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Infortunio sul lavoro: solo l’autonomia dei lavori esclude da responsabilità il subappaltatore   

Infortunio sul lavoro
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Infortunio sul lavoro: solo l’autonomia dei lavori esclude da responsabilità il subappaltatore

La vicenda in esame trae origine dal ricorso in Cassazione avverso la sentenza del Tribunale di Milano con la quale il titolare di una ditta, subappaltatrice per il montaggio di un impianto di riscaldamento, era stato ritenuto responsabile del fatto lesivo occorso sul cantiere e dunque colpevole del reato di cui agli artt. 146 e 159 del D. Lgs. n. 81 del 2008 per il fatto che non erano state munite di parapetto e tavola fermapiede le aperture lasciate nei solai e nelle piattaforme di lavoro e che queste non erano state coperte con tavolato solidamente fissato e di resistenza non inferiore a quella del piano di calpestio dei ponti di servizio.

L’imputato, dunque, contestava tale pronuncia per essere stato erroneamente ritenuto colpevole per il semplice fatto che nel cantiere dove operava la sua ditta erano state riscontrate, appunto, delle violazioni alla normativa sulla sicurezza del lavoro, indicate nel capo di imputazione.

Più esattamente il ricorrente eccepiva il fatto che la sua società si era occupata del solo montaggio di un impianto di riscaldamento senza che ciò avesse comportato, a suo carico, l’esecuzione di opere murarie e che quindi non poteva essere considerato tenuto al rispetto della normativa generale sulla prevenzione degli infortuni del lavoro.

La Corte Suprema – Sezione Terza Penale – sentenza n. 38357 del 12 ottobre 2022invece, in via preliminare ed assorbente ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso in quanto generico e non attinente, in fatto, alle motivazioni comunque addotte dalla sentenza impugnata, ritenendolo tale anche perché non prospettante vizi di legittimità avverso le motivazioni della decisione assunta dal Giudice di merito e, pertanto, in applicazione della sentenza n. 186 del 13 giugno 2000 della Corte Costituzionale ha condannato il ricorrente, responsabile per colpa della causa di accertata inammissibilità, al pagamento delle spese del procedimento nonché al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende equitativamente determinata.
 

Conclamata la rilevanza del concetto di “interferenza” nella responsabilità da infortuni sul lavoro
 

Con questa recentissima sentenza la Corte di Cassazione, tra le pieghe di una vicenda giudiziaria quanto mai significativa per i principi di diritto esaminati, ribadisce e conferma, ancora una volta, la rilevanza che assume il concetto di “interferenza” ai fini dell’operatività degli obblighi di coordinamento e cooperazione espressamente previsti dall’art. 7 del D. Lgs. n. 626 del 1994 ora trasfusi nell’art. 26 del D. Lgs. n. 81 del 09 aprile 2008.

Si tratta, del resto, di una disposizione normativa, quest’ultima, basilare per l’intero complesso sistema della sicurezza sul lavoro poiché fondata, appunto, sotto la rubrica “Obblighi connessi ai contratti d’appalto o d’opera o di somministrazione”, sulla concorrente responsabilità dei soggetti subappaltatori (comma 2) nell’attuazione di tutte le necessarie misure di prevenzione e protezione dai rischi sul lavoro incidenti sull’attività lavorativa oggetto dell’appalto.

Come è noto, poi, proprio il punto b) dello stesso comma 2 testualmente prescrive come anche i subappaltatori, in una al datore di lavoro, “coordinano gli interventi di protezione e prevenzione dai rischi cui sono esposti i lavoratori, informandosi reciprocamente anche al fine di eliminare rischi dovuti alle interferenze tra i lavori delle diverse imprese coinvolte nell’esecuzione dell’opera complessiva”.

