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8 settembre 1943: Armistizio o resa incondizionata?

80 anni dall'armistizio
8 settembre, armistizio
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8 settembre 1943: Armistizio o resa incondizionata?

L’8 settembre 1943 è una data molto nota nella storia italiana. Alle 19:42, dai microfoni dell'EIAR (l’Ente Italiano per le Audizioni Radiofoniche), che interruppe i programmi, fu trasmesso l'annuncio con la voce del Maresciallo Pietro Badoglio che proclamava l'armistizio:

Il governo italiano, riconosciuta la impossibilità di continuare la impari lotta contro la soverchiante potenza avversaria, nell'intento di risparmiare ulteriori e più gravi sciagure alla Nazione, ha chiesto un armistizio al generale Eisenhower, comandante in capo delle forze alleate anglo-americane. La richiesta è stata accolta. Conseguentemente, ogni atto di ostilità contro le forze anglo-americane deve cessare da parte delle forze italiane in ogni luogo. Esse però reagiranno ad eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza”.

Poche ore prima, l’agenzia Reuters aveva anticipato il contenuto del comunicato, diffuso da Radio Algeri alle 18,30 italiane, quando il generale Dwight “Ike” Eisenhower annunciava:

“The Italian government has surrendered its armed forces unconditionally . Hostilities beetween the armed forces of the United Nations and those of Italy terminate at once. All Italians who now act to help eject the German aggressor from Italian soil will have the assistence and support of the United Nations”.

(Il governo italiano ha consegnato le sue forze armate senza condizioni (si è arreso incondizionatamente). Le ostilità tra le forze armate delle Nazioni Unite e quelle dell’Italia cessano all’istante. Tutti gli italiani che ci aiuteranno a cacciate l’aggressore tedesco dal suolo italiano avranno l’assistenza e il supporto delle Nazioni Unite).

Sono voci della storia reperibili in rete, che forse in tanti abbiamo ascoltato. I testi dei due proclami divergono su un aspetto che non sarà sfuggito all’attento lettore: mentre Badoglio parla di una richiesta di armistizio accolta da Eisenhower, proprio il generale americano parla di una resa incondizionata.

Cosa avvenne allora l’8 settembre? Fu proclamato un armistizio (in inglese “armistice”) o annunciata una resa incondizionata (“surrender unconditionally”) ?

Per rispondere, è opportuno ricordare cosa successe in quei giorni, così travagliati per la nostra storia.

Il 1943 era iniziato con la crescente consapevolezza che l’esito del conflitto potesse non essere favorevole per l’asse, tenuto conto delle sconfitte italiane e tedesche su vari fronti.

Parallelamente, gli alleati si erano riuniti a Casablanca (la conferenza prese il nome in codice “SYMBOL”) dal 14 al 24 gennaio 1943, per pianificare strategicamente le operazioni da compiere in Europa. Alla conferenza, oltre ai vertici militari, presero parte anche il presidente Franklin Delano Roosevelt e il premier britannico Winston Churchill. Finiti i lavori, il 24 gennaio 1943, furono chiamati per un annuncio ventisette giornalisti, che rimasero sbalorditi quando videro presenti alla conferenza stampa, oltre ai generali, Roosevelt e Churchill. Rivolgendosi ai cronisti, il presidente americano affermò che gli incontri avevano consentito a britannici e americani di discutere una serie di questioni chiave. Disse poi che “la pace può venire nel mondo solo con la totale eliminazione della potenza bellica tedesca e giapponese”. Proseguendo, Roosevelt dichiarò che ciò significava la “resa incondizionata di Germania, Italia e Giappone”. Nel concludere, sottolineò che la resa incondizionata non “significava la distruzione della popolazione della Germania, dell'Italia o del Giappone”. Era ora chiara la posizione alleata.

Nelle settimane successive, si assistette alla sconfitta tedesca nella battaglia di Stalingrado (31-1-1943) e alla resa dell'asse in Tunisia (13 maggio 1943). Per questo, in vari ambienti, si iniziarono ad ipotizzare tentativi di pace separata. Gli eventi, poi, precipitarono con lo sbarco alleato in Sicilia (10 luglio 1943) e il successivo arresto di Mussolini (25 luglio 1943), episodi che ho approfondito in recenti articoli su questa rivista. La nomina di Badoglio a capo del governo non significò una tregua delle ostilità in corso, sebbene possa essere comunque considerata un piccolo passo verso l’uscita dell’Italia dal conflitto. Dai racconti pervenuti da vari testimoni si è appreso come, in gran segreto (per evitare l’ira nazista), si cercarono vari contatti con gli alleati, per siglare un accordo.

