

L’espressione “abuso di autorità” che costituisce, unitamente alla “violenza” o alla “minaccia”, una delle modalità di consumazione del reato previsto dall’art. 609-bis, non include la violenza sessuale commessa abusando della potestà di genitore o di altra potestà privata (Sez. 3, 2681/2012).

In tema di violenza sessuale, l’«abuso di autorità» di cui all’art. 609-bis, primo comma, presuppone nell’agente una posizione autoritativa di tipo formale e pubblicistico (SU, 13/2000).

Integra il reato di violenza sessuale con abuso delle condizioni di inferiorità psichica o fisica (art. 609 bis, comma secondo, n. 1) la condotta di chi si congiunga carnalmente con una donna addormentatasi a seguito di ingestione di sostanze alcooliche, essendo l’aggressione alla sfera sessuale della vittima connotata da modalità insidiose e fraudolente (Sez. 3, 1183/2012).

Ai fini della configurabilità della circostanza attenuante del fatto di minore gravità nel tentativo di violenza sessuale non si deve tenere conto dell’azione effettivamente compiuta dall’agente, ma di quella che lo stesso aveva intenzione di porre in essere e che non è stata realizzata per cause indipendenti dalla sua volontà (Sez. 3, 44416/2011).

Il consenso del minore al rapporto sessuale, pur se inidoneo ad escludere la configurabilità del reato di violenza sessuale, può essere valutato dal giudice al fine di riconoscere la circostanza attenuante della “minore gravità” (Sez. 3, 29618/2011).

L’abuso delle condizioni di inferiorità psichica o fisica (art.609 bis, comma secondo, n. 1) consiste nel doloso sfruttamento della menomazione della vittima e si verifica quando le richiamate condizioni sono strumentalizzate per accedere alla sfera intima della persona che, versando in uno stato di difficoltà, viene ridotta ad un mezzo per l’altrui soddisfacimento sessuale (Sez. 3, 20766/2010).

Il reato di induzione a compiere o subire atti sessuali con l’inganno per essersi il reo sostituito ad altra persona (art. 609-bis, comma secondo, n. 2) è integrato anche dalla falsa attribuzione di una qualifica professionale, rientrando quest’ultima nella nozione di sostituzione di persona di cui all’art. 609-bis (Sez. 3, 20578/2010).

In tema di violenza sessuale, ai fini del riconoscimento della circostanza attenuante della “minore gravità” non rileva la semplice assenza di un rapporto sessuale con penetrazione, in quanto è necessario valutare il fatto nella sua complessità (Sez. 3, 10085/2009).

In tema di violenza sessuale, ai fini della configurabilità dell’attenuante della minore gravità del fatto non rileva la circostanza che la vittima eserciti la prostituzione, in quanto il diritto al rispetto della libertà sessuale prescinde da condizioni e qualità personali, dal motivo e dal numero dei rapporti avuti in passato con persone più o meno conosciute (Sez. 2, 3189/2009).

In tema di reati sessuali, la circostanza attenuante di cui all’art. 62 n. 6 è compatibile con il reato di violenza sessuale, dovendo peraltro il risarcimento del danno intervenire, prima del giudizio, in misura integrale non essendo sufficiente, a tal fine, una qualsivoglia forma di accordo in via transattiva (Sez. 3, 16146/2008).

In tema di reati sessuali, deve escludersi la concedibilità dell’attenuante speciale prevista dall’art. 609-bis, comma terzo, (casi di minore gravità) ove gli abusi perpetrati in danno della vittima si siano protratti nel tempo (Sez. 3, 2001/2008).

In tema di reati sessuali, non ricorre l’attenuante della minore gravità del fatto (art. 609-bis, comma terzo) nel caso in cui la violenza sessuale sia perpetrata dal genitore ai danni del proprio figlio, in quanto, ponendo in essere tale condotta, il genitore lede la libertà di autodeterminazione sessuale di quest’ultimo, così determinando uno sviamento dalla funzione di accudimento e protezione, tipica della figura genitoriale (Sez. 3, 1190/2008).

In tema di violenza sessuale, la condizione di inferiorità psichica della vittima al momento del fatto prescinde da fenomeni di patologia mentale, in quanto è sufficiente ad integrarla la circostanza che il soggetto passivo versi in condizioni intellettive e spirituali di minore resistenza all’altrui opera di coazione psicologica o di suggestioni, anche se dovute ad un limitato processo evolutivo mentale e culturale, ma con esclusione di ogni causa propriamente morbosa (Sez. 3, 28261/2007).

In tema di violenza sessuale, la diminuente prevista dall’art. 609-bis, ultimo comma, per i casi di minore gravità non è soggetta al giudizio di comparazione di cui all’art. 69, stante l’obbligatorietà della sua applicazione allorché ne ricorrano le condizioni (Sez. 3, 34902/2007).

