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Infortunio sul lavoro: il Coordinatore per l’esecuzione dei lavori risponde solo del c.d. rischio interferenziale

Marina di Ravenna
Ph. Ermes Galli / Marina di Ravenna

Indice

1. Il Coordinatore per la progettazione e la fase di esecuzione dei lavori: la decisione della Cassazione

2. Gli elementi individuativi della figura del Coordinatore per l’esecuzione dei lavori ed il c.d. “rischio interferenziale

3. Il Coordinatore per la progettazione e la fase di esecuzione dei lavori: riflessioni conclusive e fondatezza della posizione assunta dalla Corte di Cassazione

 

1. Il Coordinatore per la progettazione e la fase di esecuzione dei lavori: la decisione della Cassazione

Il procedimento penale di cui alla sentenza in commento trae origine dall’infortunio con esito mortale occorso al titolare e preposto alle lavorazioni della ditta esecutrice di lavori di ristrutturazione di un immobile a seguito del crollo del solaio pertinente al sottotetto dello stabile.

All’imputato Coordinatore per la progettazione e la fase di esecuzione dei lavori, pertanto, venivano ascritti, in cooperazione colposa con il committente e il progettista-direttore dei lavori, i reati di cui agli artt. 434-449 e 589 c.p. per avere cagionato il predetto crollo, con le fatali conseguenze per la vittima e per aver omesso la corretta valutazione dei rischi per gli operatori di cantiere nel Piano di Sicurezza e Coordinamento in relazione alla totale demolizione del solaio di sottotetto, opera non prevista da progetto e non autorizzata in via amministrativa, non monitorando la concreta evoluzione dei relativi lavori e le modalità tecniche adottate, in violazione del Decreto Legislativo n. 81 del 2008 artt. 91 e 92.

La penale responsabilità del Coordinatore veniva accertata e dichiarata sia in primo che in secondo grado, per cui lo stesso ricorreva in Cassazione sostenendo come i giudici di merito avessero errato nelle loro decisioni dal momento che l’area di rischio a lui ascrivibile in fase di esecuzione attenesse esclusivamente alla configurazione generale delle lavorazioni e cioè all’infrastruttura entro la quale si fosse collocata ogni singola lavorazione affidata all’impresa esecutrice, esulando, invece, dal suo operato il rischio specifico connesso a queste singole lavorazioni.

Il ricorrente, pertanto, evidenziava come la figura del Coordinatore per la sicurezza trovi presupposto indefettibile solo nella sussistenza di un rischio interferenziale che giustifichi la presenza di una ulteriore posizione di garanzia in fase di esecuzione, da affiancarsi in modo autonomo a quelle del committente, del datore di lavoro e del preposto, ai quali soltanto compete la responsabilità per il rischio specifico connesso alle singole lavorazioni.

Lo stesso ricorrente, quindi, concludeva sottolineando come nel caso di specie i giudici di merito non avessero considerato in alcun modo il rischio interferenziale presupposto per richiamare la disciplina di riferimento e pretendere da parte sua l’adempimento degli obblighi di garanzia su di lui gravanti, limitandosi a considerare un unico specifico segmento della lavorazione, peraltro non previsto nell’originario progetto, non comunicatogli e non autorizzato in via amministrativa, in cui fossero risultati impegnati i lavoratori dell’impresa affidataria ed esecutrice in via esclusiva di tutte le opere murarie e di demolizione in questione.

Con la sentenza in commento (Corte di Cassazione Penale - Sezione Quarta - sentenza n. 24915 del 30 giugno 2021) la Corte di Cassazione penale accoglieva il ricorso come proposto e rimetteva l’imputato, nella sua qualità di Coordinatore per l’esecuzione dei lavori, dinanzi a diversa sezione della Corte di Appello perché la stessa, una volta correttamente inquadrata la figura dello stesso imputato in tale ruolo, fornisse con motivazione congrua e logica una risposta al quesito se egli dovesse e potesse, competendogli una mera "alta vigilanza" sul rischio interferenziale, essere a conoscenza della totale demolizione del solaio, eseguita in contrasto con quanto progettato.