Rientrano, dunque, in quel concetto di “interferenza”, le varie lavorazioni poste in essere congiuntamente sul medesimo cantiere che impone, tra l’altro, al datore di lavoro committente di essere parte diligente per la cooperazione e il coordinamento tra i diversi soggetti operanti, anzitutto mediante l’elaborazione di “un unico documento di valutazione dei rischi che indichi le misure adottate per eliminare o, ove ciò non è possibile, ridurre al minimo i rischi da interferenze ovvero individuando, limitatamente ai settori di attività a basso rischio di infortuni e malattie professionali di cui all’articolo 29, comma 6-ter, con riferimento sia all’attività del datore di lavoro committente sia alle attività dell’impresa appaltatrice e dei lavoratori autonomi, un proprio incaricato, in possesso di formazione, esperienza e competenza professionali, adeguate e specifiche in relazione all’incarico conferito, nonché di periodico aggiornamento e di conoscenza diretta dell’ambiente di lavoro, per sovrintendere a tali cooperazione e coordinamento”.

Le giuste ed opportune preoccupazioni del Legislatore, del resto, sono ampiamente comprensibili e muovono indubbiamente dalla necessità di assicurare al cantiere di lavoro condizioni di sicurezza ancora maggiori a tutela dei rischi che potenzialmente possono aumentare a causa della concorrente operatività di più squadre di lavoro e di maestranze, non contrassegnate da quelle regole, talvolta anche non scritte, dettate soltanto dal lavoro comune e continuativo e da rapporti di colleganza assolutamente consolidati (per un approfondimento sul tema si veda anche la mia nota a sentenza della Corte di Cassazione Penale – Sezione Quarta – n. 24915 del 30 giugno 2021, “Infortunio sul lavoro: il Coordinatore per l’esecuzione dei lavori risponde solo del c.d. rischio interferenziale” in questa Rivista, Diritto, 13 luglio 2021).

Acclarata, pertanto, nel tempo la rilevanza del concetto di “interferenza” come presupposto indefettibile della responsabilità in materia di sicurezza sul lavoro, il merito indiscusso che va riconosciuto alla sentenza oggi in commento risiede nel fatto di avere definitivamente chiarito come lo stesso, con le relative norme che lo presiedono, sia escluso solo ed in quanto la lavorazione del soggetto appaltatore sia contrassegnata dal requisito della sua totale autonomia rispetto alle altre.

Ad esaminare questa considerazione, sembrerebbe quasi una conclusione scontata, ma in realtà non lo è quasi mai perché, come ci insegna anche oggi questa pronuncia, il riuscire a dimostrare tale autonomia della lavorazione in un ambito processuale non sempre è così facile ed è stata, infatti, questa la lacuna probatoria e dibattimentale che ha determinato poi il rigetto per inammissibilità del ricorso proposto in Cassazione.

La Corte Suprema, invero, in un significativo passaggio della sua sentenza testualmente dichiara Del resto, non risulta prospettata neanche una completa autonomia dei lavori della ditta del ricorrente” e richiama correttamente un proprio consolidato orientamento giurisprudenziale rispetto al quale, appunto, “In tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, il subappaltante è esonerato dagli obblighi di protezione solo nel caso in cui i lavori subappaltati rivestano una completa autonomia, sicché non possa verificarsi alcuna sua ingerenza rispetto ai compiti del subappaltatore” (vedi Sez. Quarta – Sentenza n. 12440 del 07.02.2020, Rv. 278749 – 01).

In verità questa asserzione non è solo frutto di un conforme orientamento giurisprudenziale dei Giudici di legittimità ma risponde ad un preciso dettame normativo contenuto proprio nel menzionato art. 26 del D. Lgs. n. 81 del 09 aprile 2008, laddove al comma 3 testualmente viene disposto che “Le disposizioni del presente comma non si applicano ai rischi specifici propri dell’attività delle imprese appaltatrici o dei singoli lavoratori autonomi”.

Si tratta, invero, di passaggio che dai più viene visto come espressione, appunto, del principio fondamentale sopra richiamato in tema di autonomia delle lavorazioni ed impatto sulla responsabilità per infortunio sul lavoro.

