Genitori e figli: nuove sfide

Nuove competenze per gli operatori forensi nel campo della famiglia
genitori e figli
genitori e figli

Genitori e figli: introduzione

La famiglia, di certo, è l’istituzione sociale più antica di questo mondo: l’uomo, che Aristotele definiva come animale sociale, per sopravvivere si unisce in piccoli gruppi, le quali unità semplici sono formate da una donna, un uomo e la prole che essi generano assieme, coesi dalla necessità e dalla volontà di sopravvivenza e della continuazione della specie; sebbene sembrerebbe il procedimento più naturale, spontaneo e genuino, la storia di vita personale di ogni essere umano racconta di una difficoltà e, in un certo senso, di una artificiosità nella sussistenza stessa di questo nucleo.

Ferenczi, già nei primi anni ’30, parlava di Confusione delle lingue tra adulti e bambini (Ferenczi, 1932), evidenziando come, sebbene si stia parlando di individui saldamente legati da una linea di sangue comune, questa concomitanza biologica non può bastare nella comprensione dell’altro e dei suoi pensieri. Lo psicodinamico ungherese addita questa difficoltà a monte, nel linguaggio, proprio come se bambini e genitori condividessero sì la stessa lingua, ma la codificassero in modalità completamente differenti sulla base della tappa evoluzionistica in cui si trovano in quel momento. Il risultato, perciò, si riassume nel figlio che non ha gli strumenti per leggere la realtà della mamma o del papà, mentre i genitori sono sovrappopolati di capacità apprese nel tempo, che tralasciano però la semplicità del comunicato giovanile.

Eclatante trasposto letterario di questo principio appena posteriore alla concezione Freudiana edipica arriva non pochi anni dopo con il romanzo psicologico La Coscienza di Zeno, in cui svetta in maniera evidente il complicato rapporto del protagonista con il padre, culminato nello “schiaffo” scivolato che l’anziano signore rilascia al figlio poco prima di morire. Svevo, nel flusso di pensieri, impregna di ambiguità quell’ultimo gesto, in quanto viene vissuto dal primo Zeno come l’ultima, definitiva punizione di un burbero padre all’indisciplinato figlio, ma successivamente, con l’avanzare degli anni e, come direbbe Ferenczi, dopo aver acquisito gli strumenti necessari a leggere la realtà adulta, Zeno si rende conto dell’intenzionalità del padre di volerlo accarezzare un’ultima volta in un gesto un po’ maldestro e scoordinato di amore genitoriale.

Alla già ben complicata difficoltà di connessione intergenerazionale, oggi, la rivoluzione tecnologica ancora in atto e la crisi pandemica, hanno declinato gli antagonismi e i conflitti con modalità nuove che devono essere conosciute per potersi destreggiare nell’avviluppamento delle più disparate dinamiche familiari; è bene importante che avvocati, periti e coordinatori genitoriali, siano costantemente aggiornati su ciò che c’è di nuovo nel mondo.

 

Genitori e figli: generazioni a confronto

Essere genitori è un mestiere difficile, le competenze possono essere apprese unicamente a livello empirico: non esistono università o licei per imparare a farlo in un modo convenzionalmente giusto. A livello biologico, una volta che nasce il proprio figlio, due adulti diventano formalmente genitori, evolvendosi in un passaggio di status che viene acquisito in maniera automatica. Di certo non si può dire la stessa cosa nell’ottenimento di quelli che sono gli strumenti necessari per crescere il nuovo arrivato.

Rifacendoci al modello animale, i mammiferi ci hanno sempre mostrato di possedere già intrinsecamente schemi comportamentali interni, perlopiù istintuali, necessari all’accudimento della prole e al conferimento ad essa dei mezzi indispensabili alla sopravvivenza.

