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Crisi Ucraina: non dimentichiamo i principi e i trattati internazionali

Principi e trattati internazionali per promuovere la pace
Assemblea ONU
Assemblea ONU

Principi e trattati internazionali per promuovere la pace


Abstract

Il focus del discorso poggia su due cardini di principio istituzionale-internazionale, quali la violazione della pace e la collaborazione per essa degli Stati. Inviti, raccomandazioni, trattati, fanno parte degli strumenti per lo scopo superiore quale la tutela dei diritti umani e dei popoli.


Abstract

The Focus of the discourse rests on two cornerstones of International-institutional principle such as the violation of peace and the collaboration of states for it. Calls, recommendations and treaties are part of the instruments for the higher purpose such as the protection of human and people rights.

 

Fin quando i diritti umani non saranno garantiti a tutti, non distinguendo razze, sarà una guerra. E fino a quel giorno il sogno di una pace duratura, per i cittadini del mondo di regole internazionali di moralità sarà una fugace illusione da poter perseguire, ma mai raggiungere. Ovunque ora è guerra, è guerra.

Bob Marley

 

Il sentiero della non- violenza richiede molto più coraggio di quello della violenza

M. Gandhi

 

Indice

1. Ius bellum e antigiuridicità intrinseca della guerra

2. Diritto applicabile nei conflitti armati

3. Guerra e terrore come si tutelano i diritti umani

4. Guerra e terrorismo come facce di una medesima medaglia

5. Il Patto Kellog-Briand

6. La responsabilità per la protezione dei popoli

7. Prove di una guerra illegittima e di scopo

8. Trattato Nord Atlantico come adesione giuridica alla pace tra le nazioni

9. Conclusioni compendiate sulla sicurezza collettiva


1. Ius bellum e antigiuridicità intrinseca della guerra

Il diritto o sentito come tale di armarsi e dichiarare guerra, ha costituito per secoli un esercizio esternato del potere sovrano statuale.

Le molteplici idee sulla concezione del bellum iustum che hanno caratterizzato varie epoche nella storia umana, non ponevano contrasti di pensiero sulla legittimità giuridica dello strumento bellico, ma l’aspetto formale e sostanziale del “giusto” o “ingiusto” nel praticarla; hanno trovato il loro tramonto all’orizzonte, con l’origine del 19° secolo in coincidenza dell’affermarsi del positivismo giuridico che, reggendosi sulla base del diritto effettivamente osservato in una società di riferimento, ha messo in luce che tutti gli Stati consideravano sempre legittimo ricorrere ad azioni belliche.

Tale modus agendi si è via via andato a trasformarsi dopo il conflitto del 1915-18, quando sono stati adottati i primissimi trattati internazionali, i quali sono stati portatori di limitazioni al ricorso della guerra come mezzo per la composizione dei conflitti e la soluzione delle controversie internazionali [1].

Con la nascita dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, nel 1945, si è disegnato un vero punto di svolta sul tema: nella Carta dell’ONU, infetti, non solo è manifestamente vietato l’uso unilaterale della forza armata [2] e dunque, la guerra di fatto, ma anche la minaccia di essa e in generale dell’uso della forza (artt. 2, 4), ad eccezione delle azioni collettive militari messe in atto dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite [3] e l’esercizio della legittima difesa individuale e collettiva da parte di tutti gli Stati [4].

Gli Stati sono così privati dello ius ad bellum che era previsto, contemplato liberamente e disciplinato dal diritto internazionale classico.

Le disposizioni che animano la Carta de qua, riflettono lo scenario geopolitico portato dalla seconda guerra mondiale [5]; ma a partire dalla conclusione della guerra fredda, negli anni 90 si è potuta osservare una reale escalation di conflitti interni e guerre civili [6] ed intendere la guerra come crimine internazionale.

Se anteriormente alla Carta suddetta, l’uso della forza era una tra le formule correnti in cui si concretizzava l’autotutela statuale e ancora, con molta probabilità nel discorso storico del 1945 esisteva ancora una abnorme differenza tra il sistema dell’ONU e l’impianto del diritto internazionale generale, in seguito è invece sorta una assoluta coincidenza tra i due ordinamenti citati [7].

Il divieto dell’uso delle armi e del conflitto con le armi, è stato di seguito affermato nelle Dichiarazioni di principi adottate dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite, quali:

la Dichiarazione del 1970 sulle relazioni amichevoli e la cooperazione tra gli Stati;

la Dichiarazione sulla definizione di aggressione contenuta nella risoluzione 3314 (XXIX) del 1974 e

la Dichiarazione delle Nazioni Unite sul rafforzamento dell’efficacia del principio del non ricorso alla minaccia o all’uso della forza nelle relazioni internazionali, annessa alla risoluzione 42/22 del 1987.

Ad oggi la stragrande maggioranza degli studiosi del diritto internazionale pubblico, delle relazioni internazionali o gli specialisti sulle Comunità europee, Unione europea e strategie penali internazionali, riconosce che il divieto del ricorso alla guerra nelle relazioni internazionali, è contemplato da una norma imperativa del diritto internazionale “Ius cogens” e che, in particolare, l’attacco con le armi contro l’integrità territoriale e l’indipendenza politica di uno Stato da parte di altro Stato (definita Aggressione voce di Diritto internazionale) costituisce un crimine contro la pace [8].

Le suddette risoluzioni dell’Assemblea generale, consonanti con le pronunce in passato emanate dalla Corte internazionale di giustizia, pur se linea guida all’interpretazione della nozione di “Aggressione”, non rientrano nell’obbligatorietà assoluta né per gli Stati, né per gli organismi internazionali, poiché in maniera indiscutibile e primariamente è al Consiglio di sicurezza,al quale l’art. 39 della Carta attribuisce un potere di valutazione discrezionale, di natura eminentemente politica.


