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Interpretazioni del nuovo contesto geopolitico formatosi con le minacce militari di ordine internazionale

Analizzare la Geopolitica e la sua carta è utile in quanto strumento di codificazione del mondo moderno e di lettura chiara in chiave presente e futura
Geopolitica
Geopolitica

Interpretazioni del nuovo contesto geopolitico formatosi con le minacce militari di ordine internazionale


Abstract

Analizzare la Geopolitica e la sua carta è utile in quanto strumento di codificazione del mondo moderno e di lettura chiara in chiave presente e futura; solo una attenta analisi dei conflitti di potere in spazi determinati stabilisce il contesto geopolitico e tutti i fenomeni che intercorrono fra la geografia fisica, i popoli e la politica, le azioni dei governi e le leggi praticabili.

Analysing geopolitics and its map is useful as an instrument of codification of the modern world and of clear reading in a present and future key; only a careful analysis of power conflicts in specific spaces establishes the geopolitical context and all the phenomena that exist between physical geography, peoples and politics, the actions of governments and practicable laws.


1. Introduzione

Il Termine Geopolitica, oggi usato in modo costante e frequente nel panorama sovranazionale, è stato per la prima volta coniato e introdotto nel linguaggio politico-geografico globale, dallo svedese R. Kjellén [1], per indicare quel complesso di problematiche politiche che traggono origine da fatti di ordine territoriale; in special modo quando si considera l’organo Stato come un organismo che trae origine, si evolve sviluppandosi e muore e, come tutti gli esseri viventi, necessita di uno spazio vitale.

Tale termine linguistico ebbe il suo splendore a cavallo delle due storiche guerre mondiali, nella geografia politica tedesca, da cui si creò una vera scuola di geopolitica, guidata da K. Haushofer [2] e raccolta attorno allo Zeitschrift fur Geopolitik.

Questa scuola, dopo aver enunciato alcune proposizioni teoretiche, indiscutibilmente apprezzabili, ebbe una involuzione tendenti a forme esasperate di determinismo e verso una azione di legittimazione della politica espansionistica e razziale del nazismo.

Ciò produsse un discredito della medesima geopolitica durato per lunghissimo tempo ed un ristagno degli studi ed interventi scientifici di geopolitica. A partire dal 1970 si è assistito a una “rinascita” della geopolitica, in modo del tutto peculiare nella forma di studi delle relazioni internazionali, fondate su rapporti di forza, per il controllo dello spazio e delle risorse.

Tutta la successione delle vicende della geopolitica ha reso complesso il dibattito sulla sua collocazione nei recinti della conoscenza. Si è tentato di identificarla con la geografia politica; ovvero si è cercato di assegnare alla geopolitica lo studio delle tendenze espansionistiche di Stati e nazioni, lasciando alla geografia politica la descrizione esplicativa delle situazioni fattuali in atto; in altri termini ancora si è ritenuto che la differenza – tra le due suddette – consista nella reale diversità dei ruoli, decisamente applicativo quello della geopolitica, speculativo quello esercitato dalla geografia politica.

La ripresa elaborativa e d’interesse scientifico per la geopolitica muove da una riconsiderazione in toto, soprattutto in Francia, negli Usa e in quella che prima si identificava come Unione Sovietica, dei rapporti internazionali in chiave di lettura geografica.

In un certo qual senso, benché la geopolitica contemporanea abbia perso gran parte del corredo deterministico che ne caratterizzò l’origine e il primissimo sviluppo, il ritorno del “fascino conoscitivo”, non ha comportato una efficace rottura con la tradizione, ma piuttosto una riqualificante valutazione di taluni aspetti-elementi ossia quelli legati alle posizioni reciproche tra Stati e all’accessibilità alle comunicazioni, alle risorse, ai mercati, che le analisi di politica internazionale avevano immotivatamente ed insensatamente trascurato.

Il risveglio da questo torpore della geopolitica si è poi trasformato e ha subito una metamorfosi culturale, con una prolifica produzione di iniziative in campo editoriale [3].

