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Morte per infezione da covid-19: ok del giudice al risarcimento del danno se la polizza assicurativa copre il rischio da infortuni

Tribunale di Torino, Sez. IV Civile , con sentenza n. 184 del 19.01.2022
COVID-19
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Morte per infezione da covid-19: ok del giudice al risarcimento del danno se la polizza assicurativa copre il rischio da infortuni

Il Tribunale di Torino, Sez. IV Civile , con sentenza n. 184 del 19.01.2022, pronunciandosi in tema di responsabilità civile, accoglieva la richiesta di risarcimento del danno da infortunio, a seguito di morte del congiunto per infezione da COVID-19.

 

Morte per infezione da covid-19: la vicenda posta al vaglio del giudice

Nel marzo 2020, un dentista piemontese contraeva il virus c.d. COVID-19” - allora ancora sconosciuto ed in fase pre-pandemica- che in circa dieci giorni, lo avrebbe condotto alla morte.

Orbene, già dal primo ricovero nella locale struttura ospedaliera le condizioni del professionista erano parse sin da subito gravi, tali da giustificare il ricorso a terapie specifiche, lasciandolo perennemente curatizzato, in quanto costantemente ipertermico, dispneico, analgo-sedato e ventilato e successivamente, sottoposto a cure palliative presso il reparto di rianimazione delle Molinette di Torino, spirava.

 

Morte per infezione da covid-19: la polizza assicurativa che copre il rischio derivante da infortuni

Il de cuius aveva, altresì, sottoscritto una polizza che garantiva l'assicurato contro gli infortuni per le tutte le somme assicurate, i massimali e le garanzie ivi indicate, per le quali fosse stato corrisposto il relativo contributo netto.

In particolare, era espressamente previsto dal contratto di assicurazione sottoscritto che per il caso di morte sarebbe  stata assicurata la somma di Euro 100.000,00. 

La domanda di parte attrice si fondava proprio su questo inciso.

In effetti, il dentista piemontese, sin dal momento della stipula del contratto (anno 2019), aveva regolarmente versato tutti i premi previsti e vieppiù, l’infortunio da cui era derivato l’evento morte non afferiva all’alveo professionale (contrattualmente riconosciuto come motivo di diniego del risarcimento del danno).

L’evento morte  ben sarebbe potuto rientrare nella c.d. “causa fortuita” atteso che, come pacificamente ammesso anche dal Giudice di Prime Cure, il COVID-19  a marzo 2020 costituiva ancora una malattia sconosciuta e circoscritta solo all’area geografica cinese, per altro venendo dichiarata come pandemia solo l’11 marzo di quell’anno, quando il dentista piemontese si trovava già nel reparto di terapia intensiva, a seguito dell’infausta diagnosi.

 

Morte per infezione da covid-19: non c’e’ discrimen tra malattia ed infortunio

La domanda di parte attrice veniva accolta a seguito del riconoscimento dell’infezione da COVID-19 quale infortunio tecnicamente risarcibile. 

Orbene, il Tribunale torinese partiva dal fare una serie di considerazioni scientifiche proprio in ordine alla trasmissibilità del virus; asserendo come il Coronavirus fosse un ceppo non precedentemente identificato nell’uomo e generalmente, circolante tra gli animali, nonostante alcuni di essi potessero anche infettare l'uomo. 

La trasmissione del predetto virus, tuttavia, avviene principalmente tramite droplet ed aerosol da un soggetto infetto che starnutisce, tossisce, parla o respira e si trova in prossimità di altre persone. 

Si tratta, in sintesi, di un microorganismo estremamente piccolo che è esclusivamente in grado di replicarsi all'interno delle cellule dei tessuti dell'organismo causandone la distruzione. 

In particolare, il virus responsabile della "malattia respiratoria acuta da SARS-CoV-2" entra nell'organismo legandosi all'Enzima di Conversione dell'Angiotensina 2 (ACE2), che è localizzato sulle cellule dell'epitelio polmonare e che ha la precipua funzione di proteggere i polmoni da danni provocati da infezioni e/o infiammazioni. Legandosi ad ACE2 il virus entra nella cellula, impedisce all'enzima di compiere il proprio ruolo protettivo, ed inizia a replicarsi determinando una fase clinica che, in genere, è inizialmente caratterizzata da malessere, febbre e tosse secca” (sic, il Giudice di Prime Cure).