Per capire come si arrivò all’8 settembre, dovremmo partire dal 10 agosto, quando il generale Giuseppe Castellano ebbe l’incarico di trattare la resa con gli alleati, senza però ricevere neanche le credenziali nel timore che potesse essere scoperto dai tedeschi. Fu inviato a Lisbona e inserito in una delegazione di funzionari della Farnesina, munito solo di un biglietto di presentazione dell'ambasciatore inglese presso la Santa sede per il collega di Madrid. Partì, sempre per ragioni di sicurezza, sotto falso nome. Impiegò tre giorni per raggiungere prima Madrid e poi Lisbona. Castellano non parlava inglese, ma poté avvalersi del console Franco Montanari, come interprete. Solo il 19 agosto conferì con i rappresentanti del Comando Alleato. Ripartì il 23, rientrando a Roma il 27 agosto. Nel frattempo, per affiancare l'inviato italiano, furono mandati a Lisbona in aereo i generali Rossi e Zanussi, che si presentarono appena ripartito Castellano per Roma. Questa situazione generò evidente perplessità tra gli alleati, confusi dall'invio di delegazioni così ravvicinate e senza coordinamento. In ogni modo, per gli americani e gli altri alleati, accettare la resa italiana era la scelta militarmente più utile, poiché poteva evitare combattimenti per conquistare la Penisola.

Il 30 agosto, Badoglio convocò Castellano. Il generale comunicò la richiesta alleata di un incontro in Sicilia, che era già stata conquistata. In quei giorni, Badoglio era convinto di poter negoziare la resa, immaginando di chiedere agli alleati addirittura di conoscere quali fossero i loro piani, sebbene il conflitto fosse ancora in corso e gli italiani fossero tecnicamente nemici. In realtà, tra le tante altre condizioni che furono richieste, solo quella di inviare unità paracadutate su Roma per la difesa della Capitale sembra che sarebbe stata accolta, anche perché in parte già prevista dai piani alleati (la condizione poi non si concretizzò perché gli americani non ricevettero le richieste assicurazioni dai comandi italiani).

Si giunse così alla partenza di Castellano per la Sicilia, accompagnato, quale interprete, sempre dal console Montanari. Furono due brevi viaggi: il primo il 31 agosto (il generale rientrò il 1° settembre a Roma) e il secondo il 2 settembre. Come noto l’armistizio fu firmato a Cassibile, una frazione di Siracusa, intorno 17,30 del 3 settembre. Il documento fu firmato da Castellano, a nome di Badoglio, e dal generale americano Walter Bedell Smith (futuro direttore della CIA), a nome di Eisenhower. Il documento è composto solo da dodici articoli, con l’ultimo articolo che sancisce come “altre condizioni politico, economico e finanziario a cui l’Italia dovrà conformarsi saranno trasmesse in seguito”. Per la sua brevità, l’armistizio di Cassibile è conosciuto come l’“armistizio corto”.

Successivamente, il 29 settembre, nell’acque di Malta, sulla corazzata britannica Nelson, furono firmate tutte le “altre condizioni”. Quest’ultimo sarà ricordato come l’“armistizio lungo”, firmato direttamente da Eisenhower e da Badoglio.

Esaminando il testo dell’“armistizio corto”, oggetto dell’annuncio dell’8 settembre, troviamo subito un elemento utile alla domanda che si siamo posti. Il testo inizia, infatti, così:

Le seguenti condizioni di armistizio sono presentate dal generale Dwight D. Eisenhower, Generale Comandante delle Forze Armate alleate, il quale agisce per delega dei Governi degli Stati Uniti e della Gran Bretagna e nell'interesse delle Nazioni Unite, e sono accettate dal Maresciallo Badoglio, Capo del Governo italiano.”

(The following conditions of an Armistice are presented by General DWIGHT D. EISENHOWER, Commander-in-Chief of the Allied Forces, acting by authority of the Governments of the United States and Great Britain and in the interest of the United Nations, and are accepted by Marshal PIETRO BADOGLIO, Head of the Italian Government).

Il testo definisce chiaramente l’atto siglato come un armistizio (in inglese “armistice”). Quindi il successivo annuncio americano dell’8 settembre sembrerebbe formalmente meno corretto, nella parte in cui definisce, quella italiana, una resa incondizionata. In realtà, il testo ci fa capire che anche l’annuncio italiano non era corretto, dove riportava che gli alleati avrebbero accolto la richiesta italiana. Il testo originale ci dice che le “condizioni di armistizio” alleate furono “accettate dal governo italiano”.

