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La famiglia d’oggi secondo alcuni sociologi

Famiglia
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Abstract

Uno sguardo attento sulla situazione attuale della famiglia nell’inestricabile mescolanza tra relazioni corporee e relazioni digitali.

 

La famiglia è sempre stata oggetto di studio delle scienze sociali tra cui, accanto al diritto, la sociologia.

Uno dei più attenti e attivi studiosi della famiglia è il sociologo Pierpaolo Donati che si è sempre interrogato sull’identità della famiglia parlando del suo “genoma sociale”, da cui si ricava che al di là di ogni mutamento o crisi la famiglia è caratterizzata da procreazione e procreatività da non intendersi solo nel senso fisico. È questo uno dei possibili significati dell’aggettivo “naturale” che compare nell’articolo 29 della Costituzione e nelle fonti internazionali. Nell’articolo 29 si leggono tra le righe pure gli altri elementi costitutivi della famiglia: un fondamento, la coesistenza di due persone uguali, per il diritto, ma foriere di differenze umane e da ciò consegue l’impegno per l’unità e la stabilità.

Donati si occupa della famiglia digitale o digitalizzata: “[…] Nei paesi tecnologicamente più avanzati, le indagini empiriche stanno sempre più mettendo in luce il fatto che la sfera delle informazioni (info-sfera) cambia radicalmente i modi in cui le persone percepiscono la realtà, elaborano fantasie, pensano e agiscono nelle loro relazioni sociali. Questa mutazione si accompagna al fatto che, mentre la modernità è ANTROPO-CENTRICA, ossia considera la persona come centro della scena quotidiana e considera le tecnologie essenzialmente come strumenti al suo servizio, con l’avvento delle ICT [Information and Communications Technology [tecnologie dell’informazione e della comunicazione], l’info-sfera si rivela ANTROPO-ECCENTRICA, ossia de-centra le persone nel senso che le tecnologie assumono una sempre maggiore autonomia e non sono più strumenti padroneggiabili dalle persone, ma in qualche modo le guidano e le usano. Dobbiamo verificare se, in che modo e misura questo avviene nelle famiglie. […] l’Italia si muove ancora abbastanza lentamente verso questo nuovo mondo. Siamo solo agli inizi di una nuova epoca storica, che non ha ancora un nome preciso, perché non possiamo definirla, anzi non sembra definibile in sé, proprio perché è strutturalmente e culturalmente aperta a tanti possibili esiti.

Le statistiche dell’Istat confermano che in Italia vi è una crescente diffusione e utilizzazione delle ICT, ma la consapevolezza a riguardo di ciò che esse implicano, vuoi nell’accesso vuoi nelle conseguenze, è molto deficitaria”. Si è passati da una visione “familo-centrica” a una “familo-eccentrica” sotto vari punti di vista e in questo, purtroppo, i mezzi tecnologici hanno dato un contributo non sempre positivo, a cominciare dalla televisione quando era diventata il nuovo “focolare domestico”. Con la differenza che, in passato, lo sguardo dei membri della famiglia era rivolto verso la stessa direzione e ogni tanto si commentava, ora, invece, lo sguardo di ognuno è preso dal piccolo schermo dei vari dispositivi elettronici e non ci si scambia neanche una parola.

Infatti, il sociologo bolognese aggiunge: “[…] Nella famiglia di oggi, il calore delle relazioni corporee, faccia-a-faccia, si mescola sempre più con le comunicazioni che avvengono con lo smartphone o attraverso Internet. I nuovi media sono certamente molto utili per le famiglie transnazionali e per i contatti fra chi va a risiedere lontano o emigra e chi è rimasto nei contesti di partenza. Un po’ diverso è il caso delle persone e delle famiglie stanziali che li usano nella loro vita ordinaria. In questo caso, le ICT assumono spesso il significato di un consumo, ossia di un sostituto di relazioni interpersonali, in atto o potenziali, e quale additivo di informazioni che altrimenti non ci sarebbero. In breve, occorre riflettere sulle diverse funzioni delle ICT, dato che possono essere strumenti che hanno il compito di tenere semplicemente collegate le persone oppure invece strumenti che modificano le relazioni umane e le identità familiari. Le due funzioni, e i loro flussi, interagiscono e si mescolano fra loro”.

I mezzi digitali devono essere un supporto e non un surrogato della relazione, un oggetto e non soggetto della comunicazione e, affinché l’uso non diventi un abuso (fino alla dipendenza), valgono ancor di più i doveri dei genitori verso i figli secondo gli articoli 147 e 315 bis del codice civile, in particolare l’assistenza morale.

Secondo Donati “[…] potrebbe venire un giorno in cui le identità familiari (a partire da quelle di padre, madre, figlio) potrebbero diventare più importanti delle identità nazionali, di appartenenza ad uno Stato-nazione, e quindi potrebbero attraversare i confini della cittadinanza statuale. Quel giorno, forse, una nuova alleanza fra le famiglie, attraverso generazioni “cosmopolitiche” (non nel senso astratto della modernità, ma della universalità contenuta in ogni appartenenza), potrebbe dare ai cittadini di tutto il mondo le capacità e la forza di creare azioni collettive in cui la famiglia, lungi dall’essere considerata un residuo culturale del passato, diventa il motivo e l’emblema di una società mondiale più solidaristica”.