La presunzione che tali abilità siano proprie anche della specie umana è una credenza persistita per un periodo cospicuo della storia moderna: una buona madre è colei che sa già a priori cosa fare, assunto che ha portato a tragici risvolti teorici anche nella psicologia, come la concezione della mamma frigorifero, una pessima figura genitoriale che, non riuscendo a dare il giusto affetto e le corrette attenzioni al figlio, ne causava il suo diventare autistico. Durante la prima metà del Novecento, perciò, ci troviamo di fronte ad un rigido ideale del ruolo genitoriale che deve, necessariamente, essere già innato negli stessi, aspettativa dai canoni socialmente riconosciuti, che, qualora fosse uscita dal seminato, avrebbe intaccato negativamente direttamente il valore della persona.

generazioni in Italia 2020 (dati di Intribetrend.com)
1. generazioni in Italia 2020 (dati di Intribetrend.com)

Il primo cambio concettuale si ha solo nei primi anni 70, quando si introduce in psicologia il termine genitorialità, delineando il processo dinamico attraverso il quale si impara a diventare genitori capaci di prendersi cura e di rispondere in modo sufficientemente adeguato ai bisogni dei figli. Questa nuova ridefinizione diventa sostanziale in termini pedagogici in quanto arriva ad evidenziare il carattere non più puntuale del fenomeno, ma prettamente processuale ed in continua evoluzione, che, come tale, è perciò soggetto all’interazione multifattoriale di aspetti personali, relazionali e sociali diversi da caso a caso. Con l’inaugurazione delle prime scuole di parenting e la creazione di programmi appositi, come il Parent Effectiveness Training (PET) di Gordon negli stessi anni, si inizia ad aprirsi uno spiraglio che ha poi successivamente dato vita e ragione alla Coordinazione Genitoriale: i genitori, in quanto esseri umani per definizione non infallibili e perfetti, possono anche non possedere gli strumenti ottimali per svolgere il loro compito al meglio e necessitare perciò di una guida e un aiuto esterno su misura per loro nelle situazioni di crisi intra-familiare.

Il mondo sociale in cui viviamo è diventato infatti complicato, freneticamente mutevole nelle sue caratteristiche organiche, compositive e relazionali, basti pensare ai numerosi cambiamenti tecnologici e alla velocità in cui si sono susseguiti nell’ultimo ventennio, ridisegnando intere professioni e stili di vita. Un genitore ai giorni d’oggi, nato all’incirca tra gli anni ottanta e novanta, considerando i recenti dati ISTAT che prevedono nel 2019 un’età media dei genitori italiani di 32 anni, avrà avuto un’infanzia ben diversa da quella che avrà il proprio figlio, così come saranno diverse le esperienze, le credenze e gli schemi mentali delle due generazioni. Queste incongruenze non sono estranee ai sociologi, che si sono lanciati in possibili classificazioni della popolazione per caratteristiche comuni dovute proprio ai diversi periodi, ambienti e stimoli a cui sono stati sottoposti durante l’infanzia: si va dai Boomer (57-64 anni circa), alla Generazione X (38- 56 anni), per poi arrivare alle più recenti, i Millennials (24-37 anni) e la Generazione Z (16-23 anni), con un range di età che è destinato a restringersi sempre di più per stare al passo con i repentini cambiamenti della società. Ciò che varia all’interno di questi gruppi, sostanzialmente, è radicale e permea ogni ambito della persona: dalle preferenze e i passatempi (mentre la Generazione Z è per definizione quella più interessata ai social network e al mondo dell’online, i Boomer preferiscono il canonico palinsesto televisivo e le attività offline) alle battaglie ideologiche (le generazioni recenti, per esempio, sono più sensibili a tematiche di inclusione e gender fluid, così come all’inquinamento ambientale e alla tutela degli animali).

 

Genitori e figli: il cambiamento del setting famigliare e l’adolescenza eterna

Come perciò conciliare persone così diverse, e come può il genitore italiano ai giorni d’oggi agire nel migliore interesse del figlio, considerando un distanziamento culturale così profondo? La risposta è da ricercare nel cambiamento di concezione della famiglia, ma soprattutto nelle caratteristiche sociali dei ragazzi in età evolutiva.

In contrapposizione alla tradizionale famiglia cattolica italiana, con l’approvazione della legge sul divorzio n.898 del 1 dicembre 1970, si esce dal canonico schema della madre governante della casa e responsabile della prole e del padre sostentatore dell’intero nucleo, ammettendo l’ipotesi di una famiglia monoparentale o allargata. Tali casistiche, oltre a generare le più disparate dinamiche, abbattono l’unità della diade genitoriale sgretolando la base sicura del ragazzo, costringendolo ad attuare strategie di coping per fronteggiare i nuovi equilibri.

