x

x

Fascismo: il Tribunale speciale per la difesa dello Stato

Fascismo
Fascismo

Fascismo: il Tribunale speciale per la difesa dello Stato

Il Ministro Rocco e gli altri tecnici si posero da subito il problema di individuare l’organo che avrebbe avuto competenza a decidere per i fatti commessi contro il regime

[Tratto da Repressione - Storia della giustizia fascista]
 

Perché un tribunale speciale?

Se il regime aveva tra i vari obiettivi quello di cancellare ogni forma di indipendenza degli organi dello Stato, perché costituire un tribunale speciale e non invece servirsi della magistratura ordinaria dopo averla addomesticata?

Il Ministro Rocco e gli altri tecnici si posero da subito il problema di individuare l’organo che avrebbe avuto competenza a decidere per i fatti commessi contro il regime, ripiegando su varie soluzioni.

La prima proposta fu quella di affidare la competenza alle Corti di Assise territoriali, ma spogliate della cosiddetta giuria popolare. Quest’ultima figura, di natura prettamente libera e quindi non apprezzata dal regime, si riteneva fosse inopportuna nei giudizi dei reati contro la sicurezza dello Stato, nel timore che desse luogo a decisioni di “clemenza”, contraria quindi al rigore che si prefiggeva il nuovo tribunale.

La seconda proposta era del tutto simile a quella appena vista, con la differenza che il tribunale sarebbe stato uno soltanto per tutto il territorio nazionale, probabilmente per evitare che le singole situazioni territoriali potessero influire, sempre in termini di clemenza, sulle decisioni dei giudici.

Si ipotizzò quindi una sezione speciale della Corte di Cassazione, ridefinita Gran Corte di Giustizia penale, competente per l’intero Regno e più facilmente controllabile.

Tale che fosse una sede unica o una pluralità, la realizzazione del tribunale si scontrò con le resistenze della magistratura ordinaria, che voleva evitare di trasformarsi nell’organo chiamato a giudicare in nome del regime fascista.

Ciò non deve però trarre in errore. Non vi era da parte della magistratura ordinaria, o almeno in parte di essa, la volontà di non piegarsi a Mussolini.

Del resto la stessa magistratura italiana aveva già dimostrato nel processo contro gli aguzzini di Giacomo Matteotti di esser accondiscendente al regime. In quell’occasione, per evitare che il processo potesse scaldare gli animi degli antifascisti, acconsentirono a spostarlo da Roma a Chieti, perché considerata una delle città più fascistizzate, ed anche perché definita “città-camomilla”, per non essersi registrati tumulti recenti. Ma non solo. Il Pubblico Ministero durante la requisitoria rimarcò il suo credo in Mussolini e nel fascismo, denigrando la figura di Matteotti. Il processo si concluse con pene talmente basse da sembrare ridicole.

La ragione più plausibile stette nella difesa del suo status quo, evitando di collaborare attivamente con la nuova direzione politica che lo Stato aveva assunto, almeno per il momento, come vedremo.

Va anche detto che lo stesso Mussolini non si fidava della magistratura, temendo che questa non fosse sotto il suo controllo. Del resto è ben noto che il dittatore diffidasse di qualsiasi cosa, e mai avrebbe accettato di vedere le sue leggi applicate da un organo non fascista. Nelle sue memorie Dino Grandi diceva che Mussolini “amava fare molte leggi ma si sentiva superiore ad esse” (Dino Grandi, La fine del regime p.50). Un altro motivo per cui il duce non si fidava della magistratura, certamente più per rancori personali che per altro, va individuato circa un decennio prima, quando da socialista massimalista fu arrestato il 14 ottobre 1911 in piazza a Forlì, dopo esser stato riconosciuto dalle forze dell’ordine per aver preso parte ad una violenta manifestazione del 24 settembre precedente, che aveva creato forti disordini. Fu condannato per istigazione a delinquere a un anno di reclusione, poi riformata in cinque mesi dalla Corte d’appello di Bologna.

