Attilio Boldoni: un eroico sottotenente
Il 13 novembre 1921, cento anni fa, nasceva a Napoli il Generale Attilio Boldoni, un Ufficiale dei Carabinieri, che, appena ventenne e in pochi mesi, si distinse in due intrepide attività, tanto essere decorato, in vita con due Medaglie d’Argento al Valor Militare.
Nel centenario della nascita, è doveroso ricordare i fatti eroici avvenuti nei primi anni ‘40, che motivarono le due Medaglie d’Argento al V.M. concesse all’allora Sottotenente Attilio Boldoni. Già davanti alle prime difficoltà della vita, aveva dimostrato tutte quelle qualità morali, che avrebbero poi contraddistinto l’Uomo e l’Ufficiale. Questi avrebbe concluso la sua prestigiosa carriera, ricoprendo – nel biennio 1983-85 – l’incarico di Vice Comandante Generale dell’Arma, all’epoca la più alta carica per un Carabiniere in servizio.
Ricordando oggi quelle esperienze, che lo hanno visto protagonista di alcune pagine di Storia, come la campagna italiana in Russia o l’occupazione tedesca di Roma, emergono, in modo chiaro, anche al lettore del terzo millennio, quei Valori che hanno costituito la sua cifra morale e che costituiscono, ancora oggi, un Esempio da seguire.
Dopo il diploma alla Scuola Militare di Napoli, la Nunziatella, concludeva in anticipo il periodo formativo all’Accademia Militare di Modena e alla Scuola Centrale Carabinieri di Firenze, a causa dello scoppio della seconda guerra mondiale.
Poco dopo aver compiuto vent’anni, il 19 aprile 1942 il Sottotenente Boldoni era destinato a comandare la 66^ Sezione motorizzata Carabinieri mobilitata addetta al C.S.I.R. (Corpo di Spedizione Italiana in Russia), inquadrata nella 52ª Divisione fanteria “Torino”. Dopo meno di un anno, al termine della campagna in Russia, solo 900 degli 11.000 effettivi della Divisione “Torino” sarebbero ritornati: meno del 10%!
Gravissime furono le perdite anche per la 66a Sezione Carabinieri, comandata dal Sottotenente Boldoni: alla partenza contava 68 uomini: in quei mesi in Russia, 3 furono i caduti e 49 i dispersi. Solo 16 militari dell’Arma sarebbero ritornati, tutti feriti, compreso il giovanissimo Comandante, che rimase congelato e ferito permanentemente ad un piede.
Furono mesi di combattimenti in condizioni proibitive per gli Italiani, che affrontarono l’inverno russo a temperature anche di –40°, dimostrando continui slanci di puro eroismo, nonostante le privazioni e le ferite.
La motivazione della Medaglia d’Argento al Valor Militare del Sottotenente Attilio Boldoni sintetizza mirabilmente il valore dell’Ufficiale: “Comandante di Sezione Carabinieri motorizzata, addetta ad una Divisione di Fanteria in numerose circostanze dava prova costante di serenità d’animo, di coraggio e sprezzo del pericolo. Essendo la sua divisione accerchiata da preponderante nemico, riusciva a portare a compimento sotto intenso fuoco nemico, compiti di collegamento e delicata azione di retroguardia. Per rompere la linea nemica, guidava all’assalto in collaborazione coi Fanti i propri Carabinieri contro un caposaldo nemico che conquistava dopo aspra lotta catturando numerose armi e prigionieri. Benché ferito da scheggia e duramente provato da congelamento al piede, con temperatura proibitiva, tra continui bombardamenti aerei e terrestri percorreva centinaia di Km. a piedi guidando i Carabinieri superstiti tre dei quali gravemente feriti venivano portati in salvo nelle nostre linee su di una slitta da lui stesso trainata. Mirabile esempio di altruismo e di ardimento. Proposka - Arbusow - Tochurkow (fronte russo), 19 dicembre 1942 - 17 gennaio 1943”.
