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La deportazione dei carabinieri romani

Deportazione
Deportazione
Deportazione Carabinieri

Dopo l’8 settembre 1943, l’esercito tedesco riuscì ad occupare Roma. In particolare, nel pomeriggio del 10 settembre, a Frascati, venne firmato l’atto di resa della Capitale, riconosciuta dai tedeschi “città aperta”, come già dichiarato unilateralmente da Badoglio il 14 agosto precedente.

L’occupazione tedesca di “Roma Città Aperta”, pur risparmiando (da parte tedesca) il patrimonio storico e architettonico della Capitale, sarebbe stata durissima per la popolazione.

Subito il Generale Heinrich Himmler ordinò al colonnello delle SS Herbert Kappler, capo delle forze di occupazione nazista a Roma, di catturare e deportare gli ebrei romani, come era purtroppo già avvenuto in altre città europee.

L’operazione, che si sarebbe concretizzata con il rastrellamento del Ghetto ebraico nella zona del Portico di Ottavia, venne inizialmente prevista per il 25 settembre 1943. Questa data fu però subito posticipata, per un motivo semplice: occorreva prima neutralizzare i Carabinieri! Infatti, dopo aver arrestato Mussolini il 25 luglio 1943 su ordine del re, i militari dell’Arma avevano dimostrato in concreto la loro storica fedeltà al sovrano, e non al fascismo. I tedeschi, poi, proprio alcuni giorni prima, avevano visto i Carabinieri combattere a fianco dei rivoltosi, nelle famose “quattro giornate di Napoli” (27-30 settembre 1943). Per questo, si doveva evitare che i Carabinieri combattessero contro i tedeschi nella Capitale, come avvenuto a Napoli.

Era logico desumere una particolare familiarità dei Carabinieri con la popolazione anche a Roma. Si pensi che, proprio in quei giorni, il Capitano Raffaele Aversa, uno degli ufficiali che avevano arrestato il duce, poi fucilato alle Fosse Ardeatine il 24 marzo 1944, aveva detto ai suoi uomini: “Siamo rimasti solo noi Carabinieri a fronteggiare gli eccessi dei tedeschi ai danni della popolazione che abbiamo il dovere di proteggere anche se non ci sono stati impartiti specifici ordini. Per questo, nessuno di noi deve abbandonare il suo posto. Per me (riferendosi all’arresto di Mussolini, cui aveva partecipato con il capitano Vigneri, n.d.r.) se ritengono ciò che ho fatto un delitto, mi arrestino e mi uccidano pure, ma io non solo non mi nascondo, ma debbo e voglio operare in uniforme. Ordino che tutti i dipendenti compiano il loro attuale dovere, a qualsiasi costo”.

Dalla successiva lettura degli archivi americani e dai messaggi riguardanti il traffico telegrafico tedesco, è emersa, in modo chiaro, la volontà del colonnello delle SS Herbert Kappler di bloccare prima i Carabinieri, per poi procedere alla deportazione degli ebrei romani. I nazisti consideravano l’Arma dei Carabinieri “inaffidabile” per quanto dimostrato nei mesi precedenti. Poiché svolgevano, unitamente alla PAI (Polizia dell’Africa Italiana), funzioni di ordine pubblico, erano certi che i Carabinieri avrebbero sabotato l’operazione, simulando una finta collaborazione.

Conseguentemente, l’ordine di rastrellamento del Ghetto ebraico, datato 25 settembre 1943, venne differito al 16 ottobre: occorreva che fossero preventivamente neutralizzati i militari in servizio nelle Stazioni Carabinieri della città, per evitare che l’Arma ostacolasse i tedeschi nel rastrellamento degli ebrei.

Con la direttiva avente protocollo n. 269 ris. pers, datata 6 ottobre 1943, il Ministro della Difesa Nazionale, Maresciallo d’Italia Rodolfo Graziani, ordinò, entro la notte stessa, il disarmo dei Carabinieri Reali in servizio alle Stazioni della Capitale (con l’immediata sostituzione da parte della P.A.I.) e la contestuale consegna in caserma dei medesimi, sotto custodia della P.A.I.; in particolare gli ufficiali dovevano essere trattenuti «nei rispettivi alloggi sotto pena, in caso di disobbedienza, di esecuzione sommaria e di arresto delle rispettive famiglie». Anche le unità naziste avevano ricevuto le disposizioni di competenza in gran segreto il 6 ottobre.

Fu così che all’alba del 7 ottobre 1943, paracadutisti tedeschi e SS circondarono le caserme dell’Arma dei Carabinieri di Roma, bloccandone all’interno tutti i militari che, ignari, furono subito disarmati (le armi ritirate furono consegnate al Comando germanico a Castro Pretorio). Come previsto nell’ordine del Maresciallo Graziani, alle 8 del mattino del 7 ottobre, nessun militare dell’Arma avrebbe dovuto fare servizio in Roma.

Molti Carabinieri riuscirono a scappare ben prima che l’operazione di rastrellamento fosse conclusa. Altri, impegnati in pattuglie a favore delle popolazioni, non avevano avuto la possibilità di sottrarsi all’accerchiamento, ma erano riusciti ad allertarne molti e ad allontanarli prima che le caserme fossero occupate dalle truppe germaniche.