Il “terreno” di applicazione di tutte le analisi tecniche geopolitiche si è esteso al massimo grado insieme al tradizionale ambito dei rapporti inter-statali e sovra statuali, per il quale il riferimento pieno e “obbligatorio” persiste nell’essere centrale lo Stato; sono messi in evidenza:

i problemi dei gruppi etnico-linguistici;

i temi concernenti la demografia e dello sviluppo umano ed umanitario con particolare riguardo ai flussi delle emigrazioni dei popoli e alla diffusione del benessere;

questioni inerenti all’allocazione delle risorse;

la problematica gestionale delle forme di regionalizzazione amministrativa ed economica;

l’esame degli spostamenti delle materie prime, informative, capitali;

l’analisi della competizione per le risorse naturali;

le politiche per l’ambiente.

Se concettualmente il campo di azione si è sensibilmente esteso, l’ipotesi che porta avanti la geopolitica come “compito attivo” di analisi della realtà contemporanea è di fondo, quella prasseologica che dalla disposizione dei fenomeni nello spazio derivi almeno una buona parte degli atteggiamenti politici e che, quindi, in base allo studio analitico di quella disposizione sia possibile interpretare gli eventi verificatesi e prefigurare i prossimi scenari.

Tale insita capacità ha allargato la popolarità della stessa geopolitica e la metodica di argomentazioni della stessa, nella stampa “informante”, portando conferma sulla validità dell’opinione che vuole che la geopolitica si indirizzi sempre dei contesti spaziali delle opzioni e scelte politiche, e quindi, si configuri come una concreata attività di ricerca sulle forme di potere piuttosto che di ricerca delle componenti geografiche nell’ambito delle quali il potere si diffonde.


2. Novellata conformazione strategica della Nato

Sul piano storico, si osserva che, a partire dal 1949, la firma del Trattato del Nord Atlantico non rappresentò un passaggio di politica “scontata” o predeterminata a priori.

A distanza di molti anni oramai, quando sembra che la maggior parte degli addetti – a vario titolo e competenza – alle relazioni internazionali è nata e cresciuta in un macrocosmo dove la NATO è una realtà da lungo tempo consistente e consolidata, tuttavia, si potrebbe essere indotti a sostenerlo senza dubbi od ombre.

In verità, postumo la Seconda guerra mondiale negli Stati Uniti, storicamente potenza leader e maggiore contributore dell’Alleanza, l’amministrazione Truman si trovò di fronte a un’opinione pubblica in larga parte ostruzionistica verso l’assunzione di impegni permanenti assunti al di fuori del framework delle Nazioni Unite. Si ideò, pertanto, il fine solutorio di descrivere la NATO come un’alleanza differente dal complesso di quelle del passato «sia nella carta, che nello spirito».

Come spiegato dall’allora ambasciatore all’ONU Warren Austin, la sua istituzione avveniva proprio in piena coerenza con la Carta delle Nazioni Unite. L’obiettivo ultimo che la NATO perseguiva, di fatto, non era quello di proteggere ad ogni costo lo status quo come tale, ma quello di rendere opposizione all’uso della forza manu militari per ottenere stravolgimenti politici nel panorama internazionale. Tale approccio configurava l’Alleanza come portata essenziale non contro la minaccia eventuale eseguita da uno Stato singolo e singolare, ma contro l’aggressione quale mezzo di politica estera in generale.

La NATO, in altre parole, era presentata come «un’alleanza contro la guerra stessa».

L’idea che la NATO perseguisse, soprattutto, la salvaguardia di principi e dei valori anche umani, piuttosto che obiettivi strategici, è servita da sempre per soddisfare l’esigenza di Washington di rappresentare le relazioni internazionali diversamente da come gli americani accusavano gli europei di seguire.

La condizione reale si è rivelata invece diversa. Non si spiegherebbero, in modo diverso, le molteplici crisi che l’Alleanza ha dovuto affrontare – e risolvere con segni positivi – ogni qualvolta si è verificato un mutamento non nello “spirito del tempo” ma nel contesto politico-strategico in cui è chiamata a operare [4].

