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25 luglio 1943, l’arresto di Mussolini

l’arresto di Mussolini
l’arresto di Mussolini

25 luglio 1943, l’arresto di Mussolini

 

Il 25 luglio 1943 è una data nota della storia italiana: segna la “caduta del fascismo”. Alle 2,30 circa del mattino, al culmine di un’accesa seduta del “gran consiglio”, fu votato l’ordine del giorno presentato da Dino Grandi, che prevedeva la sfiducia di Mussolini. Alla votazione finale, 19 furono i voti favorevoli e 7 i contrati; uno si astenne. Finiva un ventennio, che aveva segnato un’epoca. Iniziavano mesi tremendi per la nostra Patria.

Questo articolo, nell’ottantesimo anniversario, intende ricordare un episodio avvenuto nel pomeriggio di quel 25 luglio: l’arresto del duce per ordine del re. Oggi, il fermo di un dittatore deposto sembrerebbe una semplice operazione di polizia. All’attento lettore non sfuggiranno le difficoltà tattiche di quell’azione, che mi portano ad indicare, come Esempi di Valore, quei militari che la condussero, con assoluta riservatezza e determinante professionalità.

Evidenziamo subito quali furono le principali difficoltà dell’operazione. 

Iniziamo col dire che l’azione fu decisa in pochissime ore. Il 25 luglio era domenica a Roma: era una assolata giornata d’estate, fresca di primo mattino, poi calda e afosa. La città appariva tranquilla, con poca la gente per strada. Nessuno sapeva che nella notte si era riunito a Palazzo Venezia il gran consiglio del fascismo, così come nessuno sapeva che, dopo più di vent’anni, il fascismo stava per morire. Come vedremo, non era programmato alcun incontro o attività che potesse interessare Mussolini. Non dimentichiamo che il duce, nonostante le difficoltà, non aveva minimamente intenzione di dimettersi, forte dell’appoggio militare tedesco e di una parte del partito. Occorreva quindi procedere in assoluta segretezza e con precisione chirurgica.

Nel luglio 1943 l’Italia era in una situazione drammatica: tre eventi avevano definitivamente eliminato le residue possibilità di successo che Mussolini ancora esternava, sperando in una vittoria finale dei tedeschi. Il 10 luglio gli anglo-americani erano sbarcati in Sicilia, raggiugendo Palermo in appena dodici giorni. Il 19 luglio, mentre il duce incontrava Hitler a Feltre, gli aerei alleati avevano bombardato Roma, per la prima volta nella sua storia millenaria.

L'arresto di Benito Mussolini
L'arresto di Benito Mussolini

Da settimane, il malcontento covava tra le gerarchie militari e l’establishment monarchico, tanto da indure il re a comprendere che era giunta l’ora di cambiare. Anche tra i gerarchi fascisti si ampliava la convinzione che Mussolini stesse trascinando il Paese verso la rovina. Nonostante tutto, quel 25 luglio Mussolini, che da mesi sapeva di un’opposizione interna al partito, confidava ancora molto in sé stesso: forte dell’appoggio militare tedesco, riteneva di avere la piena fiducia del re. Per questo motivo, non diede eccessiva importanza al voto del gran consiglio, che considerava un organo meramente consultivo. 

Anzi, nonostante quel 25 luglio fosse domenica, intorno alle 12,15 chiese un appuntamento al sovrano per aggiornarlo. I due avevano avuto un lungo colloquio il giovedì precedente, 22 luglio. La richiesta di Mussolini sconvolse i programmi di Vittorio Emanuele III, che si era determinato di convocare il capo del governo lunedì 26 o, al più tardi, giovedì 29 luglio (i due erano soliti incontrarsi al lunedì o al giovedì al Quirinale). Il re si era già convito a dare l’incarico di formare un nuovo governo al Maresciallo d’Italia Pietro Badoglio. La richiesta di colloquio per quella domenica avrebbe anticipato i tempi. Il sovrano concesse l’incontro al pomeriggio per le 17 a Villa Savoia (nell’odierna Villa Ada), la sua residenza privata romana

Poco dopo le 12,30 il Comandante Generale dell’Arma, Generale Cerica, fu informato della novità e della necessità di procedere all’arresto del duce al termine dell’udienza reale, allorquando sarebbe uscito da Villa Savoia. Non dimentichiamo che Cerica aveva assunto la carica di Comandante Generale dell’Arma appena due giorni prima, succedendo al Generale Hazon morto assieme al suo Capo di Stato Maggiore, il Col. Barengo, nel corso del bombardamento su Roma del 19 luglio

L’Arma dei Carabinieri era stata scelta dal re non solo per la secolare fedeltà alla corona, ma anche perché la polizia era agli ordini del noto squadrista Chierici. Non dimentichiamo che la minima indiscrezione non solo avrebbe messo a rischio l’operazione, ma poteva causare gravissime conseguenze sul piano dell’ordine pubblico.