Il sanitario dell’INPS ufficialmente incaricato di eseguire la visita di controllo sul lavoratore a seguito di assenza per malattia, ricopre una posizione di autorità derivante dalla funzione pubblica esercitata: ne consegue che detto medico risponde del reato di violenza sessuale, ai sensi dell’art. 609-bis, qualora, nel corso della visita ed abusando della propria autorità, induce la paziente a denudarsi ed a tollerare palpeggiamenti di carattere sessuale (Sez. 3, 8047/2007).

 

Casistica

L’intenzionale e prolungata pressione sulla zona genitale della vittima, sia essa protetta o meno dalla biancheria, integra il reato di violenza sessuale anche nel caso in cui sia ispirata da una finalità diversa da quella a sfondo sessuale (Sez. 3, 39710/2011).

Non integra concorso nell’altrui reato di violenza sessuale il mero “voyeurismo”, salvo che l’atto del guardare sia stato oggetto di un preventivo accordo tra i soggetti oppure venga palesato all’esecutore materiale della violenza in modo tale da contribuire a sollecitare o rafforzare il proposito criminoso di quest’ultimo, incidendo direttamente sul reato in corso di consumazione (Sez. 3, 35150/2011).

Non risponde del reato sessuale commesso da terzi in danno dei nipoti minori l’avo (nella specie, la nonna) che, consapevole di tale fatto, non si attivi per impedirlo, stante l’inesistenza a suo carico di un obbligo giuridico in tal senso (Sez. 3, 34900/2011).

In tema di reati contro la libertà sessuale, nei rapporti di coppia di tipo coniugale non ha valore scriminante il fatto che la donna non si opponga palesemente ai rapporti sessuali e li subisca, quando è provato che l’autore, per le violenze e minacce precedenti poste ripetutamente in essere nei confronti della vittima, aveva la consapevolezza del rifiuto implicito della stessa agli atti sessuali (Sez. 3, 16292/2006).

Ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 609- bis, violenza sessuale, non è necessaria una violenza che ponga il soggetto passivo nell’impossibilità di opporre una resistenza, essendo sufficiente che l’azione si compia in modo insidiosamente rapido, tanto da superare la volontà contraria del soggetto passivo (Sez. 3, 6340/2006).

Le prestazioni sessuali eseguite in videoconferenza in modo da consentire al fruitore delle stesse di interagire in via diretta ed immediata con chi esegue la prestazione, con la possibilità di richiedere il compimento di atti sessuali determinati, assume il valore di atto di prostituzione e configura il reato di sfruttamento della prostituzione a carico di coloro che abbiano reclutato gli esecutori delle prestazioni o ne abbiano consentito lo svolgimento creando i necessari collegamenti via internet o ne abbiano tratto guadagno, atteso che è irrilevante il fatto che chi si prostituisce ed il fruitore della prestazione si trovino in luoghi diversi in quanto il collegamento in videoconferenza consente all’utente di interagire con chi si prostituisce in modo tale da potere richiedere a questi il compimento di atti sessuali determinati che vengono immediatamente percepiti da chi ordina la prestazione sessuale a pagamento (Sez. 3, 25464/2004).

Il reato di violenza sessuale è configurabile anche all’interno del rapporto di coppia, coniugale o paraconiugale che sia, ogni qual volta vi sia un costringimento fisico-psichico idoneo ad incidere sulla libertà di autodeterminazione del partner, sempre che, sul piano soggettivo, risulti dimostrata la consapevolezza, da parte dell’agente, dell’altrui rifiuto, anche non espresso ma chiaramente percepibile, all’atto sessuale (Sez. 3, 14789/2004).

 

Rapporto con altri reati

La differenza ontologica tra il delitto di cui all’art. 609-bis (che presuppone il compimento di atti sessuali intesi come invasione della sfera intima di una persona attraverso un contatto corporeo mediante violenza e senza il suo consenso, certamente escluso laddove si tratti di vittima infraquattordicenne e che ricomprende anche atti sessuali diversi dal congiungimento) e quella di cui all’art. 609-quinquies di nuovo conio dopo la riforma apportata con la L. 66/1996, che sanziona penalmente la condotta di “chiunque compie atti sessuali in presenza di persona minore di anni quattordici, al fine di farla assistere”, impedisce che il delitto di cui all’art. 609-bis consistente nel palpeggiamento di zone erogene del minore, possa rientrare nel paradigma della corruzione di minori. Il reato di cui all’art. 609-quinquies nella sua nuova formulazione a seguito dell’entrata in vigore della L. 66/96, non include più gli atti di libidine commessi su persona minore di anni sedici.

La fattispecie in esame ricorre solo quando il minore non sia il destinatario degli atti sessuali ma si limiti a fare da spettatore rispetto ad atti sessuali commessi da altri: si tratta di una vera e propria novazione legislativa che ha comportato una ristrutturazione della fattispecie precedente in quanto non solo è mutata la condotta materiale (compimento di atti sessuali in presenza di minore di anni quattordici), ma anche l’elemento soggettivo (dolo specifico in quanto l’agente pone in essere tale condotta al fine di far assistere il minore; in termini Sez. 3, 15633/2008). Il bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice di cui all’art. 609-quinquies è rappresentato dalla tutela del sereno sviluppo psichico della sfera sessuale di soggetti di età minore che non deve essere turbato dal trauma che può derivare dall’assistere ad atti sessuali compiuti con ostentazione da altri (Sez. 3, 44681/2005).

