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Un eccidio da ricordare

defunti nell'eccidio
defunti nell'eccidio

Un eccidio da ricordare

Il 13 settembre 1943 un intero reparto di Carabinieri fu fucilato dai nazisti. Erano i militari della Stazione di Napoli Porto. Sono quattordici martiri della follia nazista, che non dobbiamo dimenticare.

Da ormai oltre due secoli, la Stazione Carabinieri costituisce l’unità operativa più piccola dell’Arma, presente capillarmente in migliaia di centri periferici della Penisola. Da sempre, è un elemento di contatto tra lo Stato e il Cittadino. Nelle realtà urbane più grandi, le Stazioni sono presenti in ogni quartiere, proprio come a Napoli nel quartiere Porto.

Ottant’anni fa, quei militari vivevano le stesse paure dei napoletani. Nel 1940, allo scoppio della guerra, Napoli aveva ben oltre un milione e mezzo di residenti, se si considera il popoloso hinterland, che, con l’urbanizzazione, ha poi unito tanti paesi della provincia alla Città, senza soluzione di continuità. Durante l’ultimo conflitto, il porto aveva una rilevante importanza strategica, perché da lì partivano i rifornimenti per il fronte africano. Proprio per questo, sin dal 1940, Napoli subì oltre cento bombardamenti, che provocarono decine di migliaia di vittime. Gran parte di quegli attacchi aerei avevano anche lo scopo psicologico di demoralizzare la popolazione, come il bombardamento indiscriminato del 4 agosto 1943, che provocò 3.000 morti tra i civili. I napoletani erano esasperati dai continui attacchi, quando si arrivò all’8 settembre. L’annuncio dell’armistizio provocò in tutta Italia un evidente disorientamento che, a Napoli, si acuì quando si seppe dell’avvenuto sbarco degli Alleati a Salerno. Da quel momento, le già precarie condizioni di vita della popolazione, fiaccata da anni di guerra e soprusi di ogni genere, divennero disumane. Subito i nazisti tentarono di impossessarsi della città, con violente rappresaglie nei confronti di chiunque tentasse di reagire. Fu una ferocia gratuita e inaudita. I Carabinieri, da sempre vicini alla gente, si resero protagonisti di numerosi episodi di valore già dalle prime ore dopo l’armistizio. In quei drammatici giorni i comandi di Stazione furono impegnati a difesa della popolazione affamata, che viveva nell’incertezza dell’esito di una guerra che sembrava non voler finire.

Sin dalla sera dell’8 settembre 1943, la Stazione di Napoli Porto, sita in via Marchese Campodisola, intensificò i servizi di vigilanza al Palazzo dei Telefoni. Il monumentale edifico di via Depretis ospitava la centrale telefonica, un obiettivo strategico per il controllo delle comunicazioni. Furono lì inviate a presidiarlo due pattuglie della Stazione, oltre a trenta carabinieri della compagnia rinforzi e a un centinaio di soldati. Fino al pomeriggio dell’11 settembre non avvenne nessun incidente, mentre il resto della città era messo a ferro e fuoco. Verso le 14:00 un nucleo di soldati tedeschi tentò l’assalto di sorpresa con diversi autocarri e una camionetta. I militari italiani, posti in difesa alle finestre e nei punti più coperti, li accolsero con un nutrito fuoco di fucili e bombe a mano. I nazisti risposero con le armi automatiche, che avevano in abbondanza. Lo scontro che ne scaturì, particolarmente violento, si protrasse per un’ora circa. Malgrado la superiorità numerica, i tedeschi furono costretti a ritirarsi. L’eroico presidio si preparava a contrastare, col morale altissimo, eventuali ulteriori attacchi. Purtroppo, però, la difesa dell’intera città di Napoli era crollata, con collegamenti soppressi e con i comandi superiori che non davano più ordini. I rinforzi furono ritirati. Rimasero sul posto al palazzo dei telefoni solo i quattro militari della Stazione Carabinieri Porto. Era sera inoltrata, quando, intuito che ormai ogni speranza di difesa sarebbe stata vana, anche le due ultime pattuglie furono fatte rientrare. I tedeschi occuparono così la struttura in poco tempo. Al mattino seguente, era il 12 settembre, all’ombra del Vesuvio giunsero i reparti della divisione corazzata “Herman Göring”. Il Colonnello Scholl assunse il comando della città. Un’aliquota dell’unità si accampò nei pressi dell’Università degli Studi Federico II, non molto lontano dalla caserma di Napoli Porto. Nel primo pomeriggio gli abitanti del quartiere, sotto la pressione delle baionette e la minaccia delle armi da fuoco, furono rastrellati e condotti nella piazza antistante l’Università. Lì, in ginocchio, assistettero all’ignobile spettacolo dell’incendio dell’antico Ateneo. Verso le 15:00, un reparto composto da una ventina di tedeschi, dotato di armi automatiche e bombe a mano, irruppe nei locali della Stazione Carabinieri Porto, dove i militari dell’Arma si erano asserragliati. Erano presenti il Comandante, Brigadiere Egidio Lombardi, e i Carabinieri Giuseppe Covino, Emidio Scola, Martino Manzo, Nicola Cusatis, Domenico Dubini, Michele Covino, Antonio Carbone, Giuseppe Pagliuca, Giovanni Russo, Ciro Alvino, Domenico Franco e Giuseppe Ricca. Colti di sorpresa, furono costretti a seguire i tedeschi. Lo fecero in silenzio, dignitosamente. Scendendo le scale, si imbatterono nell’Appuntato Emilio Ammaturo che, giunto in quell’istante, fu portato con gli altri.