2. Diritto applicabile nei conflitti armati        

Partendo sempre dal principio che rimane vietato il ricorso alla guerra, il diritto internazionale disciplina le situazioni di conflitto armato, siano esse di diritto internazionale che non internazionale, attraverso un insieme di regole applicabile nei rapporti tra i “belligeranti” (ius in bello) di origine consuetudinaria e codificate da convenzioni internazionali adottate già alla fine del XIX secolo, quali le Convenzioni dell’Aia e, nel 1949, la Convenzione di Ginevra, con i protocolli addizionali del 1977, che concernono il Diritto umanitario.

In aggiunta alle suddette vi sono altre convenzioni su aspetti specifici e peculiari dei conflitti armati, come:

la Convenzione dell’Aia del 1954 sulla protezione dei beni culturali in tempo di guerra,

la Convenzione di New York del 1981 sulla proibizione delle armi che provocano sofferenze eccessive, con il Protocollo del 1995 sul divieto dell’impiego di armi laser accecanti ed il Protocollo del 1996 sul divieto dell’impiego di mine,

la Convenzione di Parigi, sull’interdizione delle armi chimiche e batteriologiche,

la Convenzione di Ottawa del 1997 sul divieto di produzione di mine antiuomo.


3. Guerra e terrore come si tutelano i diritti umani

Dall’art. 2 (4) della Carta ONU si evince che: “I Membri devono astenersi nelle loro relazioni internazionali dalla minaccia o dall’uso della forza, sia contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di qualsiasi Stato, sia in qualunque altra maniera incompatibile con i fini delle Nazioni Unite”.

Fatti di guerra o di terrorismo mettono sempre alla prova i diritti umani, sino a farli tracollare.

Complesso trovare il terreno su cui muovere ed esercitare i diritti umani quando la stessa vita è messa volutamente in estremo pericolo, o addirittura è intesa come “un danno collaterale” durante le azioni di bombardamento di massa, che direttamente o indirettamente deflagrano in epidemie, sofferenze, distruzioni dei luoghi consueti di vita e perdite di vita.

Nello svolgimento di una guerra, soprattutto quelle che hanno una durata prolungata, ogni diritto umano appare colpito in maniera devastante, il sistema sanitario viene meno, non è esplicata l’istruzione, la vitalità in generale, il lavoro, l’approvvigionamento di beni necessari e il bene primario della reperibilità di acqua viene meno, ogni libertà si dissipa, e, la responsabilità per gli abusi da parte dello Stato o dello Stato-nemico si contraggono quando non si eliminano del tutto. Ed ancora, dove in tempo di pace c’era poca protezione, i diritti del fanciullo, delle donne, dei gruppi minoritari e dei rifugiati non risultano più esistenti.

La guerra ed il terrore che essa genera nel tessuto sociale, inevitabilmente, sono causa di una spaccatura, di modi di pensare e di agire dell’uomo, di nichilismo degli ideali e dei crismi esistenziali; mortificano ciò che è concretezza per l’uomo sono azioni che minano in nuce e radicalmente, i valori che dovrebbero sempre stare come fondamenta dei diritti umani; si spegne la sicurezza e la fiducia nell’apparato giuridico-sostanziale che dovrebbe tutelarli.

Ma nonostante ciò, anche durante un tale terremoto terribile, i diritti umani continuano a esistere e su basi superiori ad operare, sebbene all’interno di uno stato ammaccato, fragile, e, nonostante non possano riequilibrare o riparare tutti i danni in essere, possono attivarsi per ottenere quel minimo denominatore di tutele necessarie e giuste in attesa dell’affermazione della giustizia impeditiva del danno finale ad uno stato e quanto ne consegue.

L’emergenza nazionale e la medesima guerra avallano l’aggiramento degli impegni presi a livello sovranazionale sui diritti umani e ciò che da essi si sviluppa.

Ma v’è da rilevare che i diritti fondamentali quali il diritto alla vita o il diritto alla libertà dalla tortura e i diritti concernenti il divieto di trattamenti disumani e degradanti, non possono in alcun modo né essere degradati, né tantomeno scomparire.

Tali sono visti e considerati come intangibili, supremi, inviolabili da dovere essere osservati anche quando la sicurezza dello Stato è retratta o a rischio concreto.

In un giudizio affrontato dalla Corte Europea dei diritti umani nel 2011 (Al-Skeini e altri c. Regno Unito) [9] ha rilevato con le dovute verifiche che il Regno Unito aveva nettamente violato l’art. 2 de quo, garantendo il diritto alla vita di molti civili, mentre portava avanti sulla sicurezza delle attività operative a Basra, in zona Irachena.

Questo caso fu il primissimo di tal genere e nel portare prontamente in piena applicazione la Convenzione europea in tempi di guerra all’interno dei territori stranieri e su tutta la regione sulla quale uno dei firmatari della convenzione aveva direttamente ed in maniera effettiva il controllo. In altre situazioni si è invece dimostrato che il trattamento dato ai prigionieri e ai civili in campi di detenzione creati ad hoc corrispondeva alla tortura. Basti riflettere a quanto accaduto con il nazismo e l’antisemitismo.


4. Guerra e terrorismo come facce di una medesima medaglia

Guerra che genera terrore, il terrorismo è atto di guerra.

Entrambi racchiudono atti di violenza estremizzata, entrambi sono sorretti da motivazioni di puro ordine politico e geopolitico-economico, ivi comprese ideologie e strategie plurime, entrambi sono inflitti da una assemblea di uomini o gruppo, nei confronti di altro gruppo sentito come nemico o da sottomettere. Le conseguenze di entrambi sono a dir poco terribili e irreparabili per tutta la comunità stanziata sul territorio offeso; sia che le suddette siano previste e volute sia in caso contrario.