Furono catturati oltre 2 mila Carabinieri in servizio nella Capitale, forse fino a 2.500, come riportano proprio i registri tedeschi (il numero è incerto dal momento che i nazisti bruciarono tutti gli archivi delle caserme dell’Arma occupate). I militari italiani furono rinchiusi, per tutta la notte, nelle caserme più grandi, sotto la custodia dei paracadutisti tedeschi che avevano l’ordine di far fuoco contro chiunque tentasse di evadere.

I Carabinieri furono tenuti prigionieri nelle caserme Pastrengo, Podgora, Acqua, Lamarmora (tuttora in uso all’Arma quali sedi rispettivamente del Comando Generale, dell’Interregionale di Roma, della Legione Carabinieri Lazio e, in parte, del Tutela Patrimonio Culturale e dei Corazzieri) e in quella della Legione Allievi, all’epoca intitolata a Vittorio Emanuele II. Molti militari in forza alle Stazioni riuscirono fortunatamente a dileguarsi, spesso portando con sé il proprio armamento, grazie a tempestive segnalazioni di amici dei Carabinieri che, pur consapevoli dei rischi che correvano, in molti casi li aiutarono a trovare un momentaneo nascondiglio.

Il giorno dopo, l’8 ottobre, i militari trattenuti vennero avviati, con trenta autocarri tedeschi, alle stazioni ferroviarie Ostiense e Trastevere e fatti salire su treni merci diretti a Nord, con la falsa notizia – fatta circolare ad arte per tranquillizzarli – che sarebbero scesi a Fidenza per essere impiegati nei territori del Nord Italia. In realtà, tutti i Carabinieri, così catturati, furono deportati in campi di lavoro o di internamento in Austria e in Germania (all’epoca unite nel Terzo Reich nazista) o in Polonia, da dove oltre 600 non tornarono più e gli altri riuscirono a fare ritorno soltanto dopo molti mesi (due anni circa) di fatiche, sofferenze e stenti, non venendo nemmeno riconosciuti come prigionieri di guerra. Dell’avvenuto ricambio dell’Arma con la P.A.I. fu data formale assicurazione l’8 ottobre 1943.

Dopo aver eliminato la minaccia proveniente dall’Arma, otto giorni dopo, all’alba di sabato 16 ottobre 1943 i tedeschi rastrellavano il ghetto di Roma. Gli ebrei residenti a Roma erano certamente ben più dei 1200 che sarebbero stati bloccati quella mattina. In migliaia erano riusciti a mettersi al sicuro fuori dal ghetto ben prima del 16 ottobre, anche grazie ai Carabinieri che avevano rallentato il piano nazista di oltre due settimane.

L’Arma dei Carabinieri e la comunità ebraica a Roma avevano avuto una sorte simile. Il 7 ottobre 1943 venivano deportati oltre 2000 Carabinieri nei campi in Germania, Austria e Polonia: alcuni sarebbero stati uccisi, molti sarebbero morti di fame, malattia e maltrattamenti. Il 16 ottobre oltre 1200 ebrei venivano portati via treno – in grandissima parte (ben 1023) – direttamente ad Auschwitz, da dove solo in sedici (15 uomini e una donna) sarebbero usciti vivi.

Durante la guerra di liberazione, furono migliaia gli episodi di eroismo dei Carabinieri in tutta Italia, come nei vari fronti di guerra ancora aperti. A Roma, gli oltre seimila Carabinieri romani furono riuniti dal Generale Filippo Caruso nel “Fronte clandestino di resistenza dei Carabinieri.

Dopo quasi quarant’anni dalla fine della seconda guerra mondiale, il 2 giugno 1984, il Presidente della Repubblica Sandro Pertini, un ex leader partigiano, concedeva alla Bandiera della Benemerita la terza Medaglia d’Oro al Valor Militare, con la seguente motivazione:

«Dopo l’armistizio dell’otto settembre 1943, in uno dei periodi più travagliati della storia d’Italia, in Patria e oltre confine, i Carabinieri frazionati nell’azione ma uniti nella fedeltà alle gloriose tradizioni militari dell’Arma, dispiegarono sia isolati, sia nelle formazioni del Corpo Volontari della Libertà e nelle unità operanti delle Forze Armate eminenti virtù di combattenti, di sacrificio e di fulgido valore, attestate da 2735 caduti, 6521 feriti, oltre 5000 deportati. Le ingenti perdite e le 723 ricompense al valor militare affidano alla storia della prima arma dell’Esercito la testimonianza dell’insigne contributo di così eletta schiera di Carabinieri alla Guerra di Liberazione, tramandandola a imperituro ricordo. Zona di operazioni, 8 settembre 1943 - 25 aprile 1945».

La terza Medaglia d’Oro al Valor Militare fu così concessa alla Bandiera di Guerra dell’Arma dei Carabinieri che venne nascosta, proprio in quei drammatici giorni, negli scantinati del Museo Storico dell’Arma per non farla finire in mani nemiche. Fu poi restituita, all’atto della Liberazione di Roma, alla ricostituita Legione Allievi, dove da allora, sostituita nel 1947 da quella repubblicana, continua ad essere gelosamente custodita.