La famiglia è storia, patrimonio, risorsa dell’umanità. È la base dell’ecosostenibilità, come si può ricavare da molti asserzioni dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile (Risoluzione adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 25 settembre 2015), tra cui: “Siamo determinati a promuovere società pacifiche, giuste ed inclusive che siano libere dalla paura e dalla violenza. Non ci può essere sviluppo sostenibile senza pace, né la pace senza sviluppo sostenibile”. E la prima società pacifica, “che fa la pace”, è (o dovrebbe essere così) e rimane la famiglia.

Il sociologo Francesco Belletti, in linea con Donati, afferma: “[…] emergono profonde differenziazioni tra le famiglie italiane, e una complessiva tendenza a mescolare i contatti diretti, faccia-a-faccia, lo stare insieme, con relazioni e connessioni allacciate tramite i vari media e strumenti digitali, in quello che potremmo definire un processo di “ibridazione delle relazioni familiari”. Sembra quindi superata la dualistica contrapposizione tra “mondo reale” e “virtuale”, e occorre invece comprendere quella che è una vera e propria nuova “realtà delle relazioni familiari”, ormai inestricabilmente mescolate di relazioni corporee, fisicamente tangibili in precise dimensioni di spazi e di tempi condivisi, e di connessioni e relazioni digitali”. Per salvare le relazioni familiari bisogna riconoscere lo stato di “ibridazione” purché e perché non si arrivi a quello di “ibernazione”; si rischia di passare dall’evolutiva e omeostatica “ristrutturazione” dell’assetto familiare alla totale e devastante “destrutturazione”.

I mezzi digitali possono essere anche utili per favorire le comunicazioni tra i genitori e figli nei casi di separazione/divorzio o residenze in Paesi diversi. L’uso dei mezzi digitali riguarda anche la sfera dell’ascolto (articolo 12 Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia) e quella dell’espressione (articolo 13 Convenzione): sono i genitori stessi che per mettere a tacere i figli sin da piccoli o per far provare loro nuove emozioni, li mettono sin dai primi mesi di vita davanti allo schermo di smartphone o di tablet. I genitori devono prestare molta attenzione a ciò perché possono essere compromesse la sfera giuridica e quella relazionale dei figli.

Allora Belletti suggerisce: “Il valore della dieta: per molti stili di vita, e anche per l’esposizione al mondo digitale, “un po’ di dieta fa sicuramente bene”. Avere spazi e tempi in cui si dice con forza “adesso no!” consente infatti di capire meglio il valore e la potenza di questi strumenti. Spegnere i cellulari quando si pranza o si cena insieme (o almeno non rispondere subito agli sms) è un piccolo sacrificio, che si può chiedere anche con decisione, perché consente di far capire che “si può vivere anche senza essere connessi al web”. Ma ovviamente questo tempo “non connesso” va riempito di comunicazione, di contenuti, di relazioni, di affetti. Deve essere più bello del videogioco…

E, soprattutto, se lo si chiede ai propri figli, devono essere i genitori per primi a lasciare il cellulare spento, con rigore e coerenza: perché l’educazione in famiglia è più una questione di occhi che una questione di orecchie: i figli imparano molto di  più da come vivono i genitori, da quello che fanno (e che i figli vedono), che non dalle parole (troppo spesso “prediche”) che vengono dette. E magari anche una giornata o un week end intero senza connessioni digitali potrebbe aiutare a riscoprire la bellezza dei contatti faccia-a-faccia o il valore di una gita in montagna, senza ricevere notifiche e senza obbligo di foto da postare”.

Nella vita familiare bisogna preventivare e organizzare un periodo di “dieta” (letteralmente “regola di vivere confacente alla salute”) per ritrovarsi e riprovare in base a quell’indirizzo della vita familiare secondo l’articolo 144 cod. civ. e per consentire crescita e benessere di tutti i suoi membri e in particolare dei fanciulli (dal Preambolo della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia).

Belletti auspica: “[…] le famiglie – e soprattutto i giovani che vogliono fare famiglia – hanno bisogno di una società in cui fare famiglia e avere figli siano dei valori forti, saldamente ed esplicitamente sostenuti, con interventi di lungo periodo e con modifiche strutturali e organiche degli interventi pubblici. […] Forse bisognerà ripensare al modo in cui tutta la politica tutta guarda alle famiglie, ai loro progetti, ai loro bisogni e ai loro sogni, e anche al modo in cui la famiglia guarda alla politica: facendosi sentire di più, facendosi vedere di più, dando ancora più voce pubblica ai propri bisogni. Solo così la famiglia entrerà nell’agenda del Paese”.

Etimologicamente “politica” è “l’arte del governare”, mentre “famiglia” è “complesso dei famuli”, cioè dei servitori, dei domestici e anche dei figli, quindi riguarda pure l’amministrare. Politica e famiglia non possono e non devono ignorarsi. Molte le indicazioni nei vari testi normativi, dalla Costituzione - il cui incipit dell’articolo 33 “La Repubblica riconosce i diritti della famiglia” è già eloquente - alla Carta di Nizza (2000), che all’articolo 33 recita: “È garantita la protezione della famiglia sul piano giuridico, economico e sociale”.

Belletti soggiunge che “[…] per modificare la natalità in Italia non basteranno