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La Grande guerra patriottica russa non è ancora finita

La vittoria sovietica sulla Wehrmacht nazista è il capitolo più celebrato della storia recente russa.
Ucraina contro Russia
Ucraina contro Russia

La Grande guerra patriottica russa non è ancora finita


La vittoria sovietica sulla Wehrmacht nazista è il capitolo più celebrato della storia recente russa. Il Cremlino da diversi anni ha preso ad esaltare la Grande guerra patriottica contro il male hitleriano, ma la memoria storica c’entra solo in parte. In ballo c’è la necessità assai presente di compattare l’opinione pubblica e rivedersi come superpotenza globale.

Dettaglio della parata del Giorno della Vittoria nella Piazza Rossa moscovita (fonte: kremlin.ru | CC BY  4.0)
Dettaglio della parata del Giorno della Vittoria nella Piazza Rossa moscovita (fonte: kremlin.ru | CC BY 4.0)

Il 9 dicembre 1941, due giorni dopo il clamoroso raid giapponese a Pearl Harbor e all’indomani dell’entrata in guerra degli Stati Uniti contro l’Impero del Sol Levante, il presidente Roosevelt chiosò laconicamente: “Siamo in guerra, e fino in fondo”. Appena quattro anni dopo, le potenze dell’Asse sarebbero capitolate una dopo l’altra, e lo smacco di Pearl Harbor esponenzialmente vendicato con l’epocale detonazione di Little Boy e Fat Man su Hiroshima e Nagasaki.

Lo sganciamento degli ordigni nucleari fu solo uno dei numerosi momenti topici della memoria della seconda guerra mondiale, specialmente per quanto concerne i suoi plurimi fronti orientali. Antitetica alla “fulmineità” dell’esplosione atomica fu, ad ovest degli Urali, la stoica resistenza sovietica a Leningrado (settembre 1941 – gennaio 1943) – iniziata due mesi prima che il Congresso statunitense desse il placet per la dichiarazione di guerra, e conclusasi vittoriosamente dopo 2 anni e mezzo con la cacciata dei tedesco-nazisti dall’odierna regione di San Pietroburgo. Di pari importanza rispetto alla resistenza pietroburghese fu l’altrettanto logorante battaglia di Stalingrado (Volgograd), marcata da numerose perdite su entrambi i fronti (più di tre milioni in totale) e dalla repulsione sovietica delle truppe naziste anche nel Caucaso, fondamentale prologo della disfatta hitleriana.

L’Unione Sovietica fu l’attrice che, più di tutte, dovette fare i conti con un bollettino di guerra impietoso: secondo la storiografia “ufficiale”, le vittime belliche complessive si aggirerebbero sui 20-26 milioni di caduti, più della metà dei quali parte della popolazione civile. Un numero che è nettamente superiore a tutte le vittime dei Paesi dell’Asse messi assieme. Giocoforza la seconda guerra mondiale è entrata prepotentemente nel patrimonio storico dell’URSS, che non a caso ha ribattezzato la battaglia sul fronte orientale come “Grande guerra patriottica” (la seconda dopo la gloriosa vittoria zarista contro l’esercito napoleonico nel 1812).

Chiedete a uno statunitense chi abbia determinato le sorti della guerra e vi tesserà le lodi dei marines dispiegati nel Pacifico; chiedetelo a un russo e non avrà dubbi nell’identificare la prevalenza sovietica sul fronte orientale come la chiave di volta del conflitto. Probabilmente, hanno entrambi ragione. Nell’ultimo decennio, Mosca ha cercato con crescente insistenza di far prevalere la sua versione dei fatti, che identifica nell’eroica guerra di logoramento combattuta da militari e civili sovietici come la quintessenza della vittoria alleata. Fin qui nulla quaestio, dato che la stragrande maggioranza della storiografia mondiale dà a Stalin ciò che è di Stalin nella lotta al nazi-fascismo. Qualche problema in più affiora quando le autorità moscovite cercano di sobissare sulle pagine più controverse della Grande guerra patriottica, o addirittura riconducono queste all’interno della generale opera di liberazione sovietica. Per citarne solo alcune: il massacro di Katyn’, la Guerra d’inverno sovietico-finlandese, l’annessione militare dei Baltici e, amarus in fundo, i protocolli segreti del patto Molotov-Ribbentrop – comportanti la cinica spartizione della Polonia tra gli opposti regimi di Stalin e Hitler.