La guerra tendenzialmente risulta essere più estesa e la distruzione e disgregazione che causa è, nella più alta probabilità, devastante, poiché attivata con eserciti e armi tecnologiche qualificate, mentre i gruppi terroristici difficilmente possiedono o investono in risorse di distruzione di massa o tecnicamente professionali in possesso degli Stati.

Al di là delle metodologie di attivazione e di svolgimento e soprattutto dei risultati voluti ed ottenuti, guerra e terrorismo sono diversi e visti con differenze dal diritto internazionale, anche se le distinzioni sono poco chiare, non lampanti e dai contorni definiti e anche chi tratta il settore non si trova a conciliare con l’idea che chi porta avanti uno slogan o attività di violenza costituisca un atto di terrorismo in senso stretto, una guerra civile, o una insurrezione, ovvero un mero tentativo di autodifesa legittima o legittimante ai fini dell’autodeterminazione o qualcosa che sfugge ad un voluto o attività di altra natura. In più rileviamo il fatto che una definizione in completo assorbimento del concetto di guerra, dovrebbe ricomprenderele guerre economiche o commerciali (che rimangono ad oggi meri scopi) visto che, ambedue, possono avere risvolti distruttivi per le vite e di vite umane.

Per chiarezza espositiva, si fa nota che l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite tende a far uso del termine terrorismo dicendo che si tratta di “Atti criminali che hanno l’intenzione o sono progettati per provocare uno stato di terrore nel pubblico generale, in un gruppo di persone o in alcuni individui in particolare, per scopi politici che sono ingiustificabili in qualsiasi circostanza, a prescindere da qualsiasi considerazione possa essere invocata per giustificarli, sia di natura politica, filosofica, ideologica, razziale, etnica, religiosa o di qualunque altra natura[10].

Tutto ciò si riporta per non generare confusione con il termine che nell’ambito dell’attuazione di una guerra trova uso costante, ovverosia l’uso della forza.Il perché l’uso della forza genera guerra “la verità nella guerra è la prima vittima” (Eschilo) [11].

In alcuni casi che coinvolgono l’uso della forza da parte degli Stati, si applica il diritto previsto in stato di guerra; quando viene utilizzata soprattutto la minaccia ovverosi minaccia di usare la forza contro uno Stato, ciò è già di per se stesso inquadrabile come guerra, e sono regolati dalla Carta delle Nazioni Unite o alternativamente dal Consiglio di sicurezza. Infatti di tale specie la legge si applica alla modalità in cui la forza è posta in essere durante la guerra, sia essa legittima o legale, o del tutto illegale. Ciò rientra nel campo delle leggi umanitarie internazionali. Anche se, è meglio ripeterlo, i diritti umani seppur molto contratti se non volutamente sopiti, continuano a essere presenti e attivabili.


5. Il Patto Kellog-Briand

Le Alte Parti Contraenti dichiarano solennemente, a nome dei rispettivi popoli, di condannare il ricorso alla guerra per la soluzione delle controversie internazionali e di rinunciarvi quale strumento di politica nazionale nelle loro relazioni reciproche.

Dal Patto Kellog-Briand – conosciuto come Trattato generale per la rinuncia alla guerra, o comunemente Patto di Parigi – ci fu l’azione principale in un crescendo di sollecitazioni volte a mantenere la pace dopo il primo conflitto mondiale. Il Patto de quo fu firmato da 15 stati nel 1928, a cui si aggiunsero di seguito altri 47 stati.

Sebbene in presenza di tale Trattato, non è stato possibile impedire le successive azioni manu militari, tra gli stessi firmatari, e neanche lo scoppiare della Seconda Guerra Mondiale ne fu intaccata, il suo punto di forza fu lo stabilire una precisa idea di crimini contro la pace” e quindi ebbe una centralità durante tutto il Processo di Norimberga.

Secondo i principi fissati a Norimberga [12] i crimini suindicati, comprendono: la pianificazione, la preparazione, l’inizio o l’intraprendere delle guerre di aggressione, o delle guerre che violano i trattati internazionali.

Ex post il Processo di Norimberga, la Carta delle Nazioni Unite è divenuta il trattato chiavistello internazionale che regola l’uso della forza degli stati membri tra loro. La Carta non vieta completamente la guerra: permette in modo ristretto a specifiche condizioni agli stati di procedere ad una guerra se è necessaria solo e solamente per ragioni difensive o ripristino della difesa.

Tuttavia, le guerre per autodifesa devono essere approvate dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, salvo i casi molto rari in cui una azione immediata è indispensabile e non dà tempo utile affinché il Consiglio di Sicurezza provveda in merito riunendosi in plenaria.


6. La responsabilità per la protezione dei popoli

Recentemente, alcuni paesi hanno fatto pressioni per far avallare la possibilità di potere agendi guerra, laddove si riscontrino popoli che subiscono abusi ritenuti gravi, per mano di uno Stato, come nell’ipotesi di minaccia di genocidio, le Nazioni Unite (secondo l’impostazione data) dovrebbero avere pieno potere e obbligo di agire in protezione delle persone in quanto tali come esseri umani. Ciò comporterebbe la possibilità di agire militarmente contro lo Stato ritenuto responsabile [13].

La formula ideata della responsabilità di protezione, chiamata per convenienza (R2P) è e rimane controversa e contestata. Il genocidio e altre azioni come quelle sollevate sono di un grado di serietà elevato e di gran lunga terribili. Si è posta la questione che la responsabilità di proteggere potrebbe essere usata come pretesto. Comunque rimane fermo che gli Stati dovrebbero valutare anzitempo tutti gli altri possibili mezzi risolutivi escludendo o lasciando l’intervento militare come ultima spiaggia.