Ma vi è di più.

Il Tribunale di Torino accoglieva tout court le considerazioni espresse dal CTU nominato che, pacificamente, riteneva di poter identificare l’infezione da COVID-19 come infortunio atteso il suo carattere fortuito, violento ed esterno.

In effetti, il CTU non operava alcuna distinzione tra infortunio e malattia, atteso che pure contrarre quest’ultima poteva agevolmente costituire un infortunio, da cui sarebbe potuta derivare quantomeno una compromissione fisica, sia essa permanente o temporanea (cfr. SARS-CoV-2 ed infortunio nell'assicurazione privata: annotazioni medico legali).

Tale equiparazione emerge, altresì, pacificamente anche del comma secondo dell’art. 42 del d.l. n. 18 del 2020 il quale così dispone “nei casi accertati di infezione da coronavirus (SARS-CoV-2) in occasione di lavoro, il medico certificatore redige il consueto certificato di infortunio e lo invia telematicamente allINAIL che assicura, ai sensi delle vigenti disposizioni, la relativa tutela dellinfortunato. Le prestazioni INAIL nei casi accertati di infezioni da coronavirus in occasione di lavoro sono erogate anche per il periodo di quarantena o di permanenza domiciliare fiduciaria dellinfortunato con la conseguente astensione dal lavoro. I predetti eventi infortunistici gravano sulla gestione assicurativa e non sono computati ai fini della determinazione delloscillazione del tasso medio per andamento infortunistico di cui agli articoli 19 e seguenti del Decreto Interministeriale 27 febbraio 2019”.

L’INAIL, dunque, ritiene applicabile la predetta disposizione ai lavoratori dipendenti e assimilati, nonché i lavoratori parasubordinati, gli sportivi professionisti dipendenti e i lavoratori appartenenti allarea dirigenziale.

 

Morte per infezione da covid-19: le motivazioni della sentenza

Il Tribunale di Torino, orbene, condannava la compagnia assicuratrice al risarcimento del danno essenzialmente perché  dall’analisi dei fatti di causa emergeva, con lapalissiana evidenza, la presenza nel contratto di assicurazione all’art. 12 (condizioni Generali di Assicurazione Infortuni) della clausola secondo cui avrebbe potuto essere corrisposto un adeguato ristoro nel caso del verificarsi di infortuni per c.d. caso fortuito, ovverosia non determinati o determinabili dalla volontà dell’assicurato. 

L’anzidetto carattere fortuito della causa, infatti, veniva evidenziato proprio dalla sua estraneità ad un'attività consapevole del soggetto infettato, che si veniva a trovare in sifatta condizione senza sapere in modo alcuno di cosa si trattasse e senza neppure avere la più pallida idea di possibili comportamenti idonei a prevenire l'infezione. 

La causa poteva inoltre considerarsi "violenta", in quanto certamente, come rimarcato dal c.t.u., il contatto non era stato  dilatato nel tempo, ma aveva anche determinato uno stravolgimento violento delle regole naturali della vita di un organismo che si trovi in situazione normale. 

Cionondimeno, la causa era da ritenersi sicuramente "esterna", proprio perché il virus è un organismo estraneo al corpo umano e che nello stesso viene ad inserirsi proprio quale elemento proveniente dall’esterno.

A fortiori, secondo il Tribunale torinese, deve essere riconosciuta come fondata la domanda dell’attrice in quanto, ai sensi dell’art.1370 del cod. civ.,  come stabilito anche dalla costante giurisprudenza dalla Suprema Corte (cfr. Cass., 17 gennaio 2008, n. 866) le clausole di polizza, che delimitino il rischio assicurato, ove inserite in condizioni generali su modulo predisposto dall'assicuratore, sono soggette al criterio ermeneutico posto dall'art. 1370 cod. civ., e, pertanto, nel dubbio, devono essere intese in senso sfavorevole all'assicuratore medesimo.