Ripercorrendo i fatti, chi legge può certamente comprendere quei valori eterni, che portano, ancora oggi, un ventenne nato cent’anni fa ad essere un Esempio per le future generazioni. Iniziamo col sottolineare come la “serenità d’animo”, nonostante la ferita e il congelamento di un piede, e la “determinazione”, in quei momenti tragici quando tutti sono presi dalla disperazione, sono qualità che chiunque abbia una responsabilità deve oggi apprezzare come modello. Passiamo, poi, alle modalità con cui si sono raggiunti gli obiettivi operativi: la guida diretta “dei propri Carabinieri”, mai delegata, in piena collaborazione con i “Fanti” lo portava “contro un caposaldo nemico che conquistava dopo aspra lotta”. Queste qualità militari sono un chiaro esempio di “leadership operativa” per tutti, oltre che di “capacità di team building” in momenti di crisi.
L’aspetto che, su tutti, rende il Sottotenente Boldoni ancora oggi un Esempio è la perfetta unione di “altruismo” e “ardimento” nel guidare la slitta, nonostante la ferita da scheggia e il congelamento al piede, con temperature siderali, tra i continui bombardamenti aerei e terresti. Appena ventenne, riesce così a salvare il suo superiore gravemente malato (il Capitano Enrico Fazzi), un collaboratore ferito da schegge e congelato (l’Appuntato Nazzareno Palmieri) e un terzo militare, del quale non conosce il nome (così sublimando il suo altruismo incondizionato, secondo quei valori che aveva appreso dal ricordo del Milite Ignoto).
Rientrato, ferito, in Italia nel febbraio 1943, il Sottotenente Attilio Boldoni, dopo un ricovero in ospedale di tre mesi, riusciva a ritornare in servizio il 3 maggio 1943. Era forte la voglia di essere al servizio dei cittadini nel giovane Ufficiale che, dal 1° luglio 1943, veniva trasferito a comandare la Tenenza di Roma Parioli. Avrebbe formalmente comandato quel reparto fino al 7 ottobre 1943. Infatti, non avrebbe mai immaginato che le sorti dell’Italia e dell’Arma a Roma lo avrebbero portato, dall’8 ottobre 1943 al 4 giugno 1944, a far parte della formazione partigiana “Banda Carabinieri Caruso”, diventando uno dei più giovani “Comandanti di Brigata”, nella Guerra di Liberazione.
Come noto, l’8 settembre 1943 il maresciallo Badoglio annunciava l’armistizio, ordinando che “ogni atto di ostilità contro le forze anglo-americane deve cessare da parte delle forze italiane in ogni luogo. Esse però reagiranno ad eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza”.
In ricordo di quel giorno così particolare, il Sottotenente Boldoni, anni dopo, avrebbe scritto: “Giunge 1’8 settembre e si accorge del vuoto che si crea. Chiede ordini e non ne riceve. Vuole fare qualche cosa di concreto ma è «una pulce in un deserto», mentre i mezzi corazzati germanici avanzano”. Il suo diretto superiore, il Capitano Raffaele Aversa (poi fucilato alle Fosse Ardeatine il 24 marzo 1944), diceva: “Siamo rimasti solo noi Carabinieri a fronteggiare gli eccessi dei tedeschi ai danni della popolazione che abbiamo il dovere di proteggere anche se non ci sono stati impartiti specifici ordini. Per questo, nessuno di noi, deve abbandonare il suo posto. Per me se ritengono ciò che ho fatto un delitto (riferendosi all’arresto di Mussolini, cui aveva partecipato, n.d.r.), mi arrestino e mi uccidano pure, ma io non solo non mi nascondo, ma debbo e voglio operare in uniforme. Ordino che tutti i dipendenti compiano il loro attuale dovere, a qualsiasi costo”.
Accanto agli italiani, in tutta Italia, erano rimasti solo i Carabinieri con le loro Stazioni, mentre il Paese andava a dividersi in due, con crescenti tensioni. Come analizzato nel primo articolo di questa rubrica “Esempi di Valore”, il 7 ottobre 1943 i nazisti avevano bloccato tutti i militari dell’Arma in servizio nella Capitale, prima di procedere al rastrellamento degli ebrei il 16 ottobre successivo.
