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Metaverso e reati nell’ordinamento giuridico italiano


Metaverso
Ph. Stefano Lazzari / Metaverso

Metaverso e reati nell’ordinamento giuridico italiano

 

Cosa significa “Metaverso”

In primis occorre indicare cosa significa “Metaverso”.      

Questo termine è stato coniato da Neal Stephenson nel romanzo cyberpunk Snow crash (1992) per indicare uno spazio tridimensionale all’interno del quale persone fisiche possono muoversi, condividere e interagire attraverso personalizzati; in altre parole, si tratta di una sorta di realtà virtuale condivisa mediante l’utilizzo della rete internet, dove si è rappresentati in tre dimensioni attraverso il proprio avatar.

Inoltre, ritroviamo la nozione di “Metaverso”, nel cinema di fantascienza, dove il “Metaverso” viene inteso come un sistema in cui la realtà fisica e virtuale si incontrano, permettendo, così, agli utenti di interagire con un ambiente generato dal computer e con altri utenti.

A tal proposito, è opportuno menzionare Matthew Ball; quest’ultimo è un venture capitalist che ha scritto un interessante saggio sul Metaverso nel 2020 [Cfr. M. Ball, The Metaverse: What It Is, Where to Find it, and Who Will Build It, 13 gennaio 2020], enunciando le caratteristiche principali che un Metaverso deve includere, ossia:

scalabilità (capacità di aumentare le dimensioni del Metaverso),

persistenza (ossia, il Metaverso non si “resetta” o “mette in pausa” o “finisce”, esso continua indefinitamente),

interoperabilità (fusione di diversi mondi virtuali e sistemi),

economia (commercio attraverso il Metaverso),

identità (capacità di garantire una identità per l’utente, anche attraverso avatar o personaggi di fantasia),

dimensione digitale ma anche fisica (ossia, una dimensione che attraversa molti aspetti della vita),

partecipazione multipla e variegata (contenuti generati da tutti i tipi di stakeholder, dagli individui alle società).

In tale prospettiva di analisi, senza dubbio, sulla base delle tecnologie attualmente utilizzate e a disposizione, si può ragionevolmente affermare che l’esperienza del Metaverso non prevede una partecipazione tattile alla realtà virtuale; ciò posto, è necessario porre l’attenzione sul fatto che sebbene un soggetto possa immergersi totalmente nel mondo virtuale, quest’ultimo, comunque, non è in grado di toccare materialmente un’altra persona.
 

Breve disanima dei risvolti giuridici nel Metaverso: i reati

Non esiste un vero e proprio “Codice Penale Virtuale” ad hoc per il Metaverso.

Ad ogni buon conto, tutto quanto premesso sopra, ci consente, in prima linea, di escludere tutti i reati che presuppongono il contatto tra vittima e colpevole (e.g. quelli di percosse, lesioni personali, violenza sessuale, maltrattamenti, ecc.).

Pertanto, l’atto teso a molestare con vari palpeggiamenti l’avatar appartenente ad un altro soggetto, quindi, per quanto possa rappresentare una condotta censurabile e moralmente riprovevole, non costituisce reato.

Degne di nota, però, sono alcune eccezioni di reato previste dal Codice Penale ed interpretate alla luce del mondo virtuale dalla nostra Giurisprudenza, come, ad esempio, quello di pornografia virtuale.

Ai sensi e per gli effetti dell’articolo 600-quater.1, Codice Penale si punisce a titolo di pedopornografia anche il materiale pornografico virtuale realizzato utilizzando immagini di minorenni.

A titolo esemplificativo e non esaustivo secondo la Giurisprudenza (i.e. Cass., sent. n. 15757 del 24 novembre 2017), integra il reato di pornografia virtuale la produzione, mediante la tecnica del fotomontaggio, con l’utilizzo del programma “Photoshop”, di un’immagine nella quale i volti reali di minori sono sovrapposti a corpi di adulti intenti a pratiche sessuali.