 

2. Gli elementi individuativi della figura del Coordinatore per l’esecuzione dei lavori ed il c.d. “rischio interferenziale

Il merito indiscusso di questa interessante pronuncia della Corte Suprema penale è certamente quello di aver specificato, tra le righe della vicenda processuale posta alla sua attenzione, quelli che sono gli elementi identificativi del Coordinatore per l’esecuzione dei lavori o Coordinatore per la  sicurezza in fase di esecuzione, più brevemente conosciuto come CSE, figura non troppo nota nell’ambito della normativa generale in tema di Sicurezza sul Lavoro disciplinata, come è noto, dall’articolo 92 del Decreto Legislativo n. 81 del 9 aprile 2008 (Testo Unico sulla salute e sicurezza sul lavoro) nonché i fattori costitutivi del c.d. “rischio interferenziale” che del ruolo del CSE è la componente predominante.

Come evidenziato anche in questa sede dai Giudici di legittimità, il predetto Decreto Legislativo n. 81/2008 all’articolo 90 comma 3 prevede che nei cantieri in cui sia prevista la presenza di più imprese, anche non contemporanea, il committente, anche nei casi di coincidenza con l’impresa esecutrice, o il responsabile dei lavori, contestualmente all’affidamento dell’incarico di progettazione, designi il coordinatore per la progettazione (CSP), mentre il successivo comma 4 stabilisce che in questi casi il committente o il responsabile dei lavori, prima dell’affidamento dei lavori, nomini il Coordinatore per la esecuzione dei lavori (CSE) cui è appunto rimesso quel c.d. “rischio interferenziale” che deriva essenzialmente da possibili interferenze tra le attività delle diverse imprese coinvolte nel corso delle lavorazioni.

La Corte Suprema, inoltre, opportunamente ci ricorda anche in questa occasione come tale rischio sia stato definito dalla propria giurisprudenza come quello "derivante dalla convergenza di articolazioni di aziende diverse verso il compimento di un’opera unitaria" (Cass. Pen. Sez. Quarta n. 14167/2015) che ricorre nel caso si riscontri la "presenza di lavoratori appartenenti a più aziende, autonome tra loro, ma che operano nell’ambito di un medesimo rapporto contrattuale" (Cass. Pen. Sez. Quarta n. 9571/2016).

I Giudici di legittimità, più esattamente, sottolineano come tale “rischio interferenziale” sia da ritenersi ulteriore e diverso rispetto a quello "specifico proprio" che è connesso alla singola lavorazione svolta da ciascuna impresa e come pertanto l’area di conseguente eventuale responsabilità governata dal CSE attenga alla configurazione generale delle lavorazioni e si occupi dunque dell’infrastruttura entro la quale si colloca ogni singola lavorazione affidata all’impresa esecutrice, trovando il suo presupposto indefettibile in una ulteriore posizione di garanzia in fase di esecuzione che si affianca in modo autonomo a quelle del committente, del datore di lavoro e del preposto, ai quali soltanto compete la responsabilità per il rischio specifico connesso alle singole lavorazioni.

Più semplicemente, e in via conclusiva, gli Ermellini specificano come a tale figura, fatta eccezione solo per i casi limite di cui alla lettera f) del citato articolo 92, spetti la gestione del solo “rischio interferenziale, secondo una posizione di garanzia che si affianca, in modo autonomo e indipendente, a quella del datore di lavoro e del committente dei quali tuttavia esso Coordinatore non è, né può essere mai visto, il controllore e come pertanto la responsabilità penale del CSE non possa mai prescindere da un attento e scrupoloso accertamento dei fatti di reato concretanti effettivamente detto rischio ovvero i predetti eventuali casi limite ex lettera f), senza possibilità alcuna di deroga e/o di applicazione analogica che dir si voglia.