La NATO, si può affermare, ha superato indenne la “crisi di tutte le e fra tutte le crisi” ovvero la scomparsa del nemico sovietico (vedi nota supra). Quest’ultimo aveva costituito per mezzo secolo il minimo comun denominatore – tanto che per i suoi primi tre decenni una vera e propria “comunità di genere atlantica” faticò a concretizzarsi in modo solido – alla base dello stare insieme per Paesi la cui competizione aveva precedentemente causato alcuni dei più sanguinosi conflitti della storia.

La medesima capacità di adattamento ha poi dimostrato quando lo scoppio di conflitti interetnici nelle aree immediatamente prossime ai territori garantiti dal Trattato hanno richiesto una prima estensione del suo raggio d’azione ex art. 5. Come avvenuto poi di seguito nella seconda trasformazione, imposta dalla lunga scia di sangue e morte che il fenomeno jihadista ha lasciato dietro di sé tanto negli Stati Uniti quanto in Europa.

Di fronte a tali sfide storiche e sorti esistenziali, la NATO ha dato segnale non solo riaffermando il suo preciso e fermo impegno – la difesa collettiva – che aveva tanto efficacemente adempiuto durante la Guerra fredda, ma assumendosi progressivamente due nuovi e altrettanto “impegnativi” impegni – la gestione delle crisi e la sicurezza cooperativa.

Per comprendere la “forza” delle sfide che attendono l’Alleanza Atlantica da qui al 2030, bisogna guardare la realtà senza assecondare scritti storici auto dichiarativi e giustificativi.

La relativa stabilità dell’ordine sorto al termine del triennio 1989-1991, lo strapotere degli Stati Uniti e dei suoi alleati e la lunga assenza di sfidanti sistemici allo status quo internazionale hanno costituito un ambiente favorevole per l’adattamento – comunque affatto scontato – della NATO alle trasformazioni intercorse tra gli anni Novanta e gli anni Duemila.

Il fallimento politico della Freedom agenda, la grande recessione economica del 2007-2013, il gap e i confini della fine delle missioni in Iraq e Afghanistan, l’emergere di nuove tecnologie e dimensioni operative di cui il mondo occidentale non è monopolista nonché la postura sempre più manifestamente revisionista assunta dalla Repubblica Popolare Cinese e dalla Federazione Russa, al contrario, rappresentano solo pochi e semplici rispetto i molti indicatori della crisi che ha investito l’ordine internazionale liberale nell’ultimo decennio.

In una visione contemporanea, l’Alleanza Atlantica è “appellata” a fare due scelte non “banali”, come avvenne nella fase che precedette la sua fondazione. Da un lato, quella di ribadire con fermezza la volontà degli alleati non tanto e non solo di restare insieme, ma di farlo con convinzione e soprattutto con la volontà di preservare la centralità della NATO nel sistema internazionale contemporaneo. Dall’altro, quella di individuare strumenti e politiche efficaci – così come avvenuto ai tempi del confronto con l’URSS – ai fini della sicurezza dei suoi Paesi membri e, più in generale, della tenuta dell’ordine internazionale.

Esse costituiranno potenzialmente il core business del moderno Concetto strategico, la cui formazione ed informazione pura rappresenta l’orizzonte a cui guarda il presente approfondimento per l’Osservatorio di Politica Internazionale del Parlamento.


3. Il tentativo espansionistico della NATO come uno dei moventi della guerra in Ucraina

L’attuale conflitto che vede coinvolto lo Stato ucraino evidenzia una forte contestazione di tutto l’ordine europeo, e dunque, una crisi in un certo qual modo globale del post guerra fredda.

Il proposito di Putin appare chiaro nei punti e scopi come negli effetti propri di un programma revisionista dell’intera architettura organizzativa, di sicurezza ed economica e come affronto diretto alla contraddittoria potenza unita costruita nell’Europa a partire dal 1991.