Inoltre, è necessario evidenziare il reato di violenza sessuale; quest’ultimo è sanzionato con la reclusione da 6 a 12 anni dall’articolo 609-bis Codice Penale, e consiste nella condotta di colui che con violenza, minaccia o mediante abuso di autorità, costringe taluno a compiere o subire atti sessuali. Il comma 2 della stessa disposizione commina la medesima sanzione all’ipotesi di commissione del reato abusando dell’inferiorità psichica o fisica della vittima, o traendo quest’ultima in inganno mediante sostituzione di persona.

Ciò posto, il problema principale ai fini della punibilità della condotta tipica di questo reato dal punto di vista “online”, risiede nel riferimento della norma al fatto di compiere o subire atti sessuali, il quale potrebbe far pensare alla necessità di un contatto fisico tra l’autore e la vittima, come accennato poc’anzi. Ciononostante, né l’articolo 609-bis sulla violenza sessuale, né il successivo articolo 609-ter sulle circostanze aggravanti della stessa, fanno esplicito riferimento all’ipotesi di consumazione del reato mediante strumenti elettronici.

Orbene, a sopperire a queste carenze ci ha pensato la Corte di Cassazione che nel 2013, con la sentenza n. 19033 pronunciata dalla Terza Sezione Penale, aveva ritenuto commesso il tentativo di violenza sessuale da parte di colui il quale, mediante minacce, voleva costringere le sue vittime a ricevere fotografie a contenuto esplicito che lo ritraevano e ad inviargliene altre in cambio. Tale orientamento è stato poi ribadito in pronunce successive, nelle quali gli Ermellini hanno confermato le condanne avvenute in sede di Appello nei confronti di soggetti che avevano costretto le vittime a ricevere od inviare materiale pornografico, nonché a subire messaggi allusivi e sessualmente espliciti (Cass. Pen., Sez. III, sent. n. 17509/2018; Cass. Pen., Sez. III, sentenza n. 25266/2020).

Pertanto, si può ragionevolmente affermare che, secondo l’orientamento giurisprudenziale ormai consolidato, nella violenza sessuale commessa con strumenti telematici di comunicazione a distanza, la mancanza di contatto fisico tra l’agente e la vittima non è idonea né ad escludere la commissione del reato ex articolo 609-bis Codice Penale, né a garantire il riconoscimento della circostanza attenuante del fatto di minore gravità.

In merito al reato di molestie, sebbene si tratti di una fattispecie molto diversa rispetto alla precedente, si può, ad ogni modo, giungere alle medesime conclusioni.

L’articolo 660 Codice Penale, infatti, punisce con l’arresto fino a sei mesi o con l’ammenda fino a euro 516 chi, in un luogo pubblico o aperto al pubblico, ovvero col mezzo del telefono, per petulanza o per altro biasimevole motivo, reca a taluno molestia o disturbo.

Bisogna, in particolare, porre l’attenzione sulla natura pubblica o aperta al pubblico del luogo in cui avvengono gli atti incriminati.

In tale fattispecie di analisi, la Corte di Cassazione con la sentenza n. 37757/2014, si è pronunciata a proposito dell’inserimento degli apprezzamenti sgradevoli sul profilo Facebook della vittima, ritenendo che  la pubblicazione di siffatti messaggi sulla pagina del social network possa violare l’articolo 660 Codice Penale, in quanto la pagina del profilo è da considerarsi una piazza immateriale che consente un numero indeterminato di accessi e di visioni e che può essere assimilata al luogo pubblico, coerentemente con l’evoluzione che impone di adattare vecchi concetti allo stato attuale della tecnologia.

Oltre a ciò, le molestie “virtuali” potrebbero trovare sostegno ugualmente con riferimento al mezzo telefonico o a qualunque altro mezzo idoneo turbare la quieta di un soggetto terzo.

Tuttavia, benché sia importante la sanzionabilità dell’illecito commesso online, la questione concerne il fatto che il reato ex articolo 660 Codice Penale si configura come un disturbo generico alla quiete pubblica o privata che non interessa specificamente la sfera sessuale; questo significa che manca nel nostro ordinamento la configurabilità di un reato così come previsto dall’articolo 222-33 del Codice penale francese, che sanziona il c.d. harcèlement sexuel, concernente la condotta tesa ad imporre ad una persona, in maniera ripetuta, osservazioni o comportamenti con una connotazione sessuale o sessista che ledano, quindi, la sua dignità a causa della loro natura degradante o umiliante, oppure creino nei suoi confronti una situazione intimidatoria, ostile o offensiva.

