Intelligenza artificiale e diritto d’autore: La Corte d’Appello degli Stati Uniti per il Circuito del Distretto di Columbia (Washington D.C.) nega la tutela alle opere create esclusivamente con l’intelligenza artificiale

intelligenza artificiale
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Introduzione e vicenda processuale

Il 18 marzo 2025 la Corte d’Appello del Distretto di Columbia (D.C. Circuit) è stata chiamata a pronunciarsi su un tema di rilevante attualità, quale è quello inerente alla tutela delle opere generate dall’intelligenza artificiale.

La Corte, con una sentenza molto articolata ed, invero, ben argomentata, si è pronunciata nel senso di confermare l’orientamento giurisprudenziale prevalente in ragione del quale soltanto il soggetto fisico può essere considerato autore ai sensi del Copyright Act.

Tale verdetto, che di certo non esaurisce ogni discussione su un tema di così significativo rilievo, disegna comunque, all’attualità, il perimetro ermeneutico e contribuisce a rafforzare quello che è l’orientamento dell’U.S. Copyright Office, secondo il quale la disciplina del diritto d’autore va applicata esclusivamente alle opere derivanti dalla c.d. scintilla umana.

Il decisum della Corte segna, dunque, una netta linea di demarcazione tra l’autorialità umana e la creatività algoritmica, anche se, al contempo, non chiude totalmente le porte all’intelligenza artificiale.

La vicenda oggetto di giudizio riguarda il signor Stephen Thaler, un informatico statunitense ideatore di sistemi di intelligenza artificiale generativa, che già in passato aveva presentato diverse domande di registrazione di brevetti e diritti d’autore relativi a output generati tramite IA, le quali, a dire il vero, sono state tutte respinte.

Nel 2019 il signor Thaler ha chiesto la registrazione di un’opera artistica intitolata “A Recent Entrance to Paradise”, generata interamente da un sistema di IA di sua invenzione denominato Creativity Machine.

Nella domanda presentata al Copyright Office, il signor Thaler ha indicato Creativity Machine come autore dell’opera e sé stesso quale titolare dei diritti di sfruttamento economico, in virtù del fatto di essere egli il creatore ed il proprietario del predetto sistema di IA.

L’U.S. Copyright Office ha respinto tale domanda, fondando la propria ermeneusi sul principio generale secondo cui la paternità di un’opera non può che essere attribuita esclusivamente a un essere umano.

Dopo aver esperito, senza alcun successo, le due fasi del riesame amministrativo interno, il signor Thaler si è rivolto al Tribunale Federale del District of Columbia, che, contrariamente alle sue speranze, ha confermato la decisione amministrativa.

Il signor Thaler ha poi impugnato la sentenza del Tribunale Federale innanzi alla Corte d’Appello del Distretto di Columbia, la quale, ha confermato la decisione del Giudice di prime cure, e di conseguenza ha rigettato l’appello con le motivazioni che saranno oggetto di analisi del paragrafo successivo.

 

L’iter decisionale della Corte d’Appello degli Stati Uniti per il Circuito del Distretto di Columbia ed il concetto di autore di un’opera

La Corte d’Appello, nel giungere alla sua decisione di confermare la sentenza di primo grado, ha riflettuto sul termine autore così come disciplinato dal Copyright Act del 1976, e si è chiesta se la definizione contenuta nella predetta normativa potesse ricomprendere un’entità non umana e dunque un algoritmo.

La conclusione alla quale è arrivato l’Organo Giudicante esclude tale possibilità in quanto, sia il testo del Copyright Act, che la struttura del sistema normativo statunitense, nato quando la tecnologia in materia di IA poteva definirsi ancora pura fantascienza, specificano in modo chiaro ed inequivoco che l’autore può essere soltanto un essere umano.

Difatti, se si analizza il Copyright Act e le disposizioni in esso contenute, non si può non prendere atto di come l’intero sistema del diritto d’autore ruoti attorno alla figura dell’autore come essere umano.

La prefata conclusione si desume in modo chiaro ed esplicito da tutta una serie di elementi contenuti nella legge sul diritto d’autore.

La predetta normativa infatti: a) collega la durata della protezione dell’opera alla vita dell’autore; b) prevede che tale diritto e quelli di sfruttamento economico dell’opera ad esso correlati siano soggetti a successione ereditaria; c) richiede espressamente la firma dell’autore per il trasferimento dei diritti di sfruttamento economico; d) fa riferimento alla nazionalità o al domicilio dell’autore, ma soprattutto alla sua intenzione (scintilla) creativa.

Dalla lettura organica delle predette nozioni legislative risulta ictu oculi che nessun diritto può essere coerentemente attribuito né a una macchina, né a un algoritmo.

Inoltre, se poi si procede ad analizzare la stessa definizione che il Copyright Act dà con riferimento ai “computer programs” ci si accorge come non si possa mai giungere ad alcuna diversa conclusione, giacché in ragione del testo normativo, questi ultimi non costituiscono altro che meri insiemi di istruzioni e di strumenti utilizzati per ottenere un risultato.

Ciò sta, quindi a significare che le macchine sono esclusivamente mezzi di esecuzione e mai entità titolari di diritti.