Dall’altro lato, anche la figura del figlio e le sue tappe evolutive hanno subito una notevole virata storica: negli ultimi anni si è fatta strada l’ipotesi della cosiddetta adolescenza infinita, in cui, secondo uno studio della rivista scientifica The Lancet Child & Adolescent Health del 2018, l’età di entrata nel mondo adulto si sarebbe spostata a 24 anni, e non più a 18, contrastando dall’altro lato un’anticipata pubertà, che avverrebbe intorno agli 11 anni (Sawyer et al., 2018). Il profilo dei figli delle nuove generazioni sembrerebbe perciò essere quello di ragazzi estremamente precoci, e perciò propensi alla sperimentazione ben prima rispetto a qualche anno fa, e allo stesso tempo adulti tardivi, rimanendo in una fase, che dovrebbe essere transizionale (adolescens, in latino, significa infatti “in via di crescita”), per un tempo molto esteso.

Le cause retrostanti la nuova periodizzazione sembrerebbero risiedere, secondo l’autrice dello studio dott.ssa Susan Sawyer, nei fattori sociali che determinano un mutamento nell’evoluzione biologica. Da un lato, una migliore alimentazione e comfort causerebbero una secrezione ormonale ipotalamica prematura e un anticipo dell'età mestruale nelle ragazze; dall'altro, il prolungamento dell'adolescenza fino alla tarda età sarebbe dovuto allungamento dei corsi di studio, che comporta un’uscita di casa e l’immissione nel mondo ben dopo i canonici tempi a cui siamo abituati (Sawyer et al., 2018). Non a caso, alcuni studiosi definiscono trasversalmente l’attuale fascia d’età 15-24 anni come Neet, ovvero giovani che non lavorano, non studiano e vivono ancora in casa con i genitori (Parente, 2020). Queste circostanze portano a uno stato di semi-dipendenza in cui il corpo, sostanzialmente, si assopisce nella speranza di durare il più a lungo possibile, possibilmente per sempre (Sawyer et al., 2018).

 

Genitori e figli: internet e il mondo virtuale

In aggiunta a questi cambiamenti prettamente fisiologici, a livello sociale, negli ultimi decenni, è impossibile ignorare la prorompenza del fenomeno di Internet nelle vite di questi eterni adolescenti, che, oltre ad avere i numerosi pro, di certo ha mostrato disparati lati negativi impattanti sulla persona. Uno degli aspetti più incredibili della rete è di certo avere a disposizioni tantissime, quasi infinite informazioni in pochissimo tempo, in qualsiasi momento, ed essere sempre connessi. Il rovescio della medaglia è però il rischio dell’iper-vigilanza genitoriale.

Geolocalizzatori, chat istantanee, digitalizzazione dei registri scolastici e tanto altro ancora hanno permesso ai genitori odierni di avere un controllo sui figli costante e pervasivo, creando una forma di sorveglianza capillare che lascia ben poco margine di gioco ai giovani. I ragazzi, perciò, trovano sempre meno spazio per sbagliare, per fare quelle famose marachelle che offrono, dopotutto, un’occasione di crescita da cui imparare. Perciò, si trovano anche impossibilitati a sperimentare, consci dell’occhio sempre vigile, fisico o digitale, di mamma e papà. La casa diventa perciò un luogo sicuro, controllato, il giovane si trova a relazionarsi con i coetanei attraverso la stessa rete, protetto dalle mura della propria camera. Dialoga con messaggi vocali, che spezzano le interazioni e danno lo spazio di riflettere tra una risposta e l’altra senza sentirsi in dovere di mantenere una conversazione o, meglio ancora, utilizzano messaggi scritti, arricchendoli di emoji (faccine che rappresentano le emozioni utilizzate nei messaggi) per dar tono a parole digitate piatte e mono-espressive.