La NATO-centralità che mostra un unico dominus come guida decisionale di tutte le decisioni, individuato negli USA, definita dal presidente russo come unica minaccia e come stato egotico umiliante, ingiusto e di turbativa per la Russia ed i suoi legittimi interessi di sicurezza [5]; chiara l’avversità di Putin ad un mondo uni centrale ed unipolare sul comando della sicurezza [6].

Chiara la visione negativa e non consenziente ad una situazione – che sussiste di fatto – dove sussiste un unico centro di autorità, di forza e di decisione che vedrebbe un unico padrone-sovrano, e gli altri stati che gravitano a suo servizio come vassalli.

Si tratta come viene definito da Del Pero di un iper-uso, quindi un abuso esasperato e critico eccessivo militaresco, quindi di forza manu militari, nelle relazioni internazionali per affermare i propri canoni di principio o ragione a tutto campo [7].

Il presidente russo nel suo intervento politico sostiene l’impraticabilità di scelte politiche autonome, denunciando in definitiva, l’unipolarismo e l’unilateralismo che esercita senza riconoscimento mondiale la NATO per il tramite dell’inglobamento e l’“ammanettamento” degli stati al suo potere e controllo rafforzato dalla sua espansione.

Questo sarebbe il giudizio ultimo, insindacabile, definitivo e non revocabile che ritiene l’allargamento NATO come una provocazione per la Russia e che va a giustificare le controreazioni della stessa financo con l’aggressione all’Ucraina. V’è anche chi sostiene che la mancata inclusione della Russia all’alleanza non è derivata da una opposizione di Washington all’ingresso russo, anche la storiografia si interroga su quelle “negatività” di ricerca ad un dato significativo utile per capire il tracimare dei rapporti sovranazionali.

Da qui, la ridda di interpretazioni storiografiche in corsa per capire l’effetto-motivo ed il tema centrale del determinismo solo militare e di esclusivo controllo territoriale di rivendica.

Di certo non esiste una univoca e rigida casualità che porta a delineare il perché di questi eventi bellici e di disumana intenzione su di un popolo esterno alla propria comunità civile, sarebbe sterile stilare un quadro di ipotesi o azioni ed effetti causalmente orientati, si può solo fare un tracciato di quanto logicamente appare non legittimo e non in armonia con il discorso dei diritti delle civiltà e dei popoli altri, primo fra tutti ad essere riconosciuti per una propria identità, cultura, valori e libertà.

Un popolo, qualunque esso sia e di qualunque etnia razza faccia parte non può essere oggetto di un dispotico potere né considerarsi un bene materiale che arricchisce un programma politico egemonico.

Non si può avere una visione geopolitica omnicomprensiva e solo strategica dei fatti in corso, un dato fattuale sensibile e degno di attenzione, è sicuramente il fatto che, sul finire dell’esistenza dell’Unione Sovietica, la stessa ebbe delle garanzie di conforto da parte delle forze tedesche e statunitensi che, la NATO, non si sarebbe espansa al di fuori dei confini delimitati della Germania riunificata; negli anni 90-91, il dibattito si incentrò esclusivamente sull’interdipendenza tra l’unificazione tedesca e l’Alleanza Atlantica, sotto l’amministrazione Bush che, nei suoi scambi con Mosca affermò nuovamente, una delle funzioni avute ab origine nell’Alleanza; ossia quella di incatenare la nuova e più forte Germania dentro un confine di sicurezza atlantica che ne avrebbe da ultimo trattenuto le ambizioni di superpotenza e piena ed assoluta autonomia. In successione di questa “coccola” di garanzia, e dopo l’implosione dell’Unione Sovietica, la visione dell’allargamento fu immersa sotto formalina per un biennio e ricominciò a riaffiorare nel 1993-94.

Questo contesto ci consegnò la Russia post-sovietica sempre predisposta ad accentrare il proprio ruolo e le proprie possibilità di attuare dell’altro o più di ogni nazione nel panorama internazionale sia politico che militare.

Come viene evidenziato dal prof. Dal Pero, a partire dagli studi eseguiti da Radchenkon [8], la Russia postsovietica ritenne fattibile dar vita ad un rapporto selezionato e di privilegio e a struttura neobipolare con gli USA.