La soluzione quindi che riuscì ad accontentare tutti fu quella di un tribunale speciale con forte carattere di eccezionalità, tanto che la durata era di un quinquennio prorogabile (cosa che avvenne sino al suo scioglimento). Tuttavia la creazione di un organo speciale era incompatibile con lo Statuto Alberino, ancora formalmente in vigore, laddove all’art. 71 stabiliva che “Niuno può essere distolto dai suoi Giudici naturali. Non potranno perciò essere creati Tribunali o Commissioni straordinarie”.

Di questo divieto il Governo e il Re, che di quello Statuto ne era il garante, non se ne preoccuparono molto, sostenendo che la composizione del Tribunale aveva al suo interno personalità di tale spicco e levatura tali da non pregiudicarne l’indipendenza dallo Stato.

Questo il passaggio del dibattito di approvazione della Legge n. 2008, tenutosi nell’aula del senato il 20 novembre 1926:

ROCCO: “Non può né deve preoccupare il fatto che siano chiamati a farne parte ufficiali della

M.V.S.N. (Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale) di grado elevato. La Milizia, signori senatori, non è, come si afferma ripetendo una vecchia accusa, una milizia di parte, è una delle forze armate dello Stato, e, sempre, da che esiste, si è come tale comportata (Approvazioni). Ma nessuna difficoltà può esservi ad accogliere il voto dell’Ufficio centrale, che per maggior garanzia, siano chiamati a far parte del Tribunale speciale consoli, che abbiano rivestito nel Regio esercito o nella Regia marina, grado di ufficiale superiore, o che siano forniti di laurea in legge”.

Visto il carattere di eccezionalità che il Tribunale speciale doveva assumere, era inevitabile che la scelta del rito ricadesse sull’applicazione del codice penale militare sulla procedura di guerra. Il carattere paramilitare del tribunale si poteva ben scorgere dalle parole utilizzate dal duce durante l’intervento del 3 gennaio 1925: il regime si sentiva in guerra contro gli oppositori.

Prima di analizzare come in concreto si svolgeva un procedimento, occorre soffermarsi sulla struttura del Tribunale.

La legge n. 2008 prevedeva che questo organo fosse costituito da un presidente scelto tra gli ufficiali della marina, dell’aeronautica e della Milizia. I restanti cinque giudici erano scelti tra la sola Milizia. Solamente il relatore era scelto tra la magistratura militare, ma non poteva aver diritto di voto. Compente per la composizione del tribunale era il Ministero della guerra.

Per quanto invece riguarda la magistratura requirente, la legge 2008 prevedeva che la pubblica accusa era rappresentata da un Pubblico Ministero scelto tra gli ufficiali dell’esercito, della marina, dell’aeronautica o della Milizia, e veniva nominato con decreto del Ministro per la guerra.

Quindi un tribunale costituito, sia per i giudicanti che per gli accusatori, da personalità del tutto prive di competenza tecnica nell’amministrare la giustizia, nominate per soli meriti politici, con la sola eccezione del relatore che però non aveva voce in capitolo nelle decisioni.

Non a caso è tristemente noto il collegamento diretto tra il presidente di turno del tribunale con Mussolini stesso, il quale impartiva ordini sulla severità di ogni decisione.

Per offrire una possibile valutazione sul Tribunale speciale occorre analizzare il suo rito, in tutto il suo iter.

A questo va aggiunto che esser sottoposti a procedimento avanti il Tribunale speciale era cosa assai facile. Le notizie di reato arrivavano prevalentemente dall’OVRA, ossia la polizia politica che il Regime utilizzava per tener monitorati coloro che andavano considerati “pericolosi” e “sovversivi”. Ma non solo. Oltre alla polizia del regime erano frequenti i casi di denunce anonime o segnalazioni, spesso prive di fondamento ma solamente allo scopo di far fuori un avversario politico o anche solo per risentimento.

Del resto i reati ipotizzabili, come abbiamo visto nel precedente capitolo, erano assai facilmente contestabili. Anche solamente un semplice commento contro il duce, una barzelletta, una esclamazione, potevano costituire motivo di mandato di cattura.

[Tratto da Repressione - Storia della giustizia fascista]