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Il Metaverso e i suoi mostri: di nuovi mondi e vecchie violenze

Metaverso
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“Gli uomini non cambiano”.

È il titolo di una bellissima canzone di Mia Martini.

La scrisse anni fa e conserva intatta la sua verità anche ora.

Nel mondo reale, certo, ma, a quanto pare, anche in quelli virtuali.

I fatti.

Mark Zuckerberg e i suoi hanno messo a punto una piattaforma destinata a rivoluzionare il modo di intendere la realtà virtuale: il Metaverso, un mondo virtuale all’interno del quale ci si muove tramite un avatar, un non-luogo in cui un lotto di terreno è arrivato a costare migliaia di dollari e che ha già attirato l’attenzione di diverse banche e di noti colossi come Nike, Samsung, Coca-Cola o Sotheby’s, la nota casa d’aste, che vi hanno impiantato i loro store.

In questo fantastico trionfo tecnologico alla “Matrix” è accaduto di recente qualcosa di molto grave e inaspettato: una violenza di gruppo commessa attraverso gli avatar.

A subirla è stata una psicoterapeuta londinese che conduce ricerche sul Metaverso.

La donna ha raccontato che qualche giorno fa, dopo un solo minuto dal suo ingresso nel programma, è stata accerchiata, molestata verbalmente e sessualmente da diversi avatar maschili.

Le molestie sono culminate in una vera e propria violenza di gruppo, durante la quale sono state scattate anche delle foto.

Che sia capitato (fortunatamente) ad un avatar non minimizza certo l’accaduto. Le stesse modalità con cui è stato messo in atto lo stupro virtuale sono l’esatta replica di quelle che caratterizzano questo tipo di crimine nella realtà.

“The rape culture”, la cultura dello stupro è dunque approdata anche nel Metaverso.

Naturalmente l’accaduto ha fatto scattare la prima storica contromisura da parte di Meta (ex Facebook) con l’introduzione di una “distanza di sicurezza” fra avatar.

Ma in questo scenario, domande come: verranno puniti i colpevoli dello stupro virtuale? Esistono leggi che tutelano gli utenti dei mondi virtuali? Come possono essere inquadrati giuridicamente un avatar e il suo proprietario? Sono destinate per ora a non avere risposte.

Per il momento si può solo auspicare un aggiornamento della media social policy da parte dell’azienda, unitamente a un protocollo per la sicurezza che includa anche questo tipo di rischi.

Ma se, come sembra, il Metaverso si appresta a diventare la replica esatta del mondo reale, crimini compresi, in futuro ci sarà anche la necessità di regolamentare la realtà virtuale e a quel punto l’integrazione tra diritto e tecnologia dovrà procedere assai più velocemente di oggi.

Sarà interessante seguirne l’evoluzione, magari emergeranno nuove istituzioni (cyber-tribunali, Verso-cassazione?) e nuovi ruoli professionali (meta-investigatori, tecno-inquirenti, robo-difensori?).

Occorrerà ridefinire le metodiche preventive e repressive (psico-celle, penitenziari al largo dei bastioni di Orione?).

Chissà…

Un solo fatto per ora è certo: le peggiori pulsioni maschili tendono a  ripetersi quale che sia lo scenario ed è un bruttissimo segnale.