Popoli indigeni artici e transizione energetica: aspetti di diritto giurisprudenziale norvegese, con alcune osservazioni comparative

Popoli indigeni artici
Popoli indigeni artici

Popoli indigeni artici e transizione energetica: aspetti di diritto giurisprudenziale norvegese, con alcune osservazioni comparative

 

1. – I diritti culturali dei popoli indigeni, in particolare dei Saami della Norvegia (su di essi, v. per esempio M. Mazza, Aurora borealis. Diritto polare e comparazione giuridica, Bologna, Filodiritto, 2014, p. 131 ss.; Id., The Protection of Saami (Land) Rights in Finnmark: A Comparative Assessment, in G.F. Ferrari, Ed., Two Centuries of Norwegian Constitution: Between Tradition and Innovation, The Hague, Eleven, 2015, p. 159 ss.), sono suscettibili di entrare in tensione con gli sviluppi della transizione energetica, ovvero “green”? Sembrerebbe proprio di sì, se soltanto si considera la pronuncia emanata (all’unanimità) l’11 ottobre 2021 dalla Corte suprema del Regno di Norvegia, nella composizione allargata della Grande Camera (la Supreme Court decide, infatti, attraverso singole Divisioni, Grande Camera e Plenum, rispettivamente formate da 5, 11 e 20 giudici), relativamente alla vertenza Fosen (cfr. Supreme Court of Norway, HR-2021-1975-S (Fosen), disponibile in lingua inglese nel sito Internet www.domstol.no), in tema di realizzazione di impianti per la produzione di energia eolica. La sentenza de qua è di speciale importanza, in quanto per la prima volta viene affermata in Norvegia (ma anche negli altri Paesi dove pure sono presenti minoranze Saami, vale a dire Finlandia, Svezia e Russia) la violazione dei diritti culturali e umani del popolo Saami, diritti derivanti dall’art. 27 del Patto internazionale sui diritti civili e politici del 1966 (diventato vincolante per la Norvegia dal 1976 e, successivamente, “incorporato” nel diritto norvegese con lo Human Rights Act di cui alla legge n. 30 del 21 maggio 1999; sul tema, v. per esempio M. Ferri, Dalla partecipazione all’identità. L’evoluzione della tutela internazionale dei diritti culturali, Milano, Vita e Pensiero, 2015).

Il caso riguardava la costruzione di numerose turbine per produrre energia dal vento, in un territorio di tradizionale insediamento delle popolazioni Saami (nella contea di Trøndelag, dove si trova il distretto di Fosen), in particolare di due comunità locali indigene (denominate, rispettivamente, South Fosen Siida e North Fosen Siida; la parola Siida, o anche Sïjte, indica genericamente le comunità locali pastorali Saami; tra i primi studi dedicati alle Siidas, v. R.H. Lowie, A Note on Lapp Culture History, in Southwestern Journal of Anthropology, 1945, p. 447 ss.). La difesa degli aborigeni sosteneva che l’impatto della realizzazione degli impianti per ottenere energia eolica sul territorio (di insediamento) dei Saami sarebbe stato devastante, tale dunque da impedire la prosecuzione delle attività lavorative tradizionali delle comunità indigene, in primis dell’allevamento delle renne (su cui v., da ultimo, S.D. Mathiesen et alii, Eds., Reindeer Husbandry. Resilience in the Changing Arctic, 2, Cham, Springer Polar Sciences, 2024; sul significato, sia economico che culturale, dell’allevamento delle renne, v. inoltre N. Mazzullo, P. Soppela, Reindeer, Cows and People: Sustainable Human–Animal Adaptations in Finnish Lapland, in H. Strauss-Mazzullo, M. Tennberg, Eds., Living and Working With Snow, Ice and Seasons in the Modern Arctic. Everyday Perspectives, Cham, Palgrave Macmillan, 2023, p. 59 ss.). Ne derivava quindi, per i legali difensori apud judicem degli indigeni, la perdita dello stile di vita tradizionale, l’impoverimento della cultura “ancestrale” degli aborigeni, che ha una dimensione storica molto risalente potendosi definire “immemorabile”, nonché una minaccia per la sopravvivenza della stessa lingua degli autoctoni.