Tali ragioni evidenziano in modo netto la differenza rispetto al delitto di violenza sessuale in cui il minore non è lo spettatore di atti sessuali, ma il protagonista passivo di essi, non mancando di evidenziare anche l’elemento costrittivo o minaccioso o induttivo che costituisce il dato peculiare della norma di cui all’art. 609-bis e che non è presente nel delitto di cui all’art. 609-quinquies.

Né varrebbe, ai fini del concorso apparente di norme, la brevità dell’azione ovvero la superficialità dei toccamenti, in quanto è proprio la struttura della condotta che diverge radicalmente nelle due ipotesi in discorso. In proposito è costante l’orientamento in materia, soprattutto in riferimento alle differenze intercorrenti tra il delitto di cui all’art. 609-quater (atti sessuali con minorenne in cui manca il requisito della violenza) e la fattispecie di cui al successivo art. 609-quinquies, essendosi affermato al riguardo che, in relazione alle modifiche introdotte dalla L. 66/96, scompare, quindi, dalla previsione normativa della nuova corruzione di minorenne, la precedente ipotesi degli atti di libidine commessi su persona minore degli anni sedici.

Quando il minorenne non fa semplicemente da spettatore, ma egli stesso è destinatario delle attenzioni dell’agente, e cioè subisce gli atti sessuali, non si potrà più ipotizzare il delitto di “corruzione di minorenne”, ma la diversa figura criminosa prevista dall’art. 609-quater (atti sessuali con minorenne), sempre che ne sussistano le condizioni, e cioè che il minore non abbia compiuto gli anni quattordici oppure che egli, avendoli compiuti, ma non essendo ancora sedicenne, sia legato da un particolare vincolo (di parentela o di familiarità) all’agente (Sez. 3, 15827/2015).

Il delitto di cui all’art. 609-octies costituisce una fattispecie autonoma di reato necessariamente plurisoggettivo proprio, consistente nella partecipazione, da parte di più persone riunite, ad atti di violenza sessuale di cui all’art. 609-bis, in cui la pluralità di agenti è richiesta come elemento costitutivo. La previsione di un trattamento sanzionatorio più grave si connette al riconoscimento di un peculiare disvalore alla partecipazione simultanea di più persone, in quanto una tale condotta partecipativa imprime al fatto un grado di lesività più intenso sia rispetto alla maggiore capacità di intimidazione del soggetto passivo ed al pericolo della reiterazione di atti sessuali violenti (anche attraverso lo sviluppo e l’incremento di capacità criminali singole) sia rispetto ad una più odiosa violazione della libertà sessuale della vittima nella sua ineliminabile essenza di autodeterminazione.

La contemporanea presenza di più di un aggressore è idonea a produrre, infatti, effetti fisici e psicologici particolari nella parte lesa, eliminandone o riducendone la forza di reazione. L’azione collettiva presuppone la necessaria presenza di più di una persona al momento e sul luogo del delitto, ma l’esecuzione di questo non richiede necessariamente che ciascun compartecipe realizzi l’intera fattispecie nel concorso contestuale dell’altro o degli altri correi, ben potendo il singolo realizzare soltanto una frazione del fatto tipico di riferimento ed essendo sufficiente che la violenza o la minaccia provenga anche da uno solo degli agenti.

Il concetto di “partecipazione”, inoltre, non può essere limitato nel senso di richiedere il compimento, da parte del singolo, di un’attività tipica di violenza sessuale (ciascun compartecipe, cioè, dovrebbe porre in essere, in tutto o in parte, la condotta descritta nell’art. 609-bis), dovendo invece  secondo un’interpretazione più aderente alle finalità perseguite dal legislatore  ritenersi estesa la punibilità (qualora sia comunque realizzato un fatto di violenza sessuale) a qualsiasi condotta partecipativa, tenuta in una situazione di effettiva presenza non da mero “spettatore”, sia pure compiacente, sul luogo ed al momento del reato, che apporti un reale contributo materiale o morale all’azione collettiva (Sez. 3, 44408/2011).

Il delitto di violenza sessuale concorre con quello di maltrattamenti in famiglia qualora, attesa la diversità dei beni giuridici offesi, le reiterate condotte di abuso sessuale, oltre a cagionare sofferenze psichiche alla vittima, ledano anche la sua libertà di autodeterminazione in materia sessuale, potendosi configurare l’assorbimento esclusivamente nel caso in cui vi sia piena coincidenza tra le due condotte, ovvero quando il delitto di maltrattamenti sia consistito nella mera reiterazione degli atti di violenza sessuale (Sez. 3, 40663/2016).