 

3. Il Coordinatore per la progettazione e la fase di esecuzione dei lavori: riflessioni conclusive e fondatezza della posizione assunta dalla Corte di Cassazione

Delineato, peraltro anche con dovizia di riferimenti normativi e giurisprudenziali, il ruolo del CSE, la decisione oggi adottata dai giudici penali di legittimità ci appare certamente corretta e a nostro parere assolutamente condivisibile.

Nella particolarità della vicenda considerata, infatti, si badi bene rappresentata da un gravissimo evento mortale conseguente ad una lavorazione specifica che oltretutto era risultata abusiva e non rientrante né nelle autorizzazioni amministrative rilasciate né nei documenti di prevenzione rischi connessi alla tutela della sicurezza sul lavoro, riteniamo che la Corte Suprema abbia fatto giustizia rispetto ad un giudizio di colpevolezza emesso, forse in maniera quasi scontata, nei due gradi di merito nei confronti di un soggetto, il Coordinatore per la sicurezza nella fase dell’esecuzione dei lavori, che è stato accertato essere estraneo alla causazione ed alla verifica del fatto lesivo.

In realtà, il ragionamento giuridico e processuale seguito dai Giudici di legittimità ruota intorno al doveroso acclaramento della responsabilità effettiva del CSE rispetto ad un segmento della lavorazione, quello dell’abbattimento totale dei solai, che nessuno dei Giudici di merito aveva appurato dovesse o potesse essere a conoscenza del nominato professionista, secondo quel criterio di “alta vigilanza” a quest’ultimo rimesso che rappresenta, appunto, il fondamento del suo ruolo e della sua, solo eventuale, figura nel contesto più generale degli attori in tema di sicurezza sul lavoro (in tal senso, conforme, anche Cass. Pen. Sez. Quarta, sent. n. 14179 del 15 aprile 2021).

Ciò che emerge, anzitutto e diciamo anche per l’ennesima volta, da questa significativa sentenza è certamente lo scrupolo con il quale il Legislatore abbia inteso da sempre garantire la massima tutela possibile alla salute dei lavoratori ed alla sicurezza del luogo di lavoro, al punto che la normativa di riferimento in materia, il citato Decreto Legislativo n. 81/2008 appunto, si conferma come il fondamentale baluardo per la difesa di tali valori costituzionalmente garantiti e l’indiscusso snodo normativo di rilevanza non solo nazionale.

L’avere, infatti, previsto anche questa così particolare figura, non a tutti nota, in aggiunta a quelle, per così dire “ordinarie” che la legislazione tecnica in tema di SSL già di per sé prescrive (committente, datore di lavoro, preposto, delegato, rappresentante dei lavoratori, ecc.) significa aver posto al centro delle proprie valutazioni giuridiche l’uomo prima ancora del lavoratore, cercandone in tutti i modi la piena tutela anche e soprattutto quando, come in questi casi, i rischi del lavoro possano essere potenzialmente aumentati dalla concomitante presenza di maestranze facenti parte di ditte diverse e dalla contemporanea esecuzione di lavorazioni tra loro differenti e finanche autonome.

L’individuazione, pertanto, del concetto giuridico del c.d. “rischio interferenziale” come presupposto indefettibile della figura del CSE deve essere vista, a nostro parere, come una delle conquiste più rilevanti e decisive del lungo, complesso e delicato processo di adeguamento della normativa antinfortunistica e di SSL alla dura realtà dei nostri cantieri e dell’attuale mercato del lavoro, troppo spesso, come purtroppo noto, funestato da incidenti anche gravi e dall’esito irrimediabile per le vite umane.

Come è noto, la prima definizione di tale ipotesi di rischio si ritiene contenuta nell’articolo 26 comma 2 lett. b) del TUSL laddove si parla di rischio “ulteriore” rispetto a quello “specifico proprio” di ciascun datore di lavoro, generato appunto dall’interferenza “tra i lavori delle diverse imprese coinvolte nell’esecuzione dell’opera complessiva”.

La prima e generale definizione di “rischio interferenziale” è stata poi riscontrata nella Determinazione dell’Autorità di Vigilanza sui contratti pubblici di lavori n. 3 del 5 marzo 2008 nella quale si rinviene il riferimento esplicito alla “circostanza in cui si verifica un contatto rischioso tra il personale del committente e quello dell’appaltatore o tra il personale di imprese diverse che operano nella stessa sede aziendale con contratti differenti”.