Come una special relationship [9] che negli anni settanta vi fu rapporto tra Mosca e Washington nella cogestione dell’ordine economico-militare e politico post-guerra fredda, nella collaborazione per la stabilità e sicurezza europea.

Una dichiarazione affrettata e pericolosa viste le risorse della Russia e lo scopo come sentimento di affermazione di superiorità tra le nazioni ed il contesto politico che si andava delineando negli USA.

Ci sono sempre state aperture verso la Russia ed il suo ingresso nella NATO; proprio gli Stati Uniti e Paesi europeo-occidentali si dimostrarono “amici” e consiglieri nel dire di non emarginare ed indebolire la Russia e chi si dimostrava di opinione liberale nel suo governo e per mantenere una distensione dialettica a tale scopo si istituirono delle scappatoie istituzionali un po’ imbellettate come la Partnership for peace del 1994 [10] con la quale si delinearono forme di consultazione e di cooperazione di comune impegno tra NATO e Paesi dell’ex blocco sovietico compresa la Russia; fallimentare tentativo che portò già nel 95 la Russia ad avanzare richieste individuali e di spessore egemonico.


4. Utopica idea di dialettica Russia-Nato

L’irrealistica visione di un rapporto cooperativo ed ingresso della Russia alla Nato, era già palpabile nel corso degli anni novanta ed è andato crescendo con faglie profonde nell’ottica e struttura contemporanea.

In primis, la Nato né ora né allora poteva e può essere minaccia, in quanto è netto il divario di vantaggio strategico e qualitativo dell’arsenale militare della Russia, seconda istanza: l’Alleanza atlantica, è una struttura militare e difensiva federata da un leader egemone quale gli Stati Uniti; nell’evoluzione storica e fattuale è pressoché impossibile alterare o destrutturare lo stato concreto dei rapporti di forza nel suo interno.

Con un atteggiamento inizialmente vittimistico, Putin ha cavalcato l’onda antiatlantica per poter prima riaffermare la forza interna con la sua rielezione e poi scavalcare ogni istanza esterna o rispetto di cooperazione pacifica per affermare la forza Russa all’esterno con la forza militare verso l’Ucraina, che appare evidente ora sia il capro espiatorio di una egemonia che si vuole affermare al di sopra della NATO.

Si è entrato in un vortice partito dall’espansione NATO che dalla sicurezza internazionale per tutti sta spazzando via la sicurezza stessa divorando la pace tra le nazioni.

Indubbio che dagli Stati Uniti per il tramite di Washington, si sostiene il pieno convincimento che solamente con l’estensione massima della NATO con assegnazione alla stessa unanime di competenze e funzioni novellate ed utili per le nazioni che ne fanno parte, si possa avere guarentigia di stabilità e pace contro ogni conflitto latente per questioni intranazionali di ordine economico-politico-militare e, abuso di potere delle norme internazionali.

L’espansione ad est della NATO da anni è usata come movente per giustificare le violazioni del diritto internazionale perpetrate dalla Russia, l’aggressività occidentale che si solleva come questione fulcro, è solo una versione sterile per gettare ombre sulla interpretazione logico-funzionale influenzata dalla propaganda dei diritti violati precedentemente accordati.


5. Verità reale sull’adesione alla NATO

Formalmente l’adesione alla NATO avviene in forma volontaria.

Quando uno stato si propone, gli stati membri dell’alleanza valutano la proposta e richiedono diversi standard da raggiungere, procedendo poi con una risoluzione di adesione che deve essere valutata all’unanimità.

Ciò non implica che la NATO nel corso del Novecento non abbia o non possa avere propri obiettivi espansionistici, anche se l’opportunità di aprirsi verso paesi soprattutto dell’est, è stata messa in discussione ed in dubbio da alcuni stati già membri effettivi, da politici ed esperti di politica internazionale.