Rimane una domanda di fondo che non dipana alcun dubbio risolutivo se la guerra di per se stessa terribile e distruttiva al massimo possa divenire mezzo adeguato o fattibile al fine di ripristinare equilibri di pace e porre fine alle sofferenze o alle dittature.

Si ricordi anche che in tempo di guerra esistono determinate leggi che impongono dei limiti stringenti alle azioni delle parti in conflitto, come il trattamento dei prigionieri di guerra o il colpire le popolazioni civili e che prevedono di fornire l’assistenza medica per le vittime di ferimenti. Le “leggi di guerra” sono governate in modo peculiare dal diritto umanitario internazionale regolamentato nella Convenzione di Ginevra [14].

La Convenzione si sviluppò nell’aggiornamento sino al 1949, anno in cui si elaborò la quarta Convenzione di Ginevra mentre le precedenti furono oggetto di revisioni ed estensioni testuali. A seguire, si aggiunsero tre protocolli di emendamento e furono ratificate in tutto o in singole parti da 194 paesi.

Oltre questa, sussistono altri parametri nel diritto umanitario internazionale, tra cui la Convenzione dell’Aia, e numerosi trattati internazionali concernenti le armi soggette ad utilizzo lecito in guerra.

A partire degli anni 90, una coalizione di ONG, in associazione tra loro si sono accordate per bandire sul piano internazionale la produzione e l’uso delle mine antiuomo. Il Trattato di Ottawa o Convenzione internazionale per la proibizione dell’uso di mine antiuomo fu adottato nel 1997 e da allora fu ratificato da 157 stati a livello mondiale; la suddetta coalizione, coesa ancora svolge campagne per l’ottenimento di un trattato che proibisca definitivamente l’uso di bombe a frammentazione che, come il meccanismo delle mine antiuomo, fanno solchi come un sentiero tracciato di distruzione anche ex post conflitto bellico.

Per quanto concerne poi i crimini di guerra, considerati quei crimini esecrabili e, quindi condannabili senza attenuanti per coloro che sono imputabili e responsabili di essi vanno a determinare, quelli che vengono chiamati: crimini contro l’umanità dove si annoverano, omicidi di massa e genocidi, gravi crimini commessi contro una popolazione civile [15].

La seconda metà del ventesimo secolo è caratterizzata per il profuso impegno nell’organizzazione di tribunali permanenti che potessero condannare quelli che sono ritenuti i peggiori crimini contro l’umanità. Nel 1998 fu adottato lo Statuto di Roma, il quale ha fornito la piattaforma legale minima per la creazione del Tribunale penale internazionale (CPI).

La CPI, istituita nel luglio 2002, ha sede all’Aia nei Paesi Bassi ed è la Prima Corte internazionale permanente con lo scopo di perseguire i crimini di guerra, crimini contro l’umanità, genocidi e crimini di aggressione. Seppur lo Statuto di Roma è ratificato dagli Stati, la CPI persegue gli individui che sono responsabili di crimini e non gli Stati. Dal 1 gennaio 2012, 119 paesi sono membri dello Statuto di Roma della Corte penale internazionale, compresi la maggior parte dei paesi europei, con esclusione degli Stati Uniti, la Cina, l’India e la Russia [16].


7. Prove di una guerra illegittima e di scopo

Si propone parte dei messaggi di rete di un soldato russo inviati alla madre e resi pubblici dall’ambasciatore all’ONU, dove si dichiara senza mezzi termini le atrocità a cui sono chiamati i soldati russi, senza alcuna regola di ingaggio, tal titolo: “Stiamo bombardando i civili [17].

Il testo, a dir poco agghiacciante sotto il profilo umano, si apre letteralmente con tali frasi: “Stiamo bombardando e prendendo di mira anche i civili. Ci avevano detto che ci avrebbero accolti felicemente invece si gettano sotto i carri”.

E prosegue: “Mamma siamo in Ucraina, qui infuria una vera guerra. Stiamo bombardando tutte le città…anche prendendo di mira i civili”, sono stralci della messaggistica short che un giovane soldato russo di stanza in Crimea ha inviato alla propria madre e a cui è stata data immediata e pubblica lettura dall’ambasciatore dell’Ucraina presso le Nazioni Unite, dr. Sergiv Kyslytsya, nel mezzo della sessione di emergenza dell’Assemblea generale delle N.U., debitamente convocata per approfondire e notiziare della guerra in atto.

I testi sono già prima facie tragici e pieni di angoscia seppur riportati con netta e lucida franchezza, v’è una reale ammissione di responsabilità di quanto accade e si va profilando in Ucraina dall’inizio delle azioni militari e che in queste ore lascia sgomenti, una guerra illegittima, che colpisce anche i civili con bombardamenti non sugli obiettivi ma su tutta la città senza distinzioni di sorta e sui quartieri residenziali.

Negli screenshot si acquisisce pienamente uno scambio comunicativo confidenziale, ad una madre che non può realizzare pienamente quanto sta avvenendo nella attualità oggettiva del discorso, ed un figlio scosso, che informa, documenta pienamente e liberamente la brutalità degli eventi di questa “inutile” strage di guerra.

La donna chiede in risposta il motivo del perché non risponda ai tentativi di chiamata sollevando le preoccupazioni anche paterne che vorrebbe inviargli viveri e beni, la risposta: “Vorrei solo andare via… che pacco vuoi inviarmi… siamo in Ucraina […] Stiamo bombardando le città e colpendo anche i civili” …riconfermando per la seconda volta che il popolo si getta sotto i carri per non farli passare, con appellativi di fascisti e, conclude come in grido di aiuto, mamma! È molto dura”.