In verità, il riferimento al generico connotato della “interferenza tra i lavori” ha di fatto consentito alla giurisprudenza di ampliare notevolmente questa nozione di rischio, di per sé anomalo e non tipizzato, adattandola maggiormente ai casi concreti e finendo così per valorizzare il contatto rischioso tra lavori e tra le organizzazioni d’impresa anche solo temporaneo, accidentale o addirittura potenziale (v. per tutte Cass. Pen. Sez. Quarta – sentenza n. 4337 del 02 febbraio 2016 che ebbe a trattare il caso di un infortunio di un trasportatore durante la consegna di materiale causato dalla rottura del manico di una scopa consegnata dal committente per pulire la via di accesso al magazzino bloccata dalla neve). 

È pertanto evidente come l’interferenza, penalmente rilevante, riguardi non sempre e non solo, o meglio non necessariamente, specifiche lavorazioni contestuali o contemporanee che vengano svolte per il raggiungimento di un medesimo obiettivo di impresa, ma anche e più semplicemente meri elementi di fatto quali, ad esempio, quelli derivanti da una connessione tra una prestazione richiesta ed uno specifico rischio esistente di per sé sul luogo di lavoro, per cui questo ci indurrebbe a ritenere che non sempre la figura del CSE sia riscontrabile nel caso concreto, salvo a non voler pensare che il solo concatenarsi di fatti ed eventi lesivi tra di loro interferenti porti ad individuare questo ruolo in capo ad un qualsivoglia soggetto responsabile “ordinario” della sicurezza ( committente, datore di lavoro, delegato del preposto, ecc. ).

In realtà, se interpretiamo, come ci sembra più logico fare, il termine “rischio interferenziale” nella sua espressione testuale e semantica, non possiamo non concludere che non sempre la sussistenza di questo determini la presenza del Coordinatore per la sicurezza nell’esecuzione dei lavori e, di conseguenza, per la responsabilità di quest’ultimo.

È fondato ritenere, piuttosto, che ciò avvenga, o meglio debba avvenire per prescrizione normativa, laddove o per contratto o per capitolato o anche solo per organizzazione interna dei lavori da eseguirsi si pervenga ad una situazione, effettiva e concreta, di simultaneità di imprese e di maestranze differenti o di svolgimento di lavorazioni autonome che faccia emergere per ciò stesso un rischio aggiuntivo (Cass. Pen., Sez. Quarta, sent. n. 36474 del 9 settembre 2015 e, conforme, Cass. Pen. Sez. Quarta sent. n. 9571 dell’08 marzo 2016), ovvero di coinvolgimento nelle procedure di lavoro di diversi plessi organizzativi (Cass. Pen. Sez. Quarta, sent. n. 15124 del 27 marzo 2017 e n. 18200 del 02 maggio 2016) o ancora di convergenza di articolazioni di aziende diverse verso il compimento di un’opera unitaria (Cass. Pen. Sez. Quarta, sent. n. 14167 del 12 marzo 2015).  

In ogni caso, qualunque sia il contesto in cui si verifichi un rischio di tal genere e la natura della condotta o delle condotte che ne determini la sussistenza, se ed in quanto sia stato effettivamente nominato un CSE secondo le prescrizioni normative, egli risponde solo del c.d. “rischio interferenziale” come correttamente sancito anche dalla sentenza oggi in commento, con l’unica eccezione costituita da quelle ipotesi, non tipizzabili, di possibili fatti lesivi rientranti nella lettera f) dell’articolo 92 del Decreto Legislativo n. 81/2008 volutamente lasciati dal Legislatore nella loro estrema genericità (“in caso di pericolo grave e imminente, direttamente riscontrato”) e soggetti, si badi bene, alla sola sospensione delle “singole lavorazioni fino alla verifica degli avvenuti adeguamenti effettuati dalle imprese interessate”.