Viene perciò completamente sradicato il dialogo vis a vis, preferendo il ritiro nella propria comfort zone e tempi di latenza e di risposta più lunghi, che, parlando a voce con il proprio interlocutore di persona, non sarebbero possibili. Per questi ragazzi, Internet non è solo un passatempo: è un luogo sicuro, un mondo virtuale, parallelo, preferibile a quello reale perché più facile da leggere e da controllare. Tutto ciò è possibile simbolicamente attraverso lo schermo del computer, del tablet o del telefonino, che si offrono da mediatori e da finestre per immergersi in queste dinamiche, rimanendo però a distanza di sicurezza. Le enormi differenze di concezione del mondo e del come esperirlo sono state punto focale dei più recenti studi, dove si è ipotizzato che i giovani, esposti così lungamente alla tecnologia in tenera età, siano stati fisicamente modellati a livello sinaptico, complice l’alta plasticità mentale tipica dello sviluppo. Nuove connessioni, nuovi collegamenti: in senso lato, un nuovo pensiero. Da qui, la teorizzazione dell’intelligenza digitale, una nuova proprietà cerebrale che non solo prenderebbe vita spontaneamente grazie ai fattori epigenetici in cui i giovani sono immersi, ma che diventa impossibile da acquisire per coloro che sono cresciuti lontano dall’avanzata di Internet, genitori che rimangono completamente sprovvisti delle conoscenze e degli strumenti necessari per leggere il mondo interno dei proprio figli (Greenfield, 2016), inabili di creare un ponte comunicativo che li sintonizzi a loro.

 

Genitori e figli: esperienze mediate dalla rete: sessualità, sexting e scollamento dal mondo reale

Utilizzando questi mezzi, l’adolescente si afferma: alcuni studiosi fanno persino coincidere il dono del primo smartphone con l’inizio della pubertà (intervista a Luigi Zoja per il Corriere della Sera, 20 gennaio 2018), perché con esso il ragazzo può iniziare a vivere a pieno, per così dire, ogni tipo di esperienza: l’istruzione, le amicizie, i primi amori. Persino la sessualità.

In Italia, il 44% dei ragazzini tra i 14 e i 17 anni (Stanley et al., 2018) dichiara di vedere pornografia online di propria spontanea volontà con una certa frequenza, forte delle limitazioni e delle chiavi di sicurezza dei siti dedicati veramente deboli (sebbene sia illegale, infatti, nella maggior parte dei siti per adulti si richiede una semplice autodichiarazione di maggiore età, che non viene verificata in nessun modo), mentre i restanti affermano di esserne stati esposti involontariamente, capitando su siti sbagliati o ricevendo da amici materiale di questo spessore. In questo modo, i giovani vengono a conoscenza di una sessualità sempre più spinta, violenta e perpetrata e, essendo questo genere di contenuti l’unico di cui possono fruire essendo limitati e controllati, lo assimilano molto spesso come il canone e lo standard di norma: il 70% dei ragazzi che guardano contenuto per adulti con regolarità percepisce le donne come oggetti sessuali, e il 34% di questi ammette di aver fatto pressioni sulla partner forte di questi insegnamenti (Stanley et al., 2018). L’industria cinematografica a luci rosse, perciò, viene elevata a modello da seguire, realistico e riproducibile, credenza poche volte smentita mancando un’educazione sessuale corretta da parte dei genitori e da parte delle istituzioni.

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2. sexting tra gli adolescenti nel mondo (dati da Pacilli et al., 2021)
2. sexting tra gli adolescenti nel mondo (dati da Pacilli et al., 2021)

Dal vedere, si passa presto al fare, e i giovani, con l’illusione che vi possa avvenire questa perfetta replicabilità online del vissuto reale, si avvicinano sempre più numerosi a pratiche alternative per soddisfare i propri bisogni: nasce così la pratica del sexting, sempre più diffusa la facilitata fruizione di Internet per tutti. Il fenomeno, comparso per la prima volta sui giornali attorno al 2009, si definisce con lo “invio di messaggi, immagini o video a sfondo sessuale o sessualmente espliciti tramite dispositivi informatici portatili o fissi” (Treccani, 2014), che avrebbe l’esplicito scopo di sopperire alla sempre più diramata mancanza di rapporti sessuali tra i giovani, che preferiscono scambiare messaggi erotici e foto di nudo piuttosto che avere una relazione fisica. In una meta-analisi del 2018, Madigan e colleghi hanno raccolto studi condotti tra Stati Uniti, Europa, Australia, Canada, Sud Africa e in Sud Corea che hanno preso in esame, nel complesso, più di 110mila adolescenti (tutti minorenni, età media 15 anni) facendo emergere come più del 14% pratica sexting e più del 27% lo riceve con frequenza (Madigan et al., 2018).

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3. sexting tra gli adolescenti in Italia (dati da Pacilli et al., 2021)

Un dato preoccupante riguarda la frequenza con cui vengono inoltrati tali contenuti senza consenso (12%) e vengono inoltrati (più dell’8%), risultati che strizzano l’occhio a quelli sulla pornografia citati poc’anzi.