Cannonieri antiaerei sul tetto dell’Hotel "Moskva" della capitale russa nell’agosto 1941 (fonte: RIA Novosti | CC BY-SA 3.0)
Cannonieri antiaerei sul tetto dell’Hotel "Moskva" della capitale russa nell’agosto 1941 (fonte: RIA Novosti | CC BY-SA 3.0)

Nell’ottica sovietica, prima, e russa, poi, tali “incidenti di percorso” non furono che interventi principalmente difensivi, giustificati nella più ampia cornice messianica della lotta tra bene (URSS) e male (Germania nazista). E ogni qualvolta che un Governo centro/est-europeo cerchi di disputare l’effettiva bontà dei carri armati sovietici invasori, si leva un coro di critiche contro le “distorsioni della verità storica” che cerchino di comparare l’Armata Rossa con l’oppressore nazista. È simbolico che l’imponente cyber-attacco del 2007 contro l’Estonia sia avvenuto a poca distanza temporale dalla rimozione di un monumento all’Armata Rossa “liberatrice” nel centro di Tallinn.

Il Cremlino è particolarmente fiero dell’eredità bellica sovietica. Ha cominciato ad esserlo specialmente a partire dal terzo mandato presidenziale di Vladimir Putin (2012-18), in concomitanza con l’incupimento dell’atmosfera diplomatica europea successiva all’annessione della Crimea, allo scoppio della guerra del Donbass e alle prime ondate di sanzioni occidentali.

Tuttavia, non è sempre andata così. L’establishment moscovita in passato non ha dimostrato coerenza nell’abbracciare il lascito militaresco di quegli anni. In maniera piuttosto paradossale, Iosif Stalin, che pure ne era stato diretto protagonista, non ebbe particolare interesse nel commemorare eccessivamente gli anni della guerra – forse consapevole che l’esorbitante numero di morti fosse anche causa di qualche suo errore tattico. Al contrario, fu con il segretario Nikita Chruščëv (1953-64) che la Grande guerra patriottica assurse a vero e proprio culto di Stato, anche qui piuttosto paradossalmente: se è vero che glorificare gli anni della guerra fu funzionale al generale processo di destalinizzazione, poiché il dittatore georgiano aveva mantenuto sull’argomento un basso profilo, in sé la magnificazione dello sforzo patriottico finì indirettamente per coinvolgere anche l’allora comandante supremo, ossia lo stesso Stalin. Una sorta di compromesso venne trovato nel focalizzare l’attenzione sull’eroico sforzo delle truppe e dei civili sovietici, piuttosto che sul loro segretario generale – che al contrario venne additato di culto della personalità e crudeltà ingiustificata nell’ambito dell’ormai celebre XX Congresso del PCUS (1956).

Lo sforzo di Putin pare avere ripagato. Secondo un sondaggio condotto dal Levada-Center nel novembre 2020, l’89% dei russi identifica la vittoria sovietica nella Grande guerra patriottica come il principale motivo di fierezza verso il proprio Paese. Un numero di russi leggermente più basso, ma ugualmente impressionante, afferma inoltre di ritenere il settantennio sovietico come il migliore periodo nella plurisecolare storia russa: il 75%. Sulla scia di un plebiscitario consenso popolare sull’eroicità sovietica, la riforma costituzionale approvata nella primavera del 2020 ha aperto le porte a un’incisiva criminalizzazione della “riabilitazione del nazismo” e della diffusione di “falsità” circa il ruolo sovietico nella Seconda guerra mondiale. Il relativo d.d.l., che serve ad integrare il Codice penale russo con la detta fattispecie, è stato recentemente firmato dal presidente Vladimir Putin, dopo l’approvazione di Duma di Stato e Consiglio della Federazione. A onor del vero, comunque, l’offesa alla memoria bellica di quegli anni era già punito con una pena massima edittale di tre anni di detenzione – che la nuova legge innalza a cinque.