Il Sottotenente Attilio Boldoni e tutti i militari della Tenenza Roma Parioli riuscirono a scappare prima dell’operazione dei tedeschi, poiché, nella tarda serata del 6 ottobre, il giovane Comandante era stato convocato per un rapporto all’indomani, alle 6 del mattino. Intuendo una possibile trappola, il Sottotenente Boldoni aveva preavvisato i suoi collaborati di non entrare in caserma se non lo avessero visto arrivare. Come loro, molti carabinieri erano riusciti a scappare ben prima che il rastrellamento fosse concluso. Questo avrebbe permesso a circa seimila militari dell’Arma di sfuggire alla cattura, disperdendosi.
La “Via dell’Onore” così definiva orgogliosamente la sua scelta il Generale Boldoni, che, dopo quarant’anni, avrebbe scritto: “Sceglie senza esitare ancora una volta la strada giusta: quella dell’Onore! Non rinnega il giuramento prestato e passa alla lotta clandestina. Sarebbe molto facile dirigersi verso Cassino e passare il fronte. Non si muove dalla Capitale ove sono insieme a lui centinaia di Carabinieri di tutti i gradi che chiedono ordini e disposizioni circa l’atteggiamento da assumere.”.
Il 7 ottobre 1943, il giovane Comandante della Tenenza dei Parioli inizia la vita in clandestinità, trasferendosi in una abitazione di viale Parioli n.102 dove viene ospitato da un anziano e generoso antifascista, col quale correrà gravi pericoli per lunghi mesi. Un provvido nascondiglio nel muro lo avrebbe salvato in caso di rastrellamento.
Assunto il nome di battaglia di “Attilio Bozzi”, per meglio operare e per fronteggiare la situazione economica, non avendo più uno stipendio, riesce a trovare un nuovo lavoro all’annona (approvvigionamento e controllo dei generi alimentari) del mercato alle spalle di Porta Pia. Con una tessera da guardia giurata e con una fascia gialla e rossa, indossata nei momenti critici, “Attilio Bozzi” raggiungeva al mattino il posto di lavoro: controllava i generi, ma soprattutto riceveva molti militari che chiedevano ordini o aiuto.
Parallelamente organizzava rapidamente una agguerrita formazione alle dipendenze del Generale Filippo Caruso, il Capo del “Fronte clandestino di resistenza dei Carabinieri”, che profondeva quotidianamente ogni sforzo per unificare e armonizzare le attività dei tanti militari in clandestinità, avendo cura di rimarcare l’apoliticità dell’Arma nella lotta per la Libertà.
Per lui fondamentale, nel clima delle diverse passioni politiche presenti tra i partigiani romani, sarebbe stata la norma “della apoliticità assoluta: i Carabinieri sono soldati della Legge al servizio della Patria; hanno il compito specifico della tutela delle persone e degli averi e quello di fare osservare le Leggi e le disposizioni emanate dell’Autorità legittimamente costituita”.
I Carabinieri, sempre più organizzati nella lotta clandestina, iniziavano azioni più incisive contro i nazisti, in vari settori. Roma veniva divisa in sei zone, corrispondenti a sei Nuclei Carabinieri: la 3^ Zona “Piazza Bologna” fu affidata al Sottotenente Boldoni che diventava così, appena ventiduenne, il più giovane Comandante di Nucleo Carabinieri, tra i sei effettivi nella Capitale.
Il 23 gennaio 1944, la Gestapo arrestava il suo Comandante di Gruppo, il Tenente Colonnello Frignani, il suo Comandante di Compagnia, il citato Capitano Aversa, nonché il Maggiore de Carolis, che era il Capo di Stato Maggiore di tutta la Banda Caruso. Furono tutti fucilati alle Fosse Ardeatine a circa due chilometri da Porta San Sebastiano il 24 marzo 1944, quando, in circa 5 ore, venivano uccisi 335 italiani con un colpo d’arma da fuoco alla nuca. Tra loro vi erano anche 12 Carabinieri che erano prigionieri nel carcere di via Tasso. Erano militari che il nostro giovane protagonista ben conosceva. Era stato un colpo tremendo. Sarebbe stata una ferita sempre aperta per tutti gli italiani.