Per riportare il focus al nostro paese e al panorama italiano, la situazione non è per niente rassicurante e si allinea tristemente al trend internazionale: circa il 60% del campione di un recente studio riferisce di ricevere sexting, e circa la metà dichiara di averlo inviato e di averlo persino richiesto (Confalonieri et al., 2020).

Il risvolto più evidente, prendendo per in questo caso la sessualità, è il forte scollamento che avviene tra mondo reale e mondo virtuale, quest’ultimo ritenuto lo specchio simmetrico di quello fisico che porta perciò ad ignorarne gli aspetti fittizi, spesso ingigantiti e camuffati con gravi conseguenze sullo sviluppo psicosessuale dell’adolescente. E non solo.

Alberto Pellai, ricercatore all’Università degli Studi di Milano, in un’intervista rilasciata al Corriere della Sera, evidenzia la pericolosità di questo distaccamento e la difficoltà dei giovani nel riuscire a interpretare il rischio e a “codificarlo”, abilità che, in questa fragile età, ha bisogno dell’assistenza di un adulto per essere eseguita; ciò tradotto, sembra prerogativa dei preadolescenti il non essere “in grado di comprendere che c’è anche la morte. Pensiamo di proteggerli non facendogliela conoscere e così finiscono per applicarle un meccanismo da fiction. Chi si occupa di suicidio in età evolutiva si sente spesso dire dai sopravvissuti: io non mi sarei mai aspettato che fosse questa cosa qua, che fa male, che ti lascia in ospedale. La trattano come qualcosa di virtuale anche nelle sue conseguenze” (intervista a Alberto Pellai per il Corriere della Sera, 15 settembre 2018).

Da qui sono numerosi i fenomeni virtuali che hanno tolto la vita a decine di ragazzini adolescenti nell’ultimo decennio, come la Blue Whale Challange, una serie di sfide lanciate in rete che comportavano al ragazzo che vi partecipava un enorme stress fisico e psicologico che, portato all’estremo, lo costringeva infine al suicidio o ad autoinfliggersi gravi ferite. Questo genere di situazioni non riescono a essere filtrate dai giovani come potenzialmente pericolose, vengono vissute quasi con goliardia e con un senso di onnipotenza, ignari delle conseguenze e dei rischi in cui possono incorrere.

 

 

Genitori e figli: l’isolamento sociale e l’impatto della pandemia sui giovani

pandemia e giovani

Sempre secondo il Pellai, tutto questo è reso possibile anche dalla mancanza di quelli che, un tempo, erano i fattori protettivi che prevenivano tali conseguenze: “prima le sfide si facevano di persona, in un gruppo, nel quale tutti insieme si sapeva riconoscere quando si arrivava al limite. Se sei da solo di fronte al computer tutto questo è nebulizzato” (ibidem), appellandosi a quella coscienza collettiva che soverchia e sovrasta quella individuale ancora incapace di discernere il giusto e lo sbagliato.

I coetanei e l’interazione fisica, con loro agisce perciò da freno, permettendo comunque di vivere esperienze fondamentali per il corretto sviluppo mentale, ma queste interazioni sono state bruscamente recise negli ultimi periodi. Infatti, va da sé che, oltre a Internet che si impone fortemente, il ritiro sociale dei ragazzi, emblematicamente rappresentato dagli Hikikomori, ragazzi giapponesi che si chiudono in camera da letto per giocare ai videogiochi e interagire solamente attraverso gli schermi, è peggiorato irreversibilmente a causa della pandemia di Sars-Cov-19, attualmente in corso da ormai due anni.

Secondo un’indagine condotta dalla Fondazione Soleterre e dall’Unità di ricerca sul Trauma dell’Università Cattolica di Milano, più del 17% dei ragazzi tra i 14 e i 19 anni, ha frequentemente pensieri di morte e tendenze autolesioniste in relazione alla situazione pandemica, e il 34% riferisce che il trauma da pandemia sia diventato parte integrante della propria identità (Soleterre e Università Cattolica, 2021). Sempre nella stessa indagine, emerge come i sentimenti che l’isolamento forzato hanno causato siano principalmente di ansia, rabbia, depressione e solitudine, assieme alla difficoltà nell’acquisizione di autonomia e di costruzione di sé stessi, compensate con l’abuso e lo sviluppo di dipendenza dei social. Un cane che si morde la coda.