Nella fase antecedente la vicenda processuale, il progetto in questione -denominato Fosen Vind – era stato approvato dalle competenti autorità norvegesi. In particolare, va rilevato che il progetto è sostenuto, con una partecipazione maggioritaria, dallo stesso Governo nazionale della Norvegia. Del progetto, inoltre, sono parti alcuni investitori stranieri (svizzeri, tedeschi e finlandesi). Sia l’Amministrazione norvegese per le risorse idriche e per l’energia che il ministero del Regno di Norvegia per il Petrolio e l’Energia avevano riconosciuto, nelle fasi del procedimento amministrativo, che il progetto avrebbe avuto implicazioni significative sulle abitudini di vita delle popolazioni indigene, ma avevano altresì sottolineato che si trattava di conseguenze non di tale entità da pregiudicare i diritti culturali e umani delle comunità aborigene, nei sensi e per gli effetti di cui all’art. 27 del Patto internazionale sui diritto civili e politici.

La vicenda processuale è piuttosto interessante, nonché ricca di “colpi di scena”. Sia in primo grado, davanti al Tribunale distrettuale (due sentenze, su ricorsi distinti delle due Siida, nel 2017 e 2018), che in secondo grado, innanzi alla Frostating Court of Appeal (norv. Frostating lagmannsrett) di Trondheim (impugnazioni presentate nel 2019, riunione delle cause e sentenza dell’8 giugno 2020), gli indigeni hanno ottenuto soltanto un risarcimento del danno, sia pure di entità (considerevolmente) aumentata nel passaggio dal primo al secondo grado di giudizio. Nuovamente impugnata la decisione d’appello davanti alla Corte suprema, l’argomentazione svolta dai supremi giudici norvegesi ha assunto un diverso tono. L’attenzione dei giudici de quibus, infatti, si è spostata dal piano del mero risarcimento monetario, che pure ha una (ovvia) rilevanza non trascurabile per le popolazioni indigene interessate dal progetto Frose Vind, a un piano più generale e di ampio respiro, rappresentato dalle esigenze di tutela dei diritti umani e culturali delle comunità Saami, e ciò anche alla luce degli obblighi internazionali assunti dal Regno di Norvegia.

Il punto focale della decisione giudiziaria di ultimo grado concerne, dunque, la violazione del diritto umano dei Saami a preservare la propria cultura tradizionale, in presenza di turbine per la produzione di energia eolica che impediscono di fatto lo svolgimento dell’attività svolta da tempo immemorabile dagli indigeni, vale a dire l’allevamento delle renne. Nel bilanciamento dei diversi interessi, i giudici supremi hanno deciso che le finalità della transizione “verde” (c.d. green shift) non prevalgono sul diritto alla cultura delle popolazioni indigene della Norvegia, il quale ultimo riveste invece natura prioritaria. Insomma, non è percorribile – quantomeno, per i giudici della Corte suprema norvegese – la c.d. strada sporca per l’energia pulita, ovvero “il fine non giustifica il mezzo”. Nel Fosen case, infatti, venivano in rilievo aspetti quali il diritto a un ambiente salubre, nonché l’interesse pubblico ad affrontare il problema dell’emergenza climatica, ma tutto ciò non è sufficiente – nell’opinione (della Grande Camera della) della Corte suprema (chiamata a decidere i casi più rilevanti, in maniera da formare un precedente giudiziario chiaro sulla questione, mentre il Plenum della Corte si riunisce per statuire specialmente sulla costituzionalità delle leggi approvate dal Parlamento nazionale) – a sacrificare irrimediabilmente il diritto (degli indigeni) alla (loro) cultura. Lo sviluppo sostenibile, in altre parole, non si afferma a discapito dei diritti umani delle minoranze, inclusi i popoli indigeni. In tale ottica, resta dunque da vedere se il rallentamento della c.d. transizione verde sia qualcosa di meglio o di peggio. In ogni caso, gli indigeni sono contrari a progetti di sviluppo dell’energia eolica che producano ingiustizie a loro danno, tanto che è stata coniata l’espressione green colonialism (cfr. B. Kårtveit, Green Colonialism: The Story of Wind Power in Sápmi, in R. Sørly, T. Ghaye & B. Kårtveit, Eds, Stories of Change and Sustainability in the Arctic Regions. Interdependence of Local and Global, London- New York, Routledge, 2021, p. 157 ss.). Allo scopo di approfondire (ulteriormente) la conoscenza dei fatti alla base del contenzioso, il Research Council of Norway (RCN, una sorta di equivalente del Consiglio nazionale delle ricerche-CNR) ha avviato, in collaborazione con l’Università di Tromsø (id est, l’Università artica della Norvegia), il progetto dal titolo TriArc – The Arctic governance triangle: government, Indigenous peoples and industry in change.