Secondo il pensiero dell’ambasciatore si tratta di una ridde evidence, che, la Russia sta mentendo ai propri soldati, diffondendo notizie false e tendenziose alla popolazione russa.

Da Mosca, sin dall’origine, al contrario, si continuava a ripetere come in un disco incantato, che non avrebbero preso di mira i civili, ma le vittime si elevano di numero di ora in ora, tutte civili ucraini, e di supporto vengono diffuse immagini comprovanti i bombardamenti pluridirezionali, con obiettivi anche di edifici civili, fornite dalle principali città ucraine che sottotitolano la drammaticità di questa guerra.

Seconda istanza probatoria: senza una formale dichiarazione di guerra ma di concreta minaccia, con l’invasione dell’Ucraina, la prima contro risposta è stata l’imposizione degli Stati Uniti, di concerto con gli alleati, di sanzioni pesantissime, con l’obiettivo di precludere al Cremlino l’accesso alle ultime tecnologie necessarie a foraggiare le industrie belliche (che erano state già attivate senza pensiero minimo alcuno) e spaziali.

Il Presidente USA, Joe Biden, ha dichiarato pubblicamente di tagliare – come misura preventiva e cautelativa – oltre la metà delle importazioni di alta qualità tecnologica della Russia, in modo tale e concreto da infliggere un duro colpo alla capacità russa, di modernizzare le proprie forze armate proprio in questo frangente.

Il tutto ha preso le mosse condizionanti da una sequela di tweet, scritti dal direttore Dmitry Regozin del Roskosmos, ovvero, l’Agenzia spaziale russa [18] tra minacce di discioglimento e congelamento dei rapporti di cooperazione sulla microelettronica spaziale dove il pericolo di incidenti volontari in quanto la navicella russa non sorvola mai in suolo russo, ma sul suolo americano ed europeo, per tali ragioni sollevare il possibile o possibili incidenti della stessa per detriti incontrati od altre cause, inevitabilmente provoca danni sui suoli indicati. Una minaccia nella minaccia a scopo della non intromissione di scopi economici per motivi esclusivamente di decisioni motu proprio belliche.

Sul possibile appello all’art. 5 del Trattato dell’Alleanza Atlantica [19], invocato un’unica volta dagli Stati Uniti (subito sul sorgere degli eventi dell’11 settembre), il quale, implica l’assistenza militare dell’intera Nato nel caso in cui un membro dovesse subire un attacco. Il tema delicato della difesa collettiva è stato esplicitato e manifestato duramente nelle ultimissime ore post azione ingresso di forza in Ucraina, da Jens Stoltenberg (segretario generale dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord) che, in piena conferenza stampa tenuta a Bruxelles nel febbraio 2022, ha dichiarato che: un attacco cibernetico contro le infrastrutture di un Paese alleato, può far scattare l’art. 5 NATO, in quanto la NATO “protegge ogni alleato e ogni centimetro del suo territorio”, chiaro avvertimento alla Russia che, fin da subito ha fatto scatenare improvvisamente un malware, creando diversi problemi a Kiev, dal nome tecnico: HermeticWipero KillDisk. NCV. Che gli analisti hanno verificato e che ritengono ancora blando rispetto a quanto potrebbero innescare gli hacker di Mosca, dopo la “Tempesta di DdoS” (anagramma di Distribuiteddenial of service) protrattasi molte ore dal primo giorno dell’attacco [20], la Russia,  - come fittizio errore strategico- potrebbe anche scegliere, di colpire duramente le infrastrutture site in Ucraina in un crescendo di importanza utilitaria tali da portare un tracollo interno ed a meditare una desistenza forzosa per tentata strage ai cittadini. Stoltenberg, ha infatti subito richiamato oltre l’art. 5 cit,  e l’art. 4 del Trattato tratto di collegamento stretto fra le due disposizioni.


8. Trattato Nord Atlantico come adesione giuridica alla pace tra le nazioni

Washington DC – 4 aprile 1949

Nell’introduzione del Trattato si legge quanto segue:

Gli Stati che aderiscono al presente Trattato riaffermano la loro fede negli scopi dello Statuto delle Nazioni Unite e il loro desiderio di vivere in pace con tutti i popoli e con tutti i governi. Si dicono determinati a salvaguardare la libertà dei loro popoli, il loro comune retaggio e la loro civiltà, fondati sui principi della democrazia, sulle libertà individuali e sulla preminenza del diritto. Aspirano a promuovere il benessere e la stabilità nella regione dell’Atlantico settentrionale. Sono decisi a unire i loro sforzi in una difesa collettiva e per la salvaguardia della pace e della sicurezza. Pertanto, essi aderiscono al presente Trattato Nord Atlantico: […]

Art. 4

Le parti si consulteranno ogni volta che, nell’opinione di una di esse, l’integrità territoriale, l’indipendenza politica o la sicurezza di una delle parti fosse minacciata.

Art. 5

Le parti convengono che un attacco armato contro una o più di esse in Europa o nell’America settentrionale sarà considerato come un attacco diretto contro tutte le parti, e di conseguenza convengono che se un tale attacco si producesse, ciascuna di esse, nell’esercizio di legittima difesa, individuale o collettiva, riconosciuta dall’art. 51 dello Statuto delle Nazioni Unite, assisterà la parte o le parti così attaccate intraprendendo immediatamente, individualmente e di concerto con le altre parti, lazione che giudicherà necessaria, ivi compreso l’uso della forza armata, per ristabilire e mantenere la sicurezza nella regione dell’Atlantico settentrionale. Ogni attacco armato di questo genere e tutte le misure prese in conseguenza di esso saranno immediatamente portate a conoscenza del Consiglio di Sicurezza. Queste misure termineranno allorché il Consiglio di Sicurezza avrà preso le misure necessarie per ristabilire e mantenere la pace e la sicurezza internazionali.