Ad esempio, all’inizio degli anni Novanta tre stati che avevano fatto parte del Patto di Varsavia, ovvero, Polonia, Ungheria, e l’allora Cecoslovacchia, avviarono una collaborazione per chiedere il processo di integrazione nell’Unione Europea ed anche alla NATO. Ab origine, vi fu molta contrarietà poiché si pensava che il suddetto ingresso potesse complicare ulteriormente la situazione europea dopo la caduta dell’Unione Sovietica.

Successivamente si decise per un processo di allargamento che portò a comprendere i tre paesi nel 1999.

In fase di sfaldamento dell’ormai ex Unione Sovietica, la Russia tentò insieme alla Comunità degli stati indipendenti CSI, di proporre ed istituire un sistema volto alla collaborazione integrata sul piano economico. Tale programma non ebbe attenzione né seguito, per il diniego nell’approvazione di quei paesi che avevano riguadagnato la propria indipendenza e non accettavano il rischio di trovarsi una seconda volta dentro una organizzazione nella quale vi fosse una sola grande potenza intoccabile, la Russia, che concretamente poteva condizionare secondo le proprie ragioni ed interessi tutte le decisioni della CSI.

Le riserve sul partner più instabile ed ingerente dell’organizzazione, erano sostenute da diversi fattori, compresa la decisione della Russia di mantenere il diritto di intervento diretto negli stati della CSI, nel caso non fossero garantiti e tutelati i diritti delle popolazioni russe presenti nei loro territori – medesima motivazione utilizzata in seguito per invadere stati vicini compresa oggi l’invasione dell’Ucraina – Codesta condizione si pose come ostruzione all’integrazione auspicata con la nascita della Comunità degli stati indipendenti.

La seconda metà degli anni Novanta, vede alcuni paesi ex sovietici quali la Georgia, Ucraina, Uzbekistan, Arzebaigian e Moldavia si unirono in una organizzazione al fine di tutelare i personali interessi: GUUAM, in quell’iniziativa si intravide un palese tentativo di arginare le ingerenze impositive russe ed un segnale di ricerca di opzioni verso una apertura tendente ad occidente dove fondamentale interlocutore poteva essere solo la NATO.

Ad oggi, nonostante non sia scomparsa la GUUAM, non ha voce in capitolo su alcunché ora come allora, a causa del susseguirsi di governi prima vicinissimi alla Russia, oggi abbandonati dalla stessa, la quale si è adoperata solo per appoggiare governi predisposti a sottostare alla sua potenza e comando.


6. Note espansionistiche

L’allargamento della NATO ad est è stata la risultante di una concomitante ambizione dell’Occidente di espandere la propria sfera di controllo e ingerenza includendo, anche paesi noti per essere stati legati al blocco sovietico e della volontà di molti paesi di prendere le distanze e proteggersi dall’aggressività russa.

Un fattore che appare aver influito fortemente sul processo di vicinanza o allargamento come si voglia intendere, è stata la vigenza dell’art. 5 della NATO, “tormentone politico-giuridico ad oggi”.

L’articolo de quo, sancisce che ogni attacco ad uno stato membro debba essere considerato un attacco all’intera alleanza, e di conseguenza che ogni membro debba dare il proprio contributo nella difesa dall’attaccante.

Durante la Guerra fredda l’art. 5 fece da deterrente, poiché un attacco da parte sovietica ad uno degli stati membri anche tra i più deboli o minimi a livello spaziale avrebbe comportato una risposta degli Stati Uniti non morbida. Gli effetti deterrenti della previsione normativa suddetta, fu tale, che la NATO non invocò mai l’articolo suindicato sino al 2001, anno in cui fu discussa e decisa una decisione militare per gli attacchi sollevati dal terrorismo internazionale dell’11 settembre che videro coinvolti gli USA.

Tra gli stati che ardentemente aspirano ad entrare nella NATO si pongono la Bosnia, l’Erzegovina, la Georgia e l’Ucraina.