Tra l’altro, la Corte suprema della Norvegia ha risolto, nella decisione in esame, una importante questione processuale, rappresentata dalla legittimazione ad agire (su legitimatio ad causam e legitimatio ad processum ovvero locus standi, v. il pensiero processualcivilistico classico di G. Chiovenda, Principii di Diritto processuale civile, Le azioni - Il processo di cognizione, Napoli, Jovene, 1923, IIIª ed., p. 152 ss.; i concetti de quibus furono problematicamente ripresi, nella vigenza del nuovo codice di rito civile italiano, da P. Calamandrei, Istituzioni di diritto processuale civile, Padova, Cedam, 1943, IIª ed., p. 238 ss., il quale fa riferimento alla capacità processuale, o capacità di stare in giudizio, comunque da tenere distinta rispetto alla capacità di agire; vi è anche chi, autorevolmente, ha invece inquadrato la legittimazione processuale nell’àmbito della legittimazione ad agire e contraddire; questa è, in particolare, la ricostruzione di F. Carnelutti, Sistema del diritto processuale civile, II, Atti del processo, Padova, Cedam, 1938, p. 142 ss.; per la dimensione superindividuale, cfr. poi V. Vigoriti, Interessi collettivi e processo. La legittimazione ad agire, Milano, Giuffrè, 1979; il tema era già presente nel diritto romano, v. D. Mantovani, Alfeno e la serietà dell’ironia. Un responso sulla legittimazione ad agire nell’actio ad exhibendum (D. 10.4.19), in L. Maganzani, cur., Antologia del Digesto giustinianeo. Scritti in ricordo di Giovanni Negri, Napoli, Jovene, 2023, Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, Dipartimento di Scienze Giuridiche, Raccolte di Studi, n. 4, p. 189 ss.; forse, conclusivamente, coglie nel segno J. Montero Aroca, La legitimacion en el proceso civil: intento de aclarar un concepto que resulta mas confuso cuanto mas se escribe sobre el, Madrid, Civitas, 1994, Estudios de derecho procesal, 5) delle comunità Saami. Il ministero norvegese del Petrolio e dell’Energia, infatti, aveva sostenuto che tale legittimazione non sussiste. Andando di contrario avviso rispetto agli avvocati del Governo, però, i supremi giudici hanno affermato che gli obblighi internazionali del Regno di Norvegia implicano che, allo scopo di tutelare i diritti a dimensione collettiva dei popoli indigeni, ex art. 27 del Patto internazionale sui diritti civili e politici, le comunità locali degli aborigeni possono senz’altro agire in giudizio, facendo leva anche sui diritti individuali (in questo caso, dei singoli allevatori di renne).

 

2. – Tutto risolto, quindi? Non esattamente. Nei vari gradi di giudizio, infatti, non è mai stata disposta la sospensione dell’attività delle turbine per la produzione dell’energia eolica, e perciò il danno per le comunità indigene è assolutamente attuale. È ben vero, dunque, che la Corte suprema norvegese ha dichiarato invalide le autorizzazioni amministrative concesse per il progetto Fosen Vind, ma non è meno vero che le turbine sono in azione nel territorio degli indigeni fin dal 2020, quando hanno avuto inizio le prime proteste della comunità Saami nonché di alcune organizzazioni ambientaliste.