Dal momento che in claris non fit interpretatio, evidente appare che è stato attaccato un Paese che nella territorialità non fa parte dell’alleanza Atlantica, da ciò non possono scattare misure belliche come nell’eventualità di una diretta aggressione nei confronti di uno Stato membro effettivo. La richiesta di attivazione dell’art. 4 de quo, ovvero la richiesta di consultazioni urgenti per una minaccia, è però un passaggio fondamentale perché formalizza per la prima volta il rischio che il conflitto possa incidere sulla sicurezza dei Paesi membri.

In tale senso, è chiaro e un dato di fatto che la Romania, ma soprattutto il fronte del Baltico, sono le aree più interessate dalle fiamme e dal fuoco d’armi che si propagano dall’Ucraina con l’attacco Russo; in primis, perché confinano chi con il territorio ucraino, chi direttamente con la Russia.

Ciò implica inevitabilmente un pericolo concreto non solo dal punto di osservazione della guerra, ergo, bellico, ma anche per le conseguenze sulla popolazione. Dalle capitali orientali si chiede un maggiore rafforzamento dell’apparato militare dell’Alleanza Atlantica, per il pericolo non solo delle operazioni attive in Ucraina, ma anche dell’oblast di Kaliningrad, avamposto russo nel Baltico.

Mentre Bucarest è severamente allarmata delle conseguenze incontrollabili sul Mar Nero e al confine settentrionale. Soprattutto i Paesi più attigui alla parte occidentale dell’Ucraina sono terrorizzati dall’esodo della popolazione. Ed i Paesi dell’Europa orientale potrebbero sollecitare e avere difficoltà estreme per quanto concerne la gestione non solo dal punto di vista economico, ma in primo piano quello sociale, come avvenne per la Bielorussia.

Si teme che la questione migratoria possa essere sfruttata in caso di “GUERRA IBRIDA” come ulteriore leva contrattuale nei riguardi dei Paesi Ue e Nato.

Collegando le linee tra avvertimenti e messaggi dichiarati pubblicamente è di pronto rilievo come la NATO abbia direttamente responsabilizzato il Cremlino, ciò si intuisce anche dal richiamo di Svezia e Finlandia alle ultime consultazioni mentre la Russia chiede di non entrare a prender parte dell’Alleanza, facendo intendere che è pronta ad un attacco collettivo a fronte di determinate scelte e condizioni. Le parole sono state dirette: “Guai a Svezia e Finlandia se entrate nella Nato, avrete gravi conseguenze militari e politiche che richiederebbero al nostro Paese di adottare misure reciproche”; e concludendo che: “l’impegno del governo finnico a una politica militare di non allineamento è un fattore importante nell’assicurare sicurezza e stabilità nel Nord Europa”; la prima è un Paese neutrale, la seconda, che per anni ha fatto da “cuscinetto” tra Occidente e blocco orientale dell’Europa senza schierarsi apertamente ha mantenuto “un’area neutrale” tale da costituire un pericolo per i confini russi [21].

La Svezia già fornisce assistenza militare, tecnica ed umanitaria all’Ucraina. Il 2 marzo scorso, dopo l’allerta nucleare e spaziale, alle parole minacciose del ministro Lavrov su “una terza guerra mondiale devastante”, si sono aggiunte le parole del viceministro degli Esteri Aleksandr Grushko, per il quale non si escludono possibili “incidenti” con l’Alleanza atlantica.

Come riferimento esegetico del no war del Patto Atlantico e per chi ne entra anche a posteriori come contraente basta leggere il testo integrale, ma per maggior conforto comprensivo si segnala: CARLO SFORZA, “NO ALLA GUERRA Questo Vuole il Patto Atlantico”, Roma, 21 marzo 1949 [22].

Altra piccola considerazione: la Russia è firmataria e quindi aderente della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati.

Si punti l’occhio si questi passaggi: […]

considerando l’importanza fondamentale dei trattati nella storia delle relazioni internazionali,

riconoscendo l’importanza sempre maggiore dei trattati quale fonte di diritto internazionale e quale mezzo per sviluppare la collaborazione pacifica fra le Nazioni, quali che siano i loro regimi i loro regimi costituzionali e sociali,

constatando che i principi del libero consenso e della buona fede nonché la norma pacta suntservanda sono universalmente riconosciuti,

affermando che le controversie relative ai trattati devono, così come le altre controversie internazionali, essere composte con mezzi pacifici e secondo i principi della giustizia e del diritto internazionale,

ricordando la decisione dei popoli delle Nazioni Unite di creare le condizioni necessarie al mantenimento della giustizia e del rispetto degli obblighi sorti dai trattati,

coscienti dei principi di diritto internazionale contenuti nella Carta delle Nazioni Unite, quali principi concernenti l’uguaglianza dei diritti dei popoli e il loro diritto di disporre di sé stessi, l’eguaglianza sovrana e l’indipendenza di tutti gli Stati, la non-ingerenza negli affari interni degli Stati, il divieto di fare uso di minacce o dell’uso della forza ed il rispetto universale ed effettivo dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali per tutti,

[…]

I fini delle Nazioni Unite enunciati nella Carta, che sono quelli di mantenere la pace e la sicurezza internazionali, di sviluppare le relazioni amichevoli tra le Nazioni e di porre in atto la collaborazione internazionale,

affermando che le norme del diritto internazionale consuetudinario continueranno a regolare le questioni non disciplinate dalle disposizioni della presente convenzione.