Solo il 4 giugno 1944 Roma veniva finalmente liberata dagli alleati, con il fondamentale supporto di tanti partigiani, militari e civili.
Per il valoroso comportamento durante quei terribili mesi, veniva concessa (per la seconda volta in poco tempo) la Medaglia d’Argento al Valor Militare al Sottotenente dei Carabinieri Attilio Boldoni, con la seguente motivazione: “Coraggioso patriota, subito dopo l’occupazione delle caserme dell’Arma in Roma da parte della polizia nazifascista, faceva rifulgere le sue doti di entusiasmo e sprezzo del pericolo nel riorganizzare un rilevante numero di militari dell’Arma, da lui stesso fatti allontanare dai rispettivi comandi, creandone un agguerrito reparto che operava efficacemente nel fronte della resistenza. Per lunghi mesi, con l’esempio e con l’azione, trasfondeva nei propri uomini, che armava e sovvenzionava, la sua fede e il suo spirito combattivo, portando a termine, tra continui rischi personali, numerosi ed importanti missioni operative. Pur sapendosi attivamente ricercato dalla polizia nemica, continuava imperterrito la sua pericolosa attività animato, in ogni circostanza, da elevato amor di patria ed assoluta dedizione alla causa nazionale. Roma, ottobre 1943 - giugno 1944”.
Dopo quasi quarant’anni dalla fine della Seconda guerra mondiale, il 2 giugno 1984, il Presidente della Repubblica Sandro Pertini, un ex leader partigiano, concedeva alla Bandiera della Benemerita la terza Medaglia d’Oro al Valor Militare, con la seguente motivazione: «Dopo l’armistizio dell’otto settembre 1943, in uno dei periodi più travagliati della storia d’Italia, in Patria e oltre confine, i Carabinieri frazionati nell’azione ma uniti nella fedeltà alle gloriose tradizioni militari dell’Arma, dispiegarono sia isolati, sia nelle formazioni del Corpo Volontari della Libertà e nelle unità operanti delle Forze Armate eminenti virtù di combattenti, di sacrificio e di fulgido valore, attestate da 2735 caduti, 6521 feriti, oltre 5000 deportati. Le ingenti perdite e le 723 ricompense al valor militare affidano alla storia della prima arma dell’Esercito la testimonianza dell’insigne contributo di così eletta schiera di Carabinieri alla Guerra di Liberazione, tramandandola a imperituro ricordo. Zona di operazioni, 8 settembre 1943 - 25 aprile 1945».
Per uno strano gioco del destino, nel 1984, il più alto in grado dei Carabinieri in servizio, il Vice Comandante Generale dell’Arma dei Carabinieri, era il Generale di Divisione Attilio Boldoni, che era stato tra i più giovani protagonisti di quella gloriosa pagina di Storia dell’Arma e della nostra Italia.
Guardando al futuro, il Generale Boldoni scriveva: “Dopo di noi? Dopo non il silenzio dell’anonimato, ma ci auguriamo altri con gli stessi sentimenti di fede, di onestà e di laboriosità per insegnare ancora a chi verrà e dopo ancora che il destino e la storia si possono anche mutare quando si ha la statura del protagonista che sente di dover contribuire nolente o volente ad avvenimenti che verranno poi ricordati nel tempo”.
All’attento lettore di quest’articolo, richiamo le conclusioni di un suo scritto inedito, di cui sto curando la prossima pubblicazione: “A chi ci segue (…) diciamo: «Uomo semplice ed onesto onora con il lavoro e con il sacrificio un nome degno. Ama Iddio, la Patria e la Famiglia e se qualche volta sei incerto fermati un istante per voltarti indietro a rimirare il passato, per continuare ad andare avanti sulla strada giusta, sulla via maestra!».