Quest’ultima ha presentato ufficiale domanda di adesione nel 2008, ed a partire da tale data ha sempre lavorato per il raggiungimento dei prerequisiti già richiesti che riguardano elementi di capacità militare e di politiche di difesa; la scorsa estate, durante un vertice NATO, i leader degli stati membri avevano confermato la volontà positiva di comprendere l’Ucraina – in posizione di pura forma – ma nessun paese NATO ha la vera intenzione di includere l’Ucraina in tempi ristretti all’interno dell’alleanza.

Con la fine dell’Unione Sovietica e con la Russia in piena crisi economica, si valutava il senso di mantenere un’alleanza fondata soprattutto per contrastare un potenziale nemico che di fatto non esisteva più, poiché trasformatosi in una entità diversa. Da qui, l’espansione NATO fu vista con un occhio più negativo e considerata rischiosa poiché, favoriva i partiti nazionalisti e critici dell’Occidente, che offre il fianco al propagandismo russo.

A confronto si chiamò anche la “neonata” Unione Europea, considerata soluzione ottima di compromesso, il suo ergersi sulle basi della Comunità europea e delle ulteriori iniziative di collaborazione nel continente, derivava di necessità dalle condizioni critiche economiche, senza segni implicanti di elementi militari. Poteva imminentemente divenire interlocutore fondamentale per gli USA, ma la scelta si incentrò su un mantenimento della NATO, nonostante l’elevato costo e alea di sorta.


7. Crimini internazionali

La Corte penale internazionale, d’ora in avanti Cpi, è un tribunale internazionale competente per crimini internazionali, avente sede in Olanda, istituito sotto l’egida dell’ONU che, interviene sui crimini come il genocidio, contro l’umanità e di guerra.

L’autorità giornalistica italiana – AGI – tramite uno dei rappresentanti dei giuristi ita e legal advisor della delegazione diplomatica italiana, dott. Ezechia Paolo Reale, ha chiarito che il tribunale menzionato non può agire in quanto la questione riguarda un membro permanente ONU, la Russia.

L’AGI spiega che l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia è configurabile come “un crimine di aggressione che consente alla Corte penale internazionale di procedere non contro una nazione ma contro il singolo responsabile di un Paese che ha dichiarato e portato guerra a un altro Paese, pianificando, preparando procedendo all’inizio dell’azione militare; Putin non può essere giudicato da detto tribunale”.

La Cpi, viene spiegato, è un tribunale per crimini internazionali con sede all’Aia, in Olanda, istituito sotto l’egida ONU, avente competenze, secondo quanto stabilito dallo statuto di Roma, sui crimini di genocidio, contro l’umanità, di guerra, su gravi violazioni delle Convenzioni di Ginevra, e solo dall’estate 2018, a seguito degli emendamenti di Kampala, sui crimini di aggressione.

Ne fanno parte 123 Paesi nel mondo, eccetto alcune superpotenze come USA, Russia e Cina, e solo in 43, tra cui Germania, Spagna e Italia che ha depositato lo scorso gennaio la sua ratifica, hanno aderito a riconoscere il crimine di aggressione, ma non lo hanno fatto nazioni europee di grande spessore quali la Francia e la Gran Bretagna.

Teoricamente parlando, dichiara Reale [11], l’Italia avrebbe gli strumenti per procedere contro Putin, in base agli artt. 7, 8 e 10 del Codice penale, che puniscono secondo la normativa nazionale interna, il cittadino o lo straniero che commetta reati in territorio estero, estendendo dunque la propria pretesa punitiva oltre i confini nazionali. Putin potrebbe essere tratto in arresto se vi fosse una richiesta del nostro ministro di Giustizia e se si trovasse in territorio italiano.

In teoria – sempre Reale – anche se lasciasse il proprio Paese, potrebbe rischiare l’arresto se la Cpi, che detiene tutti i poteri di un’autorità giudiziaria internazionale, avesse un mandato a procedere dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Il gap, sta nel fatto che, l’organismo non può agire in quanto la questione tocca un membro permanente, la Russia che ha il suo diritto di veto.

Ricordiamo che le decisioni del Consiglio di Sicurezza richiedono il voto positivo di 9 membri, ma basta il voto negativo di uno dei membri permanenti, per annullare in toto la decisione.

