Il seme della rosa
Il seme della rosa
“Prima della nascita, l’anima di ciascuno di noi sceglie un’immagine, un disegno che poi vivremo sulla terra, e riceve un compagno che ci guidi quassù, un daimon, che è unico e tipico nostro. Tuttavia, nel venire al mondo, dimentichiamo tutto questo e crediamo di essere venuti vuoti. È il daimon che ricorda il contenuto della nostra immagine, gli elementi del disegno prescelto, è lui dunque il portatore del nostro destino”
Platone, Repubblica, X
Quella sarebbe stata l’ultima commissione della mattinata, ma era così stanca che a stento si reggeva in piedi. Avrebbe ritirato la torta e le pizzette, perché quello era il compleanno di sua figlia e voleva solo che lei fosse davvero felice. Era da qualche anno che procedeva così, ma Margherita non voleva fermarsi a guardare, anche se covava un freddo spietato dentro di sé e una solitudine impensabile.
Si sentiva in dovere di essere perfetta per gestire tutto al meglio, andava sopra i suoi sensi, oltre la sua coscienza, lontano da sé. Doveva accontentare tutti, quanto sarebbe valso quel sacrificio? Non voleva chiederselo con troppa convinzione, pena la scoperta di una frattura insanabile.
La panettiera la guardò intuendo qualcosa e Margherita pensò che a volte tra donne ci si capisse davvero: “Vai tranquilla, ci penso io…” Possibile che si trovasse a elemosinare cura dagli sconosciuti? Le briciole le sembravano ricchi doni.
Abbandonata la schiena sulla parete colorata del negozio, aspettò che preparasse i vassoi e le permise di aiutarla a caricare tutto in auto.
Una volta salita non partì, ma, con le mani sul volante, rimase seduta e ferma a fissare il vuoto. Era quella la vita per lei? Non lo era e lo sapeva bene, tamponava tutto con illusioni vaghe, con distrazioni lecite e letture che le avrebbero permesso di vestire la realtà con abiti dorati.
Proprio all’apice dei suoi pensieri, un soffio le bagnò le labbra: “Cuore mio, cuore mio, che cosa devo fare?”
Si sentì smarrita. Per la prima volta comprendeva di non essere in grado di proseguire senza amore. Quanti segnali aveva trascurato, quanto poco credito aveva dato a tutti quegli avvisi che le arrivavano da tutte le parti? Si arrabbiava per un nonnulla, non sorrideva quasi mai, non cantava più e ogni azione le sembrava un macigno, aveva perso il gusto, la passione e il desiderio di fare le cose.
Zittì con forza i pensieri e si osservò; agiva meccanicamente da troppo tempo e ora qualcosa in lei si stava ribellando e le chiedeva di fermarsi. Si ricordò di quella lettura che aveva fatto al liceo tanti anni prima; si trattava di un pezzo dell’Apologia in cui Socrate parlava del suo daimon, del segnale divino che era solito ascoltare e che lo avvisava chiaramente quando stava per agire in modo errato, una specie di oracolo interiore che non suggeriva a Socrate cosa fare, ma che cosa non fare. Forse anche lei aveva un daimon che la stava ammonendo, forse addirittura bloccando perché aveva smesso di ascoltarsi da quasi 16 anni, cercando di condurre la nave in un porto inesistente.
Ora che era esausta per l’ennesima volta e non aveva più difese, ora che il bisogno di amore la sovrastava, il suo daimon aveva rialzato il capo e aveva cominciato a gridare lì in quella macchina, ferma al parcheggio, con la torta e le pizzette nel bagagliaio. Troppo a lungo era rimasta sorda e cieca al suo richiamo.
Si sentì di colpo rinvigorita, che cosa le impediva di intraprendere la sua strada? Niente, niente era davvero di impedimento se non lei stessa.
Guidò verso casa, avrebbe preparato la festa per la sua piccola e poi avrebbe lasciato tutto così, in disordine, si sarebbe concentrata solo su quel che le importava davvero, avrebbe giocato con lei rotolandosi sul tappeto, avrebbero cantato insieme e non avrebbe rinunciato alla torta. Non era in grado di fare una grande rivoluzione, non ne aveva la forza, ma passo passo si sarebbe affidata a quella voce segreta, fregandosene del giudizio di tutti, coltivando il suo spirito libero come si coltiva un seme di rosa chiamato a diventare una rosa