Tenuto conto che si tratta del parco eolico onshore (ovvero, land-based) più grande d’Europa, che consiste in 151 turbine (che hanno un’altezza di 87 metri, con un costo complessivo di installazione di circa 6 miliardi di corone norvegesi, che corrispondono approssimativamente a 560 milioni di dollari USA ovvero a 512 milioni di euro; la versione originaria del progetto prevedeva 278 turbine), si comprende agevolmente che la sua attività ininterrotta, nonostante la pronuncia sopra esaminata della Corte suprema, aggravi oltremodo il danno per le comunità indigene, non mancando di occasionare proteste contro il c.d. Fosen wind farm. Vi sono ben 131 chilometri di strade e linee elettriche che collegano le turbine eoliche, le quali alterano profondamente i pascoli e le rotte migratorie degli allevatori di renne, mettendo a repentaglio il mantenimento delle tradizioni dei popoli indigeni Saami. Le proteste (contro il mancato smantellamento delle pale eoliche), guidate in particolare da Aslak Holmberg, già membro del Parlamento Saami della Finlandia e attualmente presidente del Consiglio Saami, con il sostegno inter alia della organizzazione per la protezione e promozione dei (diritti dei) popoli indigeni IWGIA (International Work Group for Indigenous Affairs) di Copenhagen, si sono svolte con particolare intensità a Oslo nel 2023. Alle manifestazioni di protesta nella capitale della Norvegia ha partecipato (nel marzo 2023) anche l’ecoattivista svedese Greta Thunberg. Nelle Isole Svalbard (arcipelago del Mar Glaciale Artico, facente parte della Norvegia e che costituiscono le terre abitate più settentrionali del pianeta Terra), il Primo Ministro norvegese, Jonas Gahr Støre (leader del Partito Laburista), è stato vivacemente contestato dagli studenti della locale Folk High School (norv. Svalbard Folkehøgskole), per i (perduranti) ritardi nell’attuazione del decisum dalla Corte suprema nel Fosen case.

Come si evince agevolmente da quanto appena sopra esposto, anche nella civilissima Norvegia si possono, dunque, presentare dei (seri) problemi per quanto concerne l’attuazione dei provvedimenti giudiziari (civili), con notevoli danni che, come nel caso in questione, sono suscettibili di essere irreparabili per le comunità indigene dei Saami. Non stupisce molto, perciò, che l’«Associazione dei Saami norvegesi» (Norgga Sámiid Riikasearvi, NSR) abbia affermato (mediante il comunicato del 28 febbraio 2023) che permangono «continue violazioni dei diritti umani in Norvegia» (v. nel sito all’indirizzo https://nsr.no/sme). In precedenza, a un anno di distanza dalla pronuncia della Corte suprema nel Fosen case, la medesima Associazione aveva dichiarato: «We won the Fosen case – but the battle isn’t won until the wind turbines are taken down» (https://energywatch.com, comunicato del 14 ottobre 2022). La necessità di dare adeguato seguito alla sentenza viene sottolineata (in particolare nello scritto dal titolo About the wind farms on Fosen and the Supreme Court judgment, in www.nhri.no, 8 marzo 2023) dalla National Human Rights Institution norvegese (Norges Institusjon for Menneskerettigheter, NIM), con sede principale a Oslo nonché una sede distaccata a Kautokeino, città dell’estremo Nord della Norvegia abitata in prevalenza da Saami (circa l’85 per cento della popolazione). Nel frattempo, anche in Svezia i diritti dei Saami sono messi a rischio dalla realizzazione di progetti estrattivi, che evidenziano i problemi irrisolti tra imprese e diritti umani (dei popoli aborigeni; v. C. Mazzoleni, The Extractive Industry and Indigenous Rights: The Case of the Sami People in Sweden, in www.cambridge.org/core/blog, 6 novembre 2023; il tema medesimo è stato, altresì, esaminato dall’autore nel seminario tenuto il 20 dicembre 2023, nell’àmbito dei corsi di «Diritto pubblico comparato» e «Sistemi giuridici comparati» presso l’Università di Bergamo, dal titolo Industria estrattiva in Svezia e diritti del popolo Saami).

 

3. – Le recenti vicende dell’esperienza giudiziaria norvegese in subiecta materia hanno trovato qualche riscontro anche in Italia. La sentenza della Corte costituzionale n. 27 del 23 febbraio 2023 (presidente Sciarra e redattore Navarretta, il testo integrale è disponibile in Giurisprudenza Costituzionale, 2023, p. 840 ss., con osservazioni di D. Bevilacqua, Consumo di suolo e transizione energetica: i conflitti «ambientali» alla prova della Corte costituzionale, ivi, 2023, p. 853 ss.), ha riguardato un interessante caso di conflitto tra interessi pubblici, rappresentati per un verso dalla salvaguardia del suolo non costruito, anche per la protezione di interessi correlati quali quelli dell’agricoltura, nonché per altro verso dall’obiettivo della neutralità climatica (da conseguire entro il 2050, secondo il Patto verde, o Green Deal-GD, europeo del 2019; v. E. Chiti, Il sistema amministrativo italiano alla prova del Green Deal, in Giornale di diritto amministrativo, 2023, p. 573 ss.) e delle c.d. politiche di decarbonizzazione, puntando sulla transizione energetica (da realizzare) mediante fonti rinnovabili. D’altro canto, viene altresì correttamente rilevato (nel commento sopra menzionato alla pronuncia dei giudici costituzionali italiani) che la tutela del suolo non costruito, nello specifico territorio di riferimento, è a vantaggio della permeabilità nonché a sostegno di misure di adattamento ai cambiamenti climatici, e così contribuisce alle strategie di contrasto all’aumento delle temperature.