Ultimo punto e non ultimo in scala valoriale è che l’Ucraina, non figura tra le 123 nazioni che hanno aderito alla Corte penale internazionale ed in questi mesi ha solo chiesto e, non poteva far altro, aiuto ai Paesi dell’Alleanza Atlantica, potrebbe ratificare subito senza altre condizioni ratificare lo statuto pro domo suo.

***

[1] Considerato il padre della geopolitica, Dopo avere insegnato per alcuni anni geografia, divenne professore di scienza dello stato e statistica all’Università di Göteborg (1901-16) e poi a quella di Uppsala. È considerato l’ispiratore di Karl Haushofer e degli altri geopolitici tedeschi, che di fatto presero le mosse dalle idee espresse da Kjellén nei volumi Samtidens stormakter (Le grandi potenze di oggi, 1914) e Staten som lifsform (Lo Stato come forma di vita, 1916); quest’ultimo avrebbe dovuto costituire, nelle intenzioni dell’autore, la prima parte di una vasta opera di scienza politica fondata sulla concezione dello stato come ente giuridico e territoriale insieme, caratterizzato, al pari degli organismi biologici, da un ciclo vitale e da tendenze di sviluppo. [1] Fu deputato della Seconda Camera del Riksdag dal 1905 al 1908 e della Prima Camera dal 1911 al 1917.

[2] Karl Ernst Haushofer (Monaco di Baviera, 27 agosto 1869-Pähl, 13 marzo 1946[1]) è stato un generale, politologo, geografo e storico tedesco. È stato il principale ideatore del concetto di Lebensraum (spazio vitale), adottato poi da Adolf Hitler per motivare la strategia di espansione territoriale della Germania nazista.

[3] In Italia si segnala ad esempio, la nascita, nel 1993 della rivista Limes, articoli attinenti al ruolo e all’identità del nostro paese nel mondo. Ad es., il ritorno della geopolitica e le implicazioni in chiave italiana dell’instabilità dei Balcani. Da Limes n. 1-2/93 “La guerra in Europa”.

[4] In “Verso un nuovo Concetto strategico della NATO. Prospettive e interessi dell’Italia”; dicembre 2021, A cura di Gabriele Natalizia* e Lorenzo Termine** per il Centro Studi Geopolitica.info, in collaborazione con il Centro di Ricerca “Cooperazione con l’Eurasia, il Mediterraneo e l’Africa subsahariana (CEMAS)” di Sapienza Università di Roma.

[5] Mario del Pero: “L’allargamento della Nato e il suo legame con la guerra in Ucraina”; 21 marzo 2022, in Atlante a cura di Treccani geografica.

[6] Intervento di Putin alla conferenza di Monaco, febbraio 2007.

[7] Così M. Del Pero, professore associato in Storia e Istituzioni delle Americhe presso la facoltà di Scienze politiche di Forlì “Roberto Ruffilli”, e dell’Università di Bologna.

[8] K. Radchenko, studioso di indagine di politica estera russa.

[9] Rapporto privilegiato di interessi e di protezione.

[10] Politically exposed person o in abbreviazione PEP, di iniziativa statunitense, fu lanciata dal vertice della NATO, nel gennaio 1994, per stabilire forti legami tra la stessa NATO ed i nuovi partner democratici nell’ex blocco sovietico con alcuni paesi europei tradizionalmente neutrali per rafforzare la sicurezza europea. Citandone alcuni: l’Albania, l’Armenia, l’Austria, Azerbaigian, Estonia, Lettonia, Lituania etc., in tutto 27 paesi; vedi in: Partenariato NATO per la pace, scheda formativa del Bureau of European and Canadian affairs, Dipartimento USA, 19 giugno 1997.

[11] Cassazionista, nominato Segretario generale del Siracusa International Institute for Criminal Justice and Human Rights. Si tratta di una fondazione italiana che si occupa della formazione e ricerca nel campo della giustizia penale internazionale e dei diritti umani. Vedi: siracusainstitute.org; AGI 2022, in: cronaca news, www.agi.it.