Nella notte tra domenica 12 e lunedì 13 settembre, circa cinquecento uomini tra i 18 e i 50 anni, destinati al lavoro, furono portati in un campo di concentramento improvvisato, in località “Madama Vincenza” del comune di Fertilia, l’odierna Teverola. Era poco lontano da Aversa, a circa 200 metri dallo stradale nazionale Napoli-Capua. Ai quattordici carabinieri furono consegnati dei fucili, che, però, erano senza caricatori. Sembrava che stessero scortando i prigionieri, ma andavano incontro alla morte.

I militari dell’Arma furono condotti in un accampamento tedesco a pochi chilometri da Madama Vincenza, dove furono tenuti in condizioni disumane. Non avevano neanche l’acqua da bere.

Come hanno poi raccontato alcuni fortunati testimoni, furono perquisiti tutti i presenti. Dopo aver confabulato tra loro, i nazisti fecero una selezione. Furono messi da un lato i quattordici carabinieri, insieme a due civili del posto, Carmine Ciaramella e Francesco Fusco. Tutti gli altri furono messi in libertà. Alle 15:00 circa, i sedici furono spostati di un centinaio di metri, verso l’interno della campagna. Vennero fatti inginocchiare uno accanto all’altro, di fronte a una mitragliatrice. A breve distanza vennero piazzate altre quattro armi automatiche per impedire qualsiasi tentativo di fuga. Si udì l’ordine di far fuoco.

Per due volte la mitraglia sferrò le sue raffiche sui loro corpi. Nell’aria risuonarono le urla dei testimoni di quel terribile eccidio. Un tedesco infierì sui corpi che davano ancora segni di vita. Terminata l’esecuzione, i nazisti ordinarono a uno dei venti civili rimasti nelle vicinanze di perquisire i cadaveri. Agli altri fu ordinato di scavare una fossa per seppellirli. Vennero raccolti orologi, documenti e denaro che furono consegnati ai tedeschi. Nelle tasche di uno dei carabinieri furono trovate 1.200 lire che, a lavoro ultimato, furono ripartite tra quelli che avevano lavorato: 80 lire ciascuno. I cadaveri furono calati nella fossa. Poiché lo spazio esiguo non consentiva di metterli uno accanto all’altro, dieci furono deposti in orizzontale e sei di traverso, sopra i primi. Furono poi ricoperti dal terreno.

Per qualche giorno si udirono colpi di cannoni e si videro aeroplani volare sulla terra insanguinata. Poi la guerra salì il Volturno, passando oltre. Fu il silenzio anche su quel massacro. Fra la popolazione del rione Napoli Porto si costituì spontaneamente un comitato per tributare solenni onoranze a quei militari dell’Arma.

Nel 1949 sul luogo della strage è stata eretta una lapide commemorativa. Nel 1986, a Teverola è stato realizzato un monumento in onore delle sedici vittime e, nel 2011, la piazza che lo ospita è stata intitolata “Piazza 13 settembre 1943.Quattordici Carabinieri martiri trucidati dai nazisti”.

A Latronico (PZ) una lapide ricorda il Brigadiere Egidio Lombardi, alla cui memoria è intitolata la Stazione Carabinieri di Laurenzana (PZ). Il comune di Roccabascerana (AV) ha dedicato una piazza al Carabiniere Giuseppe Covino. A Taviano (LE) una strada e un monumento sono dedicati al Carabiniere Martino Manzo, al quale è intitolata anche la Stazione di Racale (LE). Al Carabiniere Giuseppe Ricca è intitolata la Stazione di Guarda Mangano (CT). A San Martino Valle Caudina (AV) la Stazione è intitolata al Carabiniere Michele Covino. Al Carabiniere Domenico Dubini è intitolata la Stazione di Asso (CO). Al Carabiniere Domenico Franco quella di Colle Sannita (BN).

A tutti è stata conferita la Medaglia d’Argento al Valor Militare “alla memoria” con la seguente motivazione: “In periodo di eccezionali eventi bellici seguiti all’armistizio, preposto con gli altri militari della sua stazione alla difesa di importante centrale telefonica, assolveva coraggiosamente il suo dovere opponendosi al tentativo di occupazione e di devastazione da parte delle truppe tedesche. Catturato per rappresaglia e condannato a morte con i suoi compagni, affrontava con ammirevole stoicismo il plotone di esecuzione. Nobile esempio di virtù militari”.

Dopo ottant’anni, non li dimentichiamo, perché quei militari sono Esempi di Valore. Come ripeto in questa mia rubrica, per affrontare le sfide del futuro servono Valori, che sono chiari negli esempi del passato.