Volendo analizzare meglio la questione, bisogna ammettere che, se solo da un punto di vista lessicale può essere definito un armistizio, nel merito l’Italia dovette accettare tutte le condizioni imposte dagli alleati.

Il documento che forse meglio chiarisce la questione è il “Trattato di pace con l’Italia” siglato a Parigi il 10 febbraio 1947. Nel preambolo di quest’ultimo documento si legge che “in conseguenza delle vittorie delle forze alleate, e con l'assistenza degli elementi democratici della Popolo italiano, il regime fascista in Italia fu rovesciato il 25 luglio 1943, e l'Italia, essendosi arresa incondizionatamente, firmò i termini dell'armistizio il 3 e il 29 settembre dello stesso anno” e poi che “dopo il detto armistizio italiano le forze armate, sia del governo che del movimento di resistenza, hanno preso un parte attiva nella guerra contro la Germania, e l'Italia dichiarò guerra alla Germania come dal 13 ottobre 1943 e divenne così cobelligerante contro la Germania”. Il trattato di pace del 1947, salomonicamente, riporta entrambi i termini: “armistizio” (citato due volte nel preambolo) dell’Italia che si è “arresa incondizionatamente”.

Il problema nella memoria storica non è stato il lessico, ma cosa ha poi rappresentato l’8 settembre 1943. Furono mesi di assoluta confusione, che la ricerca storiografica ha indagato, facendo emergere differenti comportamenti da parte di politici e militari. Storici e intellettuali hanno dibattuto, sin dal 1948, se l'8 settembre possa essere definibile come la “morte della patria”. Alcuni sono arrivati a sostenere che il risorgimento avesse creato un sentimento nazionale italiano che, crollato l'8 settembre, non sarebbe più rinato. Altri hanno poi affermato che “l'8 settembre non provocò la «morte della patria» ma il disfacimento di uno Stato”. Altri ancora hanno considerato che ritenere l’8 settembre come morte della patria sarebbe un insulto ai combattenti per la nostra libertà che proprio dall'8 settembre riscattarono l'onore del Paese. Su questa linea, riterrei che l'amor di patria non è mai uscito dal cuore degli italiani. Preferisco chiudere la questione, ricordando, quale Esempio di Valore, una grande Presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi. È stato il Presidente che ci ha fatto riscoprire il nostro amore di Patria, iniziando dall’inno nazionale e dai Valori che ci uniscono come Nazione. Sullo specifico tema, ricordando le vittime dell’Eccidio di Cefalonia del settembre 1943, pronunciò il 1° marzo 2001 un discorso che riporto per ricordare quei giorni di ottant’anni fa:

“Noi, che portavamo allora la divisa, che avevamo giurato, e volevamo mantenere fede al nostro giuramento, ci trovammo d’improvviso allo sbaraglio, privi di ordini.

La memoria di quei giorni è ancora ben viva in noi. Interrogammo la nostra coscienza. Avemmo, per guidarci, soltanto il senso dell’onore, l’amor di Patria, maturato nelle grandi gesta del Risorgimento.

Voi, alla fine del lungo travaglio causato dal colpevole abbandono, foste posti (…) di fronte a tre alternative: combattere al fianco dei tedeschi; cedere loro le armi; tenere le armi e combattere. Schierati di fronte ai vostri comandanti di reparto, vi fu chiesto, in circostanze del tutto eccezionali, in cui mai un’unità militare dovrebbe trovarsi, di pronunciarvi.

Con un orgoglioso passo avanti faceste la vostra scelta, “unanime, concorde, plebiscitaria”: “combattere, piuttosto di subire l’onta della cessione delle armi”.

Decideste così, consapevolmente, il vostro destino. Dimostraste che la Patria non era morta. Anzi, con la vostra decisione, ne riaffermaste l’esistenza. Su queste fondamenta risorse l’Italia. (…)

La fedeltà ai valori nazionali e risorgimentali diede compattezza alla scelta di combattere. L’onore, i valori di una grande tradizione di civiltà, la forza di una Fede antica e viva, generarono l’eroismo di fronte al plotone d’esecuzione. (…)

Divenne chiaro in noi, in quell’estate del 1943, che il conflitto non era più fra Stati, ma fra principi, fra valori. (…)

Ai giovani di oggi, educati nello spirito di libertà e di concordia fra le nazioni europee, eventi come quelli che commemoriamo sembrano appartenere a un passato remoto, difficilmente comprensibile. Possa rimanere vivo, nel loro animo, il ricordo dei loro padri che diedero la vita perché rinascesse l'Italia, perché nascesse un'Europa di libertà e di pace. Ai giovani italiani, ai giovani greci e di tutte le nazioni sorelle dell'Unione Europea, dico: non dimenticate”.