A seguire, vanno menzionate anche la Legge 10 luglio 2019, n. 69 sul c.d. revenge porn – ossia la diffusione di materiale multimediale a contenuto sessualmente esplicito senza il consenso della persona ritratta – e la Legge 29 maggio 2017, n. 71 sul cyberbullismo.

Nel Metaverso possono, pertanto, essere commessi tutti quei reati che non presuppongono il contatto fisico tra vittima e reo e che, di norma, costituiscono un illecito anche nella realtà di tutti i giorni.

Difatti, oltre a quelli menzionati, si può citare, inoltre, il cyberstalking, ossia il reato di atti persecutori commessi tramite strumenti informatici o telematici ex articolo 612-bis, comma 2, Codice Penale, o la diffamazione aggravata ex articolo 595, comma 3, Codice Penale, ovvero la lesione all’onore e alla dignità mediante mezzi di pubblicità diversi dalla stampa, ivi compresi i social network; in particolare, viene posto l’accento sul reato di diffamazione, in quanto gli insulti in rete costituiscono reato, quando sono capaci di ledere la reputazione dell’utente e sono percepibili da più persone.

Tutti questi casi dimostrativi, però, necessitano che l’offesa stessa venga rivolta non all’avatar in quanto tale, bensì al soggetto reale che si cela dietro al proprio avatar.
 

Reati commessi nel mondo virtuale

Ci sono, poi, reati che sono commessi specificatamente nel mondo virtuale.

È il caso del furto dell’identità digitale, che consiste nell’attribuirsi le generalità di un’altra persona servendosi di Internet; spacciarsi per altri, anche solo in forma di avatar, potrebbe dunque integrare una sostituzione di persona, qualora l’intento sia quello di ingannare gli altri.

Una questione che ha assunto una particolare rilevanza è quella che verte sulla creazione di false identità tramite il deep fake.

Il deep fake è una tecnica che consente di sovrapporre immagini/video esistenti con altri originali tramite l’uso dell’intelligenza artificiale per creare volti credibili di persone non esistenti (e non solo).

Questo, se riprodotto nel Metaverso, potrebbe portare al moltiplicarsi di avatar fittizi di persone che vogliano celare la propria identità per il compimento di reati nella dimensione virtuale.
 

IP e diritti di immagine

In materia di proprietà intellettuale, il metaverso avrà certamente un effetto travolgente, a partire dai contenuti generati dagli utenti (c.d. user-generated contents, UGC).

Difatti, nel Metaverso gli utenti avranno la possibilità di realizzare e utilizzare contenuti digitali in diversi ambienti (ad esempio, opere digitali che si potranno esibire in mostre virtuali).

Gli UGC, anche se sono presenti solo nel mondo virtuale, sono tutelati ovviamente dalla normativa in materia di diritto d’autore, qualora ne sussistano i presupposti.

Occorre segnalare un grande problema che si pone nel Metaverso che verte sulla proprietà delle varie opere in un mondo dove tutto è digitale e, se non ti assicuri di mettere “l’etichetta” su qualcosa, quel qualcosa potrebbe essere di chiunque.

Questo rischio non è limitato ai soli casi di sottrazione dell’identità, bensì si estende all’utilizzo improprio dell’immagine, di marchi e altri segni distintivi.

Per questa ragione, i grandi brand internazionali si sono mossi velocemente per procedere alla registrazione del proprio marchio nel Metaverso (eg. Nike, Mc Donald’s etc.).

Se non registri il marchio cosa succede?

In merito alla violazione dei diritti di terzi, nel panorama internazionale sono già sorte le prime controversie, in particolare, in materia di contraffazione.

“Celebri” controversie sono, ad esempio, il caso Nike contro la piattaforma StockX, che ha lanciato una campagna NFT per pubblicizzare i prodotti venduti con marchio della ricorrente nonché quello che ha implicato la borsa “Birkin” di Hermes.

