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Fëdor Dostoevskij, ovvero come raccontare un’esecuzione (mancata)

Fëdor Michajlovič Dostoevskij (in russo: Фёдор Михайлович Достоевский), Mosca, 11 novembre 1821 – San Pietroburgo, 9 febbraio 1881
Fëdor Dostoevskij ritratto nel 1872 da Vasilij Perov (Galleria Tret'jakov, Mosca)
Fëdor Dostoevskij ritratto nel 1872 da Vasilij Perov (Galleria Tret'jakov, Mosca)

La storia e la fortuna di Fëdor Dostoevskij, uno dei più grandi romanzieri e pensatori russi della storia, è nota a tutti. Nato a Mosca l’11 novembre del 1821

ha pubblicato alcuni tra i romanzi più celebri e ancor oggi venduti di tutti i tempi, tra i quali “Memorie dal sottosuolo”, “Delitto e castigo”, “L’idiota”, “Il giocatore” e “I fratelli Karamazov”.

Un attento lettore si renderà conto, leggendo in particolare “L’idiota” e alcuni passi di “Delitto e castigo” della sua incredibile ed empatica abilità nel raccontare le sensazioni che si provano nell’attesa della morte, dopo una condanna pronunciata.

Forse non è conosciuto a tutti il fatto che Fëdor Dostoevskij ha provato veramente il brivido e la consapevolezza della morte imminente.

Nella sua breve vita (morirà a 59 anni il 9 febbraio del 1881), infatti, Fëdor Dostoevskij non solo avrà modo di conoscere il carcere ma anche la condanna alla pena capitale.

Il 23 aprile 1849, infatti, Fëdor Dostoevskij viene arrestato per aver partecipato alle riunioni di una società segreta costituita con scopi sovversivi. Il poveretto, imprigionato nella Fortezza di Pietro e Paolo di San Pietroburgo (nota anche come la Bastiglia russa) si proclamerà sempre innocente, ammettendo sì di aver preso parte a riunioni, ma soltanto come uditore, curioso dei fatti, senza alcun intento sovversivo, ancor meno in qualità di attivista politico.

Nonostante questo, sette mesi dopo l’arresto, viene condannato a morte insieme ad altri venti imputati. Il 16 novembre del 1849, infatti, viene letta la sentenza di condanna alla pena capitale mediante fucilazione.

Il 19 dicembre dello stesso anno viene portato nel cortile del carcere in gruppi da tre persone per l’esecuzione. I primi tre vengono uccisi subito, il prossimo gruppetto è il suo.

In quel momento Fëdor Dostoevskij si rende conto di avere un minuto di vita, e lì immagina di poter scrivere e raccontare quello che sta provando, con una disperazione e un rimpianto che noi possiamo solo immaginare.

Le sue preghiere e il desiderio di immortalare sulla carta tutto quanto è talmente forte che accade l'imprevedibile.

Il suo desiderio, difatti, si avvera, perché, proprio nel momento in cui tocca alla sua terzina di condannati, l’esecuzione, come nei film più avvincenti, viene inaspettatamente sospesa.

Lo zar Nicola I, infatti, decide di commutare la condanna a morte in lavori forzati a tempo indeterminato, comunicandolo solo in quel momento al malcapitato che, una volta compresa la situazione, giura che metterà tutto nero su bianco.

E da quel momento in poi, la storia di Fëdor Dostoevskij è nota a tutti.