Il Comandante Generale dei Carabinieri, pertanto, preannunciando una sua possibile ispezione ai reparti dell’Arma della Capitale, diede ordine ai suoi militari di rimanere in caserma per le 16,00. Inoltre, stabilì di affidare l’esecuzione dell’arresto a due Ufficiali conosciuti come irreprensibili, affidabili e valorosi. Presso il comando del Gruppo Interno di Roma, sito in viale Liegi, convocò, per le 14,00, il Tenente Colonnello Giovanni Frignani, Comandante del Gruppo, e i suoi diretti collaboratori Capitano Paolo Vigneri e Capitano Raffaele Aversa, rispettivamente Comandanti delle Compagnie Interna e Tribunali della Capitale.

I due Capitani definirono in dettaglio il piano d’azione, pianificando che, in gran segreto, il duce fosse caricato su un’ambulanza militare. Avevano scelto quel mezzo per non destare sospetti, oltre che per proteggere l’ex capo del governo da una reazione popolare, che avrebbe potuto metterne in pericolo la vita. Per questo fu chiamato anche il Commissario di P.S. Giuseppe Marzano, Ufficiale dell’Arma in congedo, capo dell’autocentro del Ministero dell’Interno, al quale si richiese di mettere a disposizione un’ambulanza

Marzano veniva inoltre incaricato di condurre al Comando Generale, per le 17,00, Carmine Senise, che, ad arresto avvenuto, avrebbe riassunto l’incarico di Capo della polizia (era stato deposto dalla carica ad aprile 1943). Conclusa la riunione, i Capitani Aversa e Vigneri raggiunsero il vicino quartiere Parioli, dove, nella caserma Pastrengo, aveva sede il Gruppo Squadroni territoriale Carabinieri Reali. Al Comandante, Maggiore Alfredo Grimaldi, rappresentarono l’urgente necessità di ricercare dei paracadutisti alleati lanciatisi nei pressi di Roma. Era questo il pretesto per evitare ogni possibile indiscrezione e mantenere la massima segretezza sull’operazione. Servivano almeno 50 militari da porre a disposizione del Capitano Aversa. Nessuno immaginava quello che stava per succedere. 

Il Capitano Vigneri, che aveva ricevuto l’ordine di arrestare il duce “vivo o morto”, scelse personalmente tre prestanti sottufficiali: erano i Vicebrigadieri Domenico Bertuzzi, Romeo Gianfriglia e Sante Zenon. I 50 militari salirono su un autocarro chiuso con un tendone, mentre i due Capitani, i tre Vicebrigadieri e tre agenti di P. S. presero posto nell’autoambulanza

Il piccolo convoglio si diresse verso la Salaria. Raggiunta Villa Savoia, il plotone di carabinieri, nel frattempo informato della reale finalità della missione, si disponeva sul lato nord dell’edificio, pronto ad intervenire ad un cenno del Cap. Aversa. Quest’ultimo, assieme al collega Vigneri, ai tre vicebrigadieri e ai tre agenti di P.S. armati di mitra, si sistemava sul lato est. Poco dopo raggiungeva la villa anche il Ten. Col. Frignani in borghese. Alle 15,30 il dispositivo era operativo, pronto nelle posizioni stabilite.

Alle 16,45, Mussolini lasciava Villa Torlonia. Era con l’abito blu, usato abitualmente per recarsi a corte. Alle 17,00, l’Alfa Romeo con a bordo il duce e il suo segretario De Cesare superava il cancello di Villa Savoia. La scorta restava all’esterno della residenza. Il re accolse il Duce, indossando l’uniforme di Primo Maresciallo dell’Impero. In un successivo racconto autobiografico, lo stesso Mussolini dirà che “entrati nel salotto, il re, in uno stato di anormale agitazione, coi tratti del viso sconvolti, con parole mozze, gli disse: "Caro Duce, le cose non vanno più. L’Italia è in tocchi. L’Esercito è moralmente a terra (...) Il voto del Gran Consiglio è tremendo. Diciannove voti per l’ordine del giorno Grandi. Fra di essi quattro collari dell’Annunziata (...) In questo momento voi siete l’uomo più odiato d’Italia"».

Alla descrizione del duce si integra quella del Generale Paolo Puntoni, aiutante di campo del re, che, da dietro una porta, pronto a intervenire se la situazione fosse degenerata, ascoltava il colloquio. Il re si rivolse a Mussolini con garbo, ma in modo determinato. 