Sinora, la vittima più celebre della “narrazione di Stato” è stato Vladimir Luzgin, condannato da una corte regionale di Perm’ a sborsare 200.000 rubli (circa 2.330 euro al cambio di allora) per aver insinuato, in un post sul suo profilo VKontakte, che l'Unione Sovietica avesse collaborato con i nazisti nello scatenare la guerra, avendo attaccato congiuntamente la Polonia. Rifiutatosi di pagare, Luzgin abbandonò il territorio russo e chiese nel 2018 asilo politico in Repubblica Ceca (negatogli). Il suo caso è poi passato al vaglio della Corte europea dei diritti umani di Strasburgo.

Cui prodest? A cosa è funzionale la glorificazione della Grande guerra patriottica? In parte, l’esaltazione della funzione sovietica nella sconfitta di Hitler è giustificata in quanto fatto storicamente acclarato. Tuttavia, è il tentativo di ricondurre anche le zone grigie della Grande guerra patriottica nel suddetto calderone di esaltazione (o quantomeno di apologia) a far borbottare più di uno storico. È verosimile che una tale retorica messianica – la storia fatta dai “buoni” e dai “cattivi”, che tali devono essere dall’inizio alla fine – abbia ben poco a che fare con la storia militare e molto con l’attualità politica. A ben guardare, proprio la vittoria sovietica contro la Germania nazista costituì la formalizzazione del nuovo status dei sovietici come superpotenza orientale, oltreché il prologo della successiva guerra (fredda) con gli Stati Uniti.

Nel 2022, il contrasto con Washington (e ora con Kyiv) è rimasto ma lo status di seconda superpotenza è minato dall’emergenza di una Cina sempre più assertiva: ricordare vuol quindi forse dire anche rievocare una propria sfera di (super)potenza autonoma.

Museo della Grande guerra patriottica a Mosca (fonte: WM wm WM | CC BY-SA 4.0)
Museo della Grande guerra patriottica a Mosca (fonte: WM wm WM | CC BY-SA 4.0)

Il mito della resistenza a Volgograd e Stalingrado, inter alia, è efficace perché riesce non solo a trascendere ogni divisione etnico-sociale nella popolazione, ma altresì ad essere sufficientemente recente da rimanere ancora impressa nella memoria collettiva. Se ce ne fosse bisogno, poi, ogni 9 maggio la parata del Giorno della Vittoria è funzionale a passare il testimone anche alle nuove generazioni. Le autorità caldeggiano la metafora di un’URSS-Atlante che, da sola (o quasi), riuscì a sopportare l’intero peso del fronte orientale per poi sferrare il colpo del KO alla tracotanza malefica di Hitler, Mussolini e Hirohito. Poco meno di 70 anni dopo, il Cremlino si vede ancora come un Atlante, stavolta contro l’Occidente “imperialista” a guida statunitense.

Se entro i confini patri non v’è dubbio che la trama abbia attecchito, non si può dire lo stesso negli ex Paesi sovietici – come dimostrato dai fatti ucraini. Anche la fedele Bielorussia di Lukašėnka aveva iniziato a diffidare del rinnovato attivismo storico di Mosca, cercando di mantenere aperti i canali di comunicazione e collaborazione con l’Occidente per controbilanciare l’influenza russa. La sollevazione post-elettorale del febbraio 2021 ha tuttavia costretto Lukašėnka ad abbracciare fatalmente Putin e avallare le posizioni russe in politica estera.

Secondo diversi osservatori, non è un caso che il dinamismo russo nella promozione della propria versione storica sia coinciso con il deterioramento della situazione macroeconomica interna – specialmente dal 2014 al 2018. In quest’ultimo anno, alla vigilia del mondiale di calcio in Russia, le autorità moscovite alzarono a sorpresa l’età di pensionamento a 65 anni (da 60) per gli uomini e 63 (da 55) per le donne. L’annuncio scosse l’opinione pubblica e rimane, ad oggi, l’evento singolo che più di qualsiasi altro è riuscito a scalfire la popolarità di Putin, oltre ovviamente (e ben più seriamente) quella di Medvedev.

Circostanza che riprova come la narrazione storica possa servire da collante, ma a lungo andare il criterio di valutazione politica avrà basi ben più contemporanee.