La Corte Suprema, pertanto, anche in questa occasione, opportunamente sottolinea come tale autonomia in tanto sia rilevabile in concreto in quanto sia accertata la mancata effettiva “interferenza”, da valere anche ai fini dell’operatività degli obblighi di coordinamento e cooperazione previsti per legge, tra le differenti lavorazioni eseguite, sì da comportare l’inesistenza di un possibile contatto rischioso tra il personale di imprese diverse operanti nello stesso contesto aziendale e, dunque, tra le diverse organizzazioni impegnate sul medesimo cantiere.

I Giudici di legittimità, in maniera corretta e condivisibile, precisano come tale “interferenza” prescinda del tutto dalla “mera qualificazione civilistica attribuita al rapporto tra le imprese che cooperano tra loro – vale a dire contratto d’appalto o d’opera o di somministrazione – in quanto la “ratio” della norma è quella di obbligare il datore di lavoro ad organizzare la prevenzione dei rischi interferenziali attivando percorsi condivisi di informazione e cooperazione nonché soluzioni comuni di problematiche complesse (Vedi Sez. 4, Sentenza n. 9167 del 01/02/2018 Ud., dep. 28/02/2018, Rv. 273257 - 01)”.

È una conclusione, del resto, perfettamente rispondente alla volontà del Legislatore che ha inteso ancorare la tutela della salute del lavoratore e della sicurezza sul lavoro unicamente a criteri fattuali di organizzazione ed esecuzione delle attività lavorative, a prescindere completamente dai risvolti giuridici e contrattuali con i quali delle lavorazioni possono essere regolamentate tra le parti.

La motivazione è, infatti, quanto mai chiara ed intuibile: si vuole evitare in tutti i modi che cavilli burocratici o sottigliezze negoziali possano incidere nella complessa e delicata azione del Giudice, sia esso penale o civile, cui è demandato il compito di ricostruire in concreto il fatto lesivo e il suo nesso causale con lo svolgimento di determinate attività o, come più spesso accade, con l’omissione di ben individuate cautele e/o prevenzioni di natura infortunistica, nel prioritario intento di individuare le effettive responsabilità dei vari soggetti operanti nel contesto lavorativo e di garantire al massimo la posizione del soggetto debole del rapporto, il lavoratore infortunato.

In verità, la posizione assunta oggi dalla Corte Suprema non è nuova nel panorama della giurisprudenza di legittimità, poiché già la Sezione Quarta Penale, con sentenza n. 22032 del 26 maggio 2015, aveva statuito che nell’ipotesi di subappalto dei lavori è configurabile l’esclusione di responsabilità dell’appaltatore solo nel caso in cui al subappaltatore sia affidato lo svolgimento dei lavori che questi svolga in piena autonomia organizzativa e dirigenziale rispetto all’appaltatore (la Corte di Cassazione, con sentenza n. 5690 del 12 giugno 1990, aveva già fatto esplicita menzione alla “ingerenza” dell’appaltatore come causa della sua corresponsabilità per l’infortunio).

In quell’occasione, dunque, veniva enucleato il medesimo principio di diritto sia pure capovolgendo la visuale di riferimento poiché in quel caso si andava a valutare il prescritto requisito dell’autonomia delle lavorazioni con riguardo all’esclusione di responsabilità dell’appaltatore, mentre con la pronuncia in commento è il subappaltatore ad essersi difeso dal suo coinvolgimento in opere evidentemente di spettanza del proprio committente.

In entrambe le fattispecie, comunque, la conclusione cui si perviene è identica; ciò che rileva, infatti, è unicamente la verifica del rispetto scrupoloso delle prescrizioni del piano operativo di sicurezza (Pos) da parte dei soggetti effettivamente coinvolti, secondo un criterio di c.d. “alta vigilanza” che significa propriamente assicurare che nell’ambito dei subappalti gli obblighi prevenzionistici gravino su tutti coloro che esercitano i lavori e, quindi, anche sul subappaltatore interessato all’esecuzione anche solo di un’opera parziale e specialistica, sempre con il limite, normativamente previsto, della completa autonomia dei lavori subappaltati.