Hanno convenuto quanto segue: […].

Non passi sotto silenzio il principio dei principi, che regge la legittimità e la valenza giuridica di tutto il diritto internazionale, sia esso scritto, sia consuetudinario, e cioè: “Pacta suntservanda” (i patti devono essere rispettati) art. 26 Convenzione sul diritto dei trattati 23-5-1969.

Norma formale di carattere consuetudinario che costituisce uno dei principi fondamentali del diritto internazionale. Essa stabilisce l’imprescindibile obbligo degli Stati contraenti di un accordo di adempiere gli impegni da essi assunti con la stipulazione dello stesso. Tale norma ha una duplice funzione, da un lato, quella di affermare l’obbligatorietà dei trattati, dall’altro quella, di portata massima, di porsi come norma primaria sulla produzione giuridica internazionale, in quanto considera l’accordo come fonte di norme giuridiche che producono effetti tra gli Stati [23].


9. Conclusioni compendiate sulla sicurezza collettiva

Il Sistema istituzionalizzato di coercizione è diretto contro gli Stati responsabili di minacce alla pace, violazione della pace e atti d’aggressione, delineato dal capitolo VIII della Carta delle Nazioni Unite del 1945.

Tale sistema si fonda sul Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, al quale la Carta attribuisce la responsabilità principale del mantenimento della pace e della sicurezza internazionali.

Il Consiglio, dopo aver accertato la presenza di una minaccia alla pace, di una violazione della pace, o di un atto di aggressione, decide le misure da adottare per mantenere o ristabilire la pace e la sicurezza internazionali (art. 39).

A seconda del caso, esse consistono in misure provvisorie (art. 40), misure implicanti l’uso della forza (art. 42 e ss.). Tali misure, la cui scelta è rimessa all’apprezzamento del Consiglio di sicurezza, sono applicabili a ogni situazione obiettivamente conforme a una o più di quelle indicate dall’art. 39 e anche nei confronti di Stati non membri dell’ONU.

La catena di misure che il Consiglio può adottare inizia con quelle di cui all’art. 40, per il quale, al fine di prevenire l’aggravarsi di una situazione, il Consiglio potrà, prima di fare raccomandazioni o decidere sulle misure ex art. 41, invitare le parti interessate a ottemperare a quelle misure provvisorie che esso consideri necessarie o desiderabili (es. invito a cessare il fuoco tra le parti in conflitto).

L’art. 41 riguarda a sua volta le misure quali l’embargo o l’interruzione delle relazioni economiche. Se queste misure risultano o appaiono al Consiglio inadeguate, esso può intraprendere quelle azioni militari con forze aeree, navali e terrestri che ritenga necessarie a ristabilire la pace e la sicurezza internazionali, previste dall’art. 42 della Carta. A braccio con la legittima difesa, le misure ex art. 42 costituiscono un’eccezione al divieto dell’uso e della minaccia della forza nelle relazioni internazionali stabilito dall’art. 2, par. 4, della Carta.

L’assenza istituzionale di una forza militare sotto il controllo del Consiglio di sicurezza, prefigurata dalla Carta (art. 43 e ss. gg.) ha determinato, a partire dall’ultimo decennio del 20° secolo, il ricorso del Consiglio alla prassi delle autorizzazioni all’uso della forza conferite agli Stati membri, agenti sia individualmente che nell’ambito delle organizzazioni regionali.

Essendo intimamente collegato al discorso pace e sicurezza delle nazioni, il nucleo fondamentale di forza e di scopo umanitario e di coesione dei rapporti internazionali, rimane la tutela dell’uomo nei suoi diritti e facoltà, la tutela del genere umano e del popolo costituito da soggetti sia cittadini membri sia membri con cui confrontarsi, come se fosse un discorso Stati-persone e persone nello Stato.

Da ciò si rifletta sulle azioni della guerra che governano interessi che invece risultano essere solo extrauomo e/o extraumanitarie.

[1] Rif. Patto della Società delle Nazioni del 1919; Patto Briand-Kellog del 1928.

[2] Vedi: Uso della Forza nel Diritto internazionale.

[3] Vedi: voce “Sicurezza collettiva” in Europa, portale del Consiglio di Sicurezza N.U.

[4] Vedi: Legittima difesa, portale cit., Diritto internazionale.

[5] Conflitti inter-statali.

[6]  Come ad es. ex Iugoslavia, Ruanda, Sudan, Somalia.

[7] In tal senso si è espressa la Corte internazionale di giustizia nella sentenza sulle attività militari e paramilitari in Nicaragua e contro lo stesso Nicaragua del 1986.

[8] Aggressione: (in diritto internazionale sui conflitti il termine sta a significare quanto segue). Attacco contro la sovranità, l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di uno Stato. Tale concetto è formulato nel Patto S. N. 1919; il primo trattato internazionale universale che ha qualificato detta condotta come illecita; Carta N. U. del 1945, che attribuisce al Consiglio di Sicurezza N.U., il potere di accertare, nei casi concreti, la presenza di un atto di aggressione, considerato, dal diritto internazionale contemporaneo, un crimine contro la pace. Seppur non si definisce termino logicamente il termine aggressione, secondo l’Assemblea generale delle N. U., vengono qualificate come aggressione anche la violazione di frontiere internazionali, se implicante la minaccia o l’uso della forza; le rappresaglie armate; l’invasione, l’occupazione militare, l’annessione con la forza di territorio altrui; il bombardamento del territorio di unaltro Stato; il blocco militare dei suoi porti o delle sue coste; l’attacco contro le forze armate di un altro Stato mediante forze armate proprie o attraverso l’invio di forze irregolari o di mercenari; a essa sarebbero inoltre riconducibili, come aggressione indiretta, l’organizzazione o il sostegno prestati da uno Stato o forze irregolari o a bande armate, in vista di incursioni contro un altro Stato o della partecipazione ad atti di guerra civile o ad atti di terrorismo contro un altro Stato.