È degno di nota, piuttosto, il fatto, opportunamente rimarcato dalla Corte di Cassazione nella sentenza in esame, che le diverse prescrizioni imposte normativamente al CSE abbiano un contraltare sotto il profilo della responsabilità penale solo in quanto la particolare fattispecie di presunto reato che si ritiene ascrivibile al Coordinatore sia oggetto di specifica imputazione, per cui non è certamente un caso che, nella vicenda oggi in esame, la colpevolezza ascritta al CSE dai Giudici di merito sia stata poi oggetto di totale riconsiderazione, in fatto e soprattutto in diritto, da parte della Corte Suprema proprio a causa della mancata contestazione, in sede di procedimento penale, di una qualsivoglia tipologia di fatto rientrante nella citata lettera f).

Questa norma, invero, è stata giustamente ritenuta, come ricordato anche dalla Corte di Cassazione in questa occasione, come di chiusura e a ragion veduta è stato altresì ricordato che il coordinatore per l’esecuzione dei lavori è titolare di una posizione di garanzia che si affianca a quella degli altri soggetti destinatari della normativa antinfortunistica, in quanto gli spettano compiti di "alta vigilanza", consistenti: a) nel controllo sulla corretta osservanza, da parte delle imprese, delle disposizioni contenute nel piano di sicurezza e di coordinamento nonché sulla scrupolosa applicazione delle procedure di lavoro a garanzia dell’incolumità dei lavoratori; b) nella verifica dell’idoneità del piano operativo di sicurezza (POS) e nell’assicurazione della sua coerenza rispetto al piano di sicurezza e coordinamento; c) nell’adeguamento dei piani in relazione all’evoluzione dei lavori ed alle eventuali modifiche intervenute, verificando, altresì, che le imprese esecutrici adeguino i rispettivi POS (così Sez. 4, n. 27165 del 24/5/2016, Battisti, Rv. 267735 e prima ancora Sez. 4, n. 44977 del 12/6/2013, Lorenzi ed altro, Rv. 257167)”.

Come possiamo vedere, pertanto, nel caso in commento vi è stato un certosino lavoro di disamina del fatto di reato da parte della Corte Suprema che ha poi condotto la stessa alla rimessione degli atti ad altra sezione della Corte di Appello perché sia accertata, prioritariamente, la consistenza e la natura delle lavorazioni risultate lesive, e dunque se esse siano singole ovvero plurime, e di seguito, e solo in quest’ultimo caso, la reale e concreta responsabilità del CSE nella causazione del fatto, sotto un profilo ovviamente non di reato commissivo ma piuttosto omissivo, data la preponderanza degli obblighi di controllo, verifica, segnalazione e, in via residuale, sospensione posti a suo carico.

Qualora si tratti, dunque, di condotta sussumibile nella casistica non tipizzata di cui alla lettera f) dell’articolo 92, la Corte è stata quanto mai chiara nel sostenere come si debba trattare di violazioni macroscopiche e tanto gravi da ricadere in quel “pericolo grave ed imminente, direttamente riscontrato” di cui fa esplicita menzione il Legislatore speciale; il che ci induce a ritenere come giammai si possa parlare di una responsabilità anche solo potenziale o oggettiva del CSE in queste fattispecie di reato e come dimostrarne il “diretto riscontro” non sempre possa rivelarsi facile sotto un profilo squisitamente probatorio.

Diversa, invece, è l’ipotesi di responsabilità per così dire “ordinaria” del CSE, connessa, come detto, esclusivamente al c.d. “rischio interferenziale” perché questa sì sarà basata su elementi documentali, di natura prevenzionale e di sicurezza sul lavoro, che devono essere di immediata e diretta conoscibilità di esso Coordinatore e che, pertanto, in quanto tali, non potranno non essere dallo stesso adeguatamente studiati, analizzati, verificati anche nella loro pratica applicazione al fine di scongiurare, appunto, quel rischio potenzialmente aumentato che il concomitante svolgimento di più lavorazioni inevitabilmente finisce per determinare.