Gli comunicò che era giunto il momento di intervenire per sottrarre la Nazione da ulteriori dolori: «mi dispiace, ma la soluzione non poteva essere diversa». Informò il suo interlocutore che Badoglio avrebbe assunto la carica di capo del Governo. Mussolini fu disorientato e turbato, colto di sorpresa. Tentò una sterile replica, sostenendo che il gran consiglio fosse un organo consultivo, il cui voto, giuridicamente, non aveva peso. Il re, invece, ne aveva colto il significato politico. Ribadì che non gli era più permesso di «restare inerte». Accompagnò Mussolini al pianerottolo che sovrasta la scalinata di accesso alla villaL’incontro era durato venti minuti

Il duce scese la scalinata avviandosi con De Cesare verso la sua automobile. Non c’era, però, Boratto, il suo fedele autista, che era stato allontanato con una scusa. Ai piedi delle scale, invece, si imbatté nei Capitani dei Carabinieri Vigneri e Aversa. Alle loro spalle i tre prestanti vicebrigadieri, mentre qualche metro indietro il Ten. Col. Frignani assisteva alla scena. I due Ufficiali bloccarono il passo a Mussolini, che sobbalzò. Il Capitano Vigneri, sull’attenti e con voce ferma, gli ingiunse: «Duce, in nome di Sua Maestà il Re vi preghiamo di seguirci per sottrarvi ad eventuali violenze da parte della folla». Mussolini, perplesso e infastidito, rispose: «che esagerazioni!», aggiungendo che non vi è alcun pericolo per la sua persona. Vigneri insistette: «ho un ordine da eseguire».

Rassegnato, si diresse verso la sua auto, ma l’ufficiale lo bloccò: «no, bisogna salire qui», indicando l’ambulanza sul retro della villa. Mussolini esitò. Vigneri, allora, lo prese per il gomito sinistro, sollecitandolo a salire. A bordo salirono anche De Cesare, lo stesso Vigneri, Aversa e i tre sottufficiali. Due agenti armati si collocarono sui predellini del mezzo, mentre il terzo alla guida. Erano le 17,20Uscita dalla villa, l’autoambulanza partì a tutta velocità. “Mussolini” come poi relazionato “aveva l’aspetto abbattuto; era silenzioso, non alzava gli occhi da terra

Nel caldo afoso di questa domenica di fine luglio, l’ambulanza raggiunse a Trastevere la caserma Podgora, sede della Legione Carabinieri Reali di Roma. Qui il duce rimase per circa un’ora, prima di essere portato in un’altra caserma dell’Arma, alla Legione Allievi, in via Legnano. Il Duce venne alloggiato in un ufficio improvvisato a camera. Era quello del Colonnello Dino Tabellini, fino a pochi giorni prima Comandante della Legione Allievi e ora Capo di Stato Maggiore del Comando Generale (aveva sostituito il Col. Barengo, morto il 19 luglio con Comandante Generale Hazon sotto il bombardamento di San Lorenzo). Mussolini fu visitato dal Maggiore medico Santilli il quale lo trovò «molto pallido, con lo sguardo morto che di tanto in tanto diventava fisso e avvilito per la dilatazione palpebrale».

L’operazione era terminata. 

Per tutta la giornata del 25 luglio venne mantenuto uno strettissimo riserbo su quanto accaduto; solo alle 22:45 fu data la notizia della sostituzione del capo del governo. Sulle prime pagine del 26 luglio 1943 il “Corriere della Sera” e “La Stampa” riportavano solo le dimissioni di Mussolini. Nessun giornale sapeva, però, che fine avesse fatto il duce. L’intera giornata del 26 sarebbe trascorsa senza avvenimenti di rilievo. Solo la mattina di martedì 27 la stampa diede la notizia che il gran consiglio, nella notte tra il 24 e il 25, aveva votato l’ordine del giorno Grandi con la conseguente assunzione dei poteri da parte del re. La notizia dell’arresto del duce sarebbe stata nota solo successivamente.

Era stata un’operazione molto pericolosa, condotta perfettamente dai tre Ufficiali, che avevano affrontato la grave responsabilità di arrestare l’uomo che aveva segnato il destino degli italiani nei vent’anni precedenti. Con loro tre, vi era un numero ristretto di fidati sottufficiali e carabinieri, che, fedeli pedine di una rischiosissima operazione, avevano dato una piena ed efficace collaborazione. Non dimentichiamo, poi, che due protagonisti di quell’arresto, il Ten. Col. Frignani e il Cap. Aversa, furono fucilati dai nazisti pochi mesi dopo, il 24 marzo 1944, alle Fosse Ardeatine.

Quel pomeriggio del 25 luglio i Carabinieri giocarono un ruolo determinante per le sorti della Nazione, adempiendo, senza alcun indugio e con istituzionale fermezza, alla missione loro affidata. 

I Carabinieri furono i protagonisti nei momenti dell’arresto, ma anche nelle settimane successive: dalla traduzione nelle diverse località di detenzione, alla custodia e alla vigilanza di Mussolini. Furono momenti molto delicati e pericolosi, che saranno oggetto di un mio prossimo articolo, perché i nazisti cercarono dappertutto Mussolini. 

Come avrebbero poi raccontato nelle sue memorie Albert Speer, ministro degli armamenti del reichnon c’era gran rapporto in cui il Führer non chiedesse che fosse fatto tutto il possibile per ritrovare l’amico disperso. Diceva di essere oppresso giorno e notte dall'angoscia".