In tale ultimo caso, la maison ha presentato presso il tribunale del Southern District dello Stato di New York una citazione nei confronti di Mason Rothschild, un creatore di NFT, per aver messo in vendita cento borse digitali, denominate “MetaBirkin”, le quali richiamano i tratti specifici dell’accessorio di Hermes, nondimeno, utilizzando proprio il nome “Birkin”, che è un marchio di titolarità della nota casa di moda.

La protezione della proprietà intellettuale (IP) è fondamentale e la sua sicurezza è estremamente importante nel metaverso.

Poiché è ancora difficile proteggere l’IP nel mondo fisico, sarà ancora più difficile da proteggere nel Metaverso.
 

Dati personali: Tutela della Privacy nel Metaverso

La protezione dei dati nel Metaverso è un tema molto dibattuto e pericoloso.

La grande preoccupazione riguarda proprio la tecnologia di tracciamento dei movimenti oculari e delle espressioni facciali, mediante la quale è possibile archiviare informazioni relative alle preferenze e agli interessi della persona nonché ai dati biometrici e addirittura allo stato emotivo.

La raccolta e il trattamento dei dati che riguardano un individuo identificato o identificabile deve avvenire in conformità con la normativa sulla protezione dei dati personali, in particolare, il Regolamento (UE) 2016/679 (GDPR).

Una difficoltà, in tal senso, concerne, innanzitutto, la raccolta del consenso degli interessati in modo sufficientemente trasparente nel mondo virtuale.

In tale scenario, certamente alcune categorie particolari di dati personali (come i dati biometrici e sanitari) potranno essere utilizzabili nel mondo del Metaverso solo con il consenso espresso dell’utente.

Se è vero che il titolare del Metaverso potrebbe by design stabilire di raccogliere o trattare i dati in un modo tale che escluda che questi ultimi siano identificati come personali (per esempio, rendendo anonimi i dati o aggregandoli in cluster abbastanza estesi, in modo che cessino di essere riconducibili ai singoli interessati), è altrettanto vero che questa soluzione potrebbe risultare di difficile applicazione o, in ogni caso, mal conciliarsi con la necessità degli utenti di assumere nuove identità digitali.

È evidente che ciò che preme è essere sicuri che l’utente sia consapevole delle modalità di trattamento dei suoi dati dal primo accesso nella piattaforma.

A tal fine, verosimilmente non sarà sufficiente una mera informativa come avviene normalmente nella quotidianità in relazione all’utilizzo delle app o vari programmi, bensì sarà fondamentale predisporre un sistema che faciliti la persona a prendere reale contezza della quantità di dati che ragionevolmente dovrà condividere e dell’uso della piattaforma stessa che andrà ad adoperare.

Senza ombra di dubbio, l’intelligenza artificiale (AI), l’apprendimento automatico e gli algoritmi, saranno essenziali per organizzare e trattare le enormi quantità di dati che saranno alla base del Metaverso.

I sistemi di AI impattano notevolmente sul trattamento dei dati personali.

Le categorie di dati personali trattati e le finalità del trattamento potrebbero superare i confini dell’informativa fornita agli utenti.

Non sono disponibili linee guida chiare per proteggere i dati nel Metaverso.

In caso di furto di informazioni sensibili e personali, l’intero concetto di Metaverso sarebbe, allo stato attuale, compromesso.
 

Conclusioni

Al momento non è disponibile un quadro legislativo relativo al Metaverso al fine di affrontare gli aspetti legati alla legge nel Metaverso, pertanto si auspica un intervento del legislatore per disciplinare in modo chiaro e trasparente tutti gli aspetti normativi che includono, altresì, un’educazione a questo nuovo mondo così intrigante quanto complesso.

Internet ed i social media ci hanno già mostrato che le persone esprimono opinioni che non avrebbero mai espresso nella vita reale, dando vita a fenomeni di bullismo e incitamento all’odio.

È molto probabile che lo stesso avvenga nel Metaverso, in cui le persone potranno celarsi dietro il proprio avatar, perciò è opportuno adottare tutti i mezzi necessari per prevenire e combattere questi fenomeni, attuando, appunto, il prima possibile un quadro legislativo e regolamentare.