In definitiva, sia in Norvegia che in Italia si producono due ambientalismi antitetici, difficilmente conciliabili, ossia si determina una situazione per cui l’ambiente “entra in conflitto con sé stesso”. Nel caso delle energie rinnovabile, il c.d. protezionismo verde è suscettibile di ostacolare la c.d. transizione ecologica (v. Green protectionism will slow the energy transition. Expanding renewable-power capacity is becoming ever harder, in The Economist, 7 dicembre 2023). Tale conflitto potrebbe (forse) essere superabile attraverso l’individuazione (purché preventiva, cosa non avvenuta nel caso norvegese) delle aree territoriali idonee e non idonee all’installazione di impianti a fonti rinnovabili (in Norvegia, allo scopo soprattutto di tutelare l’allevamento delle renne da parte dei Saami, e, in Italia, al fine di preservare tra l’altro le attività agricole), nonché ricorrendo agli istituti di partecipazione e consultazione degli stakeholders (vale a dire, in Norvegia gli indigeni Saami e i loro esponenti comunitari; in Italia, gli agricoltori e le relative associazioni di categoria; sui diritti di co-decisione e partecipazione delle comunità indigene artiche rispetto ai progetti di sfruttamento delle risorse naturali, considerati nella prospettiva degli human rights, v., se vuoi, S. Cassotta, M. Mazza, Balancing De Jure and De Facto Arctic Environmental Law Applied to the Oil and Gas Industry: Linking Indigenous Rights, Social Impact Assessment and Business in Greenland, in Yearbook of Polar Law, 2014, p. 63 ss., e ivi spec. p. 90 ss.). Tuttavia, anche da quest’ultimo punto di vista, le aspettative che derivano dal “dialogo” tra le parti non possono essere (almeno per quanto riguarda gli indigeni Saami) molto elevate (v., infatti, E.M. Fjellheim, “You Can Kill Us with Dialogue:” Critical Perspectives on Wind Energy Development in a Nordic-Saami Green Colonial Context, in Human Rights Review, 2023, n. 1, p. 25 ss.). In Norvegia, anzi, a essere recentemente messo in discussione è lo stesso dialogo, come prescrizione di buon governo e risoluzione dei conflitti (E.F. Fjellheim, op. cit.).

Rimane, dunque, la problematicità della c.d. giusta transizione (“verde”), mediante utilizzo delle fonti energetiche rinnovabili, in maniera tale da ridurre la dipendenza dai combustibili fossili (per l’esperienza islandese, v. R.L. Johnstone,, K. Buhmann, Megaprojects on ice: lessons from the Kárahnjúkar hydropower project for a Just Transition, in The Polar Journal, 2023, p. 240 ss.). Il caso norvegese Fosen sopra esaminato, unitamente ad altri casi in Svezia e Islanda (innanzi accennati), dimostrano che, sebbene spesso si dia per scontato che il processo di transizione energetica sia rispettoso dell’ambiente nonché delle comunità locali, vi è invece un numero, peraltro crescente, di esempi di progetti di transizione energetica che hanno portato a ingiustizie, danni ambientali e mancata attuazione delle politiche di riduzione della artificializzazione dei suoli (cfr. D. Shapovalova, Just Transition in the Arctic context: introduction, in The Polar Journal, 2023, p. 191 ss.; in particolare, per la possibile influenza dei progetti di geoingegneria e delle emergenti tecnologie climatiche sui diritti degli indigeni della regione polare artica, v. R. Chuffart et al., Old Sea, New Ice: sea ice geoengineering and indigenous rights in Arctic Ocean governance, in The Polar Journal, 2023, p. 195 ss.). In definitiva, siamo evidentemente tutti d’accordo sul fatto che la transizione dovrebbe essere giusta; il disaccordo arriva quando ci si chiede cosa conta davvero per una transizione giusta.