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Tacchi a spillo e risarcimento del danno

tacchi a spillo e risarcimento
tacchi a spillo e risarcimento

Vicenda: la caduta e i tacchi a spillo

Una Signora si trovava in un supermarket, intenta ad acquistare della merce, quando subiva lesioni personali a causa di una caduta.

Orbene, nel caso di specie, una Signora cade in un supermercato, in quanto il pavimento era scivoloso e secondo la stessa proprio tale problema ne era stato la causa; pertanto, la Signora agisce per ottenere il risarcimento per i danni riportati conseguenti alla caduta.

Il giudice di primo grado accoglie la domanda, ma in sede di appello la decisione è ribaltata, in quanto parte attrice non ha assolto all’onere di provare che la caduta fosse riconducibile alla sostanza scivolosa che, secondo la stessa, ha provocato la sua perdita di equilibrio …

La Cassazione conferma l’esito del secondo grado, ovvero nessun risarcimento per la donna.

Nel caso che ci occupa, la decisione ha quindi consolidato la tesi della società proprietaria del supermercato (e quella dei testimoni), sulla base del fatto che la caduta è da rapportare ai tacchi a spillo portati dalla Signora.

In altre parole, ci troviamo di fronte ad un’argomentazione piuttosto credibile, anche perché gli agenti di polizia intervenuti sul posto hanno accertato che nel punto di caduta il pavimento del supermercato risultava asciutto e che era presente “una strisciata nera simile a quella di un tacco.”

 

Onere della prova

Per la Cassazione civile il danneggiato è onerato dal dimostrare “l’esistenza del danno e la sua derivazione causale dalla cosa” (ordinanza n. 3046/2022).

Pertanto, non sussiste alcun risarcimento del danno senza la prova del nesso tra cosa e danno.

Se manca la prova di una sostanza scivolosa o comunque che sia di natura tale per cui si possa incorrere in un pericolo di caduta o di scivolare sul pavimento del supermercato, il primo “indiziato” per la caduta rovinosa della signora è il tacco a spillo.

Ciò posto, prima di entrare nel cuore della nostra vicenda, vorrei fare un breve excursus sulla questione.

Più precisamente sono intervenute alcune vicende che meritano menzione:

  • Caduta della sposa con tacchi vertiginosi
  • Signora anziana con uno stivaletto

Queste sono vicende accadute e collegate dal medesimo comune denominatore: la scarpa alta che allontana il risarcimento.

 

Lo stiletto per la festa in maschera

Le scarpe a spillo finiscono sempre nel mirino dei giudici di legittimità.

Con la sentenza 18332/2013 la Suprema Corte aveva attribuito al look di una signora sulla sessantina, la sua disastrosa caduta dalle scale di una pensione.

Incidente da non imputare, come chiedeva la Signora, all’assenza di una balaustra - visto che dalla parte del muro c’era un comodo corrimano - ma ad uno stiletto anni ‘30 indossato dalla signora per andare ad una festa in costume.

Alla scarpa vintage era abbinata anche una maschera e, in più, la signora teneva in una mano la borsa e nell’altra una sigaretta. La causa è persa.

 

Il tacco vertiginoso della sposa

Non è andato in porto nemmeno il ricorso di una sposa (sentenza 3662/2013) che chiedeva il risarcimento alla parrocchia, perché la scala scesa dopo il fatidico sì aveva un gradino rovinato, ovvero “sbeccato”.

Anche in siffatto caso, la discesa con la fede al dito era avvenuta lontano dal gradino scheggiato.

Mentre ad essere stati notati erano ancora una volta i tacchi altissimi.

Per terminare il discorso, si può ragionevolmente affermare che sono numerose le cadute rimaste prive di indennizzo, quando la colpa è del tacco sottile che si “pianta” nella grata sul marciapiede.

 

La decisione della Cassazione sui tacchi a spillo

Tornando ora al caso in esame, vediamo nello specifico i quattro motivi di ricorso promossi dalla Signora:

  • con il primo denuncia l’omessa valutazione da parte della Corte della testimonianza del soccorritore del 118, il quale ha dichiarato essere presente sul punto della caduta, una sostanza liquida verde;
  • con il secondo denuncia il vizio di motivazione apparente della sentenza della Corte di Appello alla luce del contenuto contraddittorio delle testimonianze rese in giudizio;
  • con il terzo contesta l’affermazione della Corte di Appello che pone sul danneggiato l’onere di dimostrare il nesso causale tra la cosa in custodia e l’evento dannoso;
  • con il quarto invece denuncia la violazione degli articoli 2051 e 2697 c.c. perché la Corte a posto a suo carico la prova del nesso, esonerando il custode dalla prova del caso fortuito.

La Cassazione, dopo il vaglio dei diversi motivi di ricorso, dichiara il ricorso inammissibile per le seguenti ragioni.

Il primo motivo non merita di essere accolto perché il fatto emerso dalla testimonianza è stato valutato dalla Corte ed è stato ritenuto insussistente.

Inammissibile il motivo con il quale si denuncia motivazione apparente della sentenza, perché di fatto con questo motivo la ricorrente vuole ottenere un’inammissibile apprezzamento della Corte dei risultati istruttori, ricordando comunque che il giudice “nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata.”

Dalla decisione emerge infatti che il Giudice ha semplicemente ritenuto più attendibile la versione dei fatti fornita dagli agenti intervenuti subito dopo la caduta, considerando di non poter dare credito alla versione dei fatti secondo cui “prima del loro arrivo, vi sarebbe stato tutto il tempo di ripulire la macchia, e ciò sia per l’assenza di elementi in atti in tal senso, sia perché, all’arrivo degli agenti, la (ricorrente) si doleva della mancata assistenza di addetti al supermercato, e dunque di essere rimasta sola sul luogo dell’incidente fino all’arrivo dei soccorritori.

Inammissibile infine anche il terzo e il quarto motivo del ricorso. La Corte di appello ha rigettato la domanda risarcitoria perché la ricorrente non ha dimostrato il nesso tra cosa e danno. Non è vero che la Corte ha richiesto alla stessa di dimostrare la pericolosità della cosa. Il giudice di appello ha solo applicato in principio secondo cui “non sussiste responsabilità ai sensi dell’art. 2051 cod. civ. per le cose in custodia, qualora il danneggiato si astenga dal fornire qualsiasi prova circa la dinamica dell’incidente e il nesso eziologico tra il danno e la cosa”, precisando che comunque i due motivi fanno riferimento a una affermazione che non è presente nella sentenza.

 

Conclusioni: attenzione ai tacchi a spillo

Secondo il Collegio della VI Sezione Civile, che con Ordinanza 1° febbraio 2022, n. 3046 ha dichiarato inammissibile il ricorso interposto dalla signora, è mancata la prova della presenza di una sostanza scivolosa sul pavimento del supermercato, così confermando la tesi difensiva del supermercato, secondo cui la caduta rovinosa era presumibilmente imputabile alle calzature col tacco a spillo che la donna indossava.

Alla luce di quanto sopra esposto, dunque, per la Cassazione, la caduta in un supermercato non è risarcibile se si indossano tacchi a spillo e se non si dimostra la presenza di una sostanza scivolosa sul pavimento.