Tale orientamento trova le sue radici storiche nel lontano 1966, allorquando il Copyright Office, aveva abbracciato un’impostazione umanocentrica del diritto d’autore; ipotesi concettuale  che poi è stata, in toto, recepita nel 1973 all’interno del Compendium of Copyright Office Practices e che si è consolidata nel 1974 con l’intervento della Commissione CONTU (National Commission on New Technological Uses of Copyrighted Works).

Sulla scorta ed in ragione dell’insieme di tutti i declinati elementi, la Corte è giunta alla conclusione che l’appello presentato dal signor Thaler non potesse trovare accoglimento.

In particolare il Giudice di secondo grado ha ritenuto infondata la tesi dell’appellante secondo cui la Creativity Machine doveva essere considerata una sua “dipendente” e che, in quanto tale, essa potesse essere considerata quale autrice, ai sensi della dottrina del lavoro su commissione.

Il rigetto della predetta tesi deriva dall’evidenza del fatto che il titolo di lavoratore dipendente è riferibile esclusivamente ad un essere umano capace di creare un’opera attraverso la scintilla umana e non ad una macchina.

Altro argomento che la Corte ha ritenuto non meritevole di accoglimento è costituito altresì dall’obiettiva evidenza di quanto il signor Thaler ha sostenuto in via subordinata: e cioè di essere autore dell’opera in quanto creatore ed utilizzatore di Creativity Machine. Tale assunto è, però, stato ritenuto processualmente precluso in quanto argomento nuovo non rappresentato dall’appellante all’interno del procedimento amministrativo.

Un punto interessante della sentenza del Giudice d’Appello, nonostante all’interno della stessa sia stato confermato il principio dell’autorialità umana, afferisce al fatto che nel corpo del decisum de quo, non si ravvisa, comunque, alcuna esiziale chiusura sull’applicabilità del diritto d’autore nei confronti dell’intelligenza artificiale.

La Corte infatti non esclude che vi sia la possibilità che opere assistite da intelligenza artificiale possano essere protette dal diritto d’autore.

Ciò, in linea teorica, si può verificare esclusivamente allorquando nella creazione di un’opera  mediante l’utilizzo di sistemi di IA vi sia un apporto umano creativo rilevante e dimostrabile.

Il caso Thaler però, è stato comunque escluso da tale possibilità di lettura atteso che la fattispecie afferisce ad  un’opera generata interamente dall’IA, senza alcun apporto umano diretto.

L’Organo Giudicante, nell’affermare quanto sopra, ha dunque riconosciuto la presenza di alcune ipotesi c.d. borderline come ad esempio i prompt, il controllo stilistico e l’editing che sono strettamente legati all’intervento umano e che, a parere di essa Corte di Appello, possono essere soggetti ad un’eventuale applicabilità del diritto d’autore.

Allo stesso tempo però la Corte ha evitato di pronunciarsi esplicitamente sul punto al fine di non dettare delle linee guida di carattere astratto che possano essere oggetto di interpretazioni fuorvianti e perniciose.

Il Giudice di secondo grado, in linea con il quadro attuale del diritto statunitense, ha dunque posto un limite normativo alla titolarità diretta dell’IA come autore, chiarendo che eventuali mutamenti nella definizione del concetto di “autore” o nell’estensione della protezione alle opere generate interamente dall’IA spettano esclusivamente al legislatore.

In questo modo la Corte ha lanciato un messaggio di grande importanza poiché ha sottolineato che occorre un immediato intervento legislativo che colmi le lacune normative attuali.

 

Conclusioni

La sentenza della Corte d’Appello del Distretto di Columbia pur consolidando e rafforzando un principio cardine del diritto d’autore, ossia che l’autorialità è un attributo dell’essere umano, lascia volutamente aperto lo spazio interpretativo al campo delle creazioni ibride, ossia quelle opere in cui l’essere umano utilizza strumenti di IA come supporto e/o estensione della propria creatività.

È proprio su questo terreno che nei prossimi anni si giocherà la vera partita giuridica tra intelligenza artificiale e diritto d’autore.

Nel frattempo l’elemento che non deve essere perso di vista è il saper distinguere tra creazione assistita e creazione autonoma.

Si parla di creazione assistita tutte le volte in cui l’essere umano mantiene il controllo creativo nella realizzazione di un’opera, vale a dire che svolge attività atte a dirigere, selezionare, correggere e finalizzare l’opera realizzata con l’IA, mentre ci si riferisce ad ipotesi di creazione autonoma ogni qual volta un sistema di IA opera in totale indipendenza, senza intervento umano rilevante o senza che l’utilizzatore ponga in essere decisioni artistiche.

Solo nel primo caso, visto il quadro normativo attuale, il diritto d’autore potrà trovare applicazione. Per quanto riguarda le creazioni autonome, attualmente si è in presenza di un vuoto normativo costituito dal fatto che vi è un altissimo rischio di creare opere senza titolarità e, dunque, non protette, non difendibili e per di più facilmente replicabili da chiunque.

La distinzione di cui sopra nel breve termine richiederà comunque la formulazione di linee guida specifiche e dettagliate; il che costituirà un passo importante da parte del legislatore, il quale  non può più mettere la testa sotto la sabbia e far finta che l’interazione tra essere umano e IA sia esclusivamente mera fantascienza, quando invece si è in presenza di una realtà consolidata che pian piano sta ridisegnando sia la nostra società che i confini del diritto d’autore.