Non solo però i ragazzi: anche i genitori hanno dimostrato di aver subito e essere stati colpiti dalle quarantene forzate e dall’isolamento. Le famiglie, al netto di questo biennio, si sono trovate ad essere, allo stremo psicologicamente ed economicamente, impotenti, trasmettendo ai figli un’incertezza così forte da sfociare in ragazzi manifestanti un forte disagio, che si sentono smarriti, poco supportati e rassicurati (Soleterre e Università Cattolica, 2021).

 

Genitori e figli: aspetti da considerare operando nel campo dei conflitti

Qual è dunque il punto centrale e focale del nuovo rapporto genitori-figli, e come può lo psicologo nominato dal Tribunale, che sia esso il Perito o il Coordinatore Genitoriale, alla luce dei problemi elencati, indirizzare al meglio gli adulti in modo tale che i loro comportamenti siano fattori protettivi sui minori per una corretta crescita? Come è già stato precedentemente detto, un controllo pressante ai fini di prevenire condotte nocive dei ragazzi è più controproducente che utile; inoltre, dato il divario generazionale, è presuntuoso pensare di poter intercettare potenziali pericoli sconosciuti su un terreno, Internet, che appartiene ai giovani, perché “saranno sempre un passo avanti” (Alberto Pellai per il Corriere della Sera, 15 settembre 2018).

La soluzione, perciò, sembra essere, in tutta la sua semplicità ma anche nella sua efficacia, quella dello stare vicino ai figli e sfruttare quel principio basilare che gli inglesi definiscono con il termine warmth (Elsasser et al., 2017): esso non indica solo una sterile dimensione di prossimità spaziale, ma, in senso lato, la parola ha in seno il senso di tepore, il tipo di calore materno che trasmette la chioccia alle sue uova, un gesto che infonde e trasmette protezione.

Quella stessa istintuale necessità che le scimmiette neonate, studiate dallo psicologo comportamentale Harlow, preferiscono al cibo, prediligendo le cure e gli affetti di un fantoccio di scimmia che simula odore e pelliccia della madre, piuttosto ad un altro più algido e metallico che eroga latte. È questa sensazione di accudimento regalata dall’attaccamento che stimola l’esplorazione sicura, rendendo i ragazzi consci che, in situazioni di pericolo, i genitori sono lì, alle loro metaforiche spalle, pronti ad aiutarli.

A questo va accompagnato, indubbiamente, l’ascolto dei figli, nell’ottica di abbassare la barriera virtuale, facendo però attenzione a non ostracizzarla e sminuirla, col rischio di minimizzare e banalizzare aspetti insigniti di una forte importanza da parte del ragazzo: mostrarsi interessati al mondo digitale in cui sono immersi, offrir loro uno spazio di ascolto che accolga il loro vissuto e in cui possano cercare risposte, un porto sicuro a cui affidare le criticità e in cui si sentano legittimati, così da evitare che alla prima difficoltà si sentano in dovere di nascondersi o si sentano soli ad affrontarla (Elsasser et al., 2017).

Per ottenere simili risultati si è da poco affacciata sul panorama lombardo la figura del Coordinatore Genitoriale nei procedimenti di separazione, non ancora normata a livello nazionale ma riconosciuta dal Tribunale di Milano con decreto n.7 del 29 luglio 2016 (Cosmai, 2016). Compito del Co.Ge. è, infatti, proprio quello di coadiuvare la diade genitoriale alla collaborazione in aiuto al proprio figlio, ed eleggersi punto di riferimento per i suoi dubbi e perplessità. Dopotutto, un recente studio dell’Università dell’Illinois (Ogolsky & Maniotes, 2021), ha recentemente osservato come le coppie matrimoniali più durature, in cui vi è una notevole complicità anche nella cura della prole, raggiungano dopo anni una sincronia addirittura tra i cuori nella frequenza cardiaca, diventando quasi tutt’uno nella coesione verso la genitorialità e regalando ai ragazzi una pervasa percezione di armonia e sicurezza: qualcosa che, in questa epoca frenetica, pandemica, e di incertezze, di certo servirebbe ai nostri giovani.

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