[9] Al-Skeini and Others contro Regno Unito, Grande Sezione della Corte Europea dei diritti dell’uomo (Application no. 55721/07), 7 july 2011.

[10] 1994 Dichiarazione delle Nazioni Unite sulle misure per eliminare il terrorismo internazionale allegato alla risoluzione 49/60 dell’Assemblea generale delle N.U., “Misure sto Eliminate International Terrorism”, 9 dicembre, 1994.

[11] Eschilo: figlio di Euforione del demo di Eleusi. Considerato l’iniziatore della tragedia greca nella sua forma matura, il primo fra i poeti tragici di cui siano pervenute opere per intero, seguiti da Sofocle ed Euripide, si ricorda fra le molte Orestea, 458 a.C. che comprende Agamennone. 88 furono le opere nel complesso.

[12] Processo di Norimberga, fu il nome dato per indicare due distinti gruppi di processi ai nazisti coinvolti nella seconda guerra mondiale e nella Shoah. Il primo e più altisonante fu tenuto nel Palazzo di Giustizia della città tedesca di Norimberga, dal 20 novembre 1945 al 1 ottobre 1946. Esso fu denominato Processo dei principali criminali di guerra, e nel suo svolgimento, il Tribunale militare internazionale (IMT) giudicò, 24 dei più importanti capi nazisti catturati o ritenuti in vita; il secondo gruppo di 12 processi, fu, per i criminali di guerra di grado inferiore, e fu tenuto sotto la legge n. 10 del Consiglio di Controllo dal Tribunale militare di Norimberga (NMT) comprendendo anche il famoso Processo ai dottori (primo gruppo) i Processi secondari di Norimberga (si veda tale voce) fecero parte del secondo gruppo.

[13]  Tali casi si verificarono ed intensificarono il dibattito nel genocidio attuatosi in Ruanda, in cui la comunità internazionale non intervenne o, la guerra in Kosovo che predispose il primo “intervento umanitario” dei mezzi militari e, a seguire, nel 2001, l’intervento militare della NATO in Libia, si basò su un principio analogo.

[14] Serie di trattati internazionali sottoscritti a Ginevra nel 1864, in Svizzera che costituiscono un complesso corpo giuridico di diritto internazionale, noto anche come diritto di Ginevra e diritto internazionale umanitario; di uso sporadico diritto delle vittime di guerra.

[15] I primi processi ai soggetti imputati di tali crimini, furono il Processo di Norimberga ed il Processo di Tokyo ai leader militari nazisti e giapponesi in seguito alla Seconda Guerra Mondiale. Da allora, sono stati creati diversi tribunali specializzati ad hoc, per affrontare i conflitti nella ex Jugoslavia, in Ruianda, in Cambogia, in Libano ed in Sierra Leone. In altri conflitti, anche molto gravi, non videro nascere tribunali specializzati e ciò ha determinato aspre critiche sul dato fattuale che tali scelte sono condizionate esclusivamente da fattori e scopi politici.

[16]  La suddetta corte si occupò di tutte le indagini sui conflitti in Sudan, Kenya, nella Repubblica Democratica del Congo, in Uganda, nella Repubblica Centrafricana e in  Libia.

Cfr.: COMPASS, CoUNCIL OF EUROPE (portaletelematico) OFFICIAL; Manual for Human Rights Education with Young people 2020.

[17] Articolo scritto dal dr. Antonio Palma sul portale telematico Fanpage.it.

[18]Tweet allarmante: La Iss potrebbe precipitare sugli Usa, sull’Europa o su qualche altro Paese. Ma non sulla Russia. Siete pronti?”. Per approfondimenti sull’Agenzia russa ISS e sanzioni per la Stazione spaziale, vedi: Ait-Spazio &Astronomia online.

[19] Il Trattato del Nord Atlantico, conosciuto come Patto Atlantico, è un trattato di natura difensiva, firmato da Stati Uniti, Canada e alcuni paesi dell’Europa occidentale nel 1949. Diede origine alla NATO, rappresentando nel corso della guerra fredda il c.d. blocco occidentale. Nacque dal timore radicato nell’anno d’origine, di un possibile attacco dell’Unione Sovietica ad una delle nazioni dell’Europa occidentale; nella settimana che seguì ,post ingresso ufficiale della Germania Ovest nella NATO (6 maggio 1955) l’Unione Sovietica ed altre nazioni a regime comunista costituirono a loro volta il Patto di Varsavia. La chiave di lettura più importante del trattato risiede nell’art. V, in cui viene dichiarato che ogni attacco ad una nazione tra quelle appartenenti alla coalizione verrà considerato come un attacco alla coalizione stessa.

[20] Tra gli analisti, Alessandro Curioni, massimo esperto di cyber security in Italia.

[21] Avvertimento minaccioso espresso da Maria Zakharova, portavoce del Ministero degli Esteri russo, nel corso della prima conferenza stampa all’alba dell’attacco militare, sottolineando che, se uno dei due Paesi nordici, entrambi membri della UE, cercherà di aderire all’alleanza atlantica questo avrà “gravi conseguenze militari e politiche […]”, la Finlandia negli anni scorsi più volte nelle riunioni internazionali aveva espresso la volontà di futura adesione all’Alleanza Atlantica.

[22] Testo integrale consultabile e scaricabile su: www.sentao.it, Senato della Repubblica Italiana.

[23]  Andrea Gioia, Manuale di Diritto Internazionale, 2019, sesta edizione, Giuffrè ed.Francis Lefebvre.