Covid: perché i russi non si vaccinano

Covid e Russia
Covid e Russia

Nelle ultime settimane, le strade del centro di Mosca sono diventate un luogo paradossale, quasi degno di un racconto di Gogol’ se non fosse per la drammaticità del contrasto. Sui (pochissimi) tavolini vista strada rimasti all’esterno dei caffè, alcuni clienti sorseggiano con disinvoltura una tazza di čaj (tè). A pochi metri di distanza, sulla larghissima carreggiata, la quiete è interrotta ormai con frequenza dal rumore delle sirene in avvicinamento. Sono le stesse sirene (o quasi) che emanavano dalle ambulanze sfreccianti sulle deserte strade italiane durante il primo lockdown di inizio 2020. Sirene che evocavano, come le loro omonime odisseiche, una sensazione di morte e di angoscia in chi le ascoltava.

Mentre l’Italia e l’Europa occidentale tornano lentamente – e con circospezione, vedasi la recente risalita dei casi – alla cosiddetta normalità, in Russia la pandemia fa addirittura più paura rispetto a un anno fa. Non passa giorno senza che il record assoluto di morti venga battuto; circa 40.000 russi contraggono il Covid-19 quotidianamente, e poco più di 1.200 perdono la lotta contro il virus[1]. Un numero di decessi che fino a pochi mesi fa veniva raggiunto in un periodo di 3-4 giorni. Da una settimana, bastano 24 ore.

Il paradosso, tuttavia, non è solo quello della vicinanza tra la vita dei caffè e la lotta contro la morte nelle ambulanze. Si ricorderà che proprio la Russia era riuscita ad arrivare prima di tutti a un vaccino anti-Covid, l’ormai celebre Sputnik-V, inizialmente somministrato in due dosi ma più tardi affiancato da un monodose omonimo (Sputnik Light). Sebbene nessuno dei due abbia finora ricevuto l’approvazione di OMS ed EMA, scientificamente i prodotti sembrano effettivamente conferire un’immunità duratura ai vaccinati, e non mancano certo le dosi: il Cremlino ha dato priorità al mercato interno prima di esportare le dosi in eccesso ai Paesi esteri (la distribuzione verso quest’ultimi procede infatti assai a rilento rispetto agli iniziali proclami).

I vaccini ci sono, sono efficaci, e il Governo potrebbe prima o poi introdurre un equivalente soft del “green pass” all’italiana quantomeno in città come Mosca e San Pietroburgo, dopo che nemmeno quasi due settimane di “vacanze lunghe” (ossia di lockdown) in tutto il Paese tra fine ottobre e i primi di novembre sono servite ad attenuare significativamente l’ondata. Eppure i vaccinati con doppia dose (o monodose) in Russia sono solo 50,4 milioniil 35% della popolazione. Il confronto con i vicini europei è impietoso: in Finlandia la copertura vaccinale è del 71,4%, mentre perfino qualche confinante asiatico fa meglio – ad esempio il Kazakistan di Toqaev, con il 41,3%, e la Mongolia di Khürelsükh, con il 65,4%. Va invece decisamente peggio in Ucraina (19,1%) e Bielorussia (24,4%)[2].

Sembra quasi che al progressivo avvicinarsi, politicamente e/o geograficamente, alla nazione prima inter pares dell’ex URSS consegua un altrettanto progressivo aumento statistico dei non vaccinati. Secondo FOM, circa il 47% dei russi è contrario alla vaccinazione obbligatoria (curiosamente, lo stesso numero si dice invece a favore[3]), specialmente quando l’unico siero iniettabile è quello “fatto in casa”, il campione nazionale Sputnik. Mentre il Cremlino accusa le agenzie sanitarie occidentali di non voler approvare lo Sputnik per beghe da guerra fredda, nel Paese eurasiatico non sono in pochi a dubitare sullo Sputnik e sui suoi effetti. Quasi sempre trattasi invero di normali reazioni da vaccino, non dissimili da quelle registrate in Europa e negli Stati Uniti. Tuttavia, proprio la circostanza che lo Sputnik V non abbia (ancora) “piena dignità” nel consesso dei vaccini mondiali infonde scetticismo nella popolazione, e presta il fianco ai no-vax russi.

La questione assume però anche sfumature di storia sociologica: uno dei retaggi del passato sovietico è infatti una diffusa diffidenza nei confronti delle istituzioni[4] – facendo spesso sì che un leader popolare abbia sostanzialmente mano libera nel modificare l’assetto istituzionale a propria discrezione (come in parte avvenuto con El’cin e Putin).

Molto di ciò che proviene dal “palazzo” viene avvertito dall’uomo comune come una minaccia alla libertà individuale e come un tentativo della Mosca-Leviatano di disciplinare gradualmente ogni aspetto della vita dei cittadini.

Tra le cause dello scetticismo vaccinale, la più probabile è infine proprio la più immediata: la paura. Una paura che il Cremlino dovrà cercare di dissipare attraverso la divulgazione scientifica ed evitando che misure avvertite come draconiane possano minare ulteriormente una già flebile fiducia nelle istituzioni – rischiando di degenerare in un problema di ordine pubblico oltre che di economia.

 

[1] Per i dati aggiornati: “Coronavirus in Russia: the Latest News,” The Moscow Times, 12 novembre 2021, https://www.themoscowtimes.com/2021/11/12/coronavirus-in-russia-the-latest-news-nov-12-a69117

[2] “Coronavirus (COVID-19) Vaccinations,” Our World in Data, consultato il 12 novembre 2021, https://ourworldindata.org/covid-vaccinations

[3] Sergej Satanovskij e Aaron Tilton, “Coronavirus Vaccine: Why Are So Many Russians Skeptical of the COVID Shot?,” Deutsche Welle, 28 ottobre 2021, https://www.dw.com/en/coronavirus-vaccine-why-are-so-many-russians-skeptical-of-the-covid-shot/a-59644858

[4] Per una trattazione ben più approfondita: William Mishler e Richard Rose, “Trust, Distrust and Skepticism: Popular Evaluations of Civil and Political Institutions in Post-Communist Societies,” The Journal of Politics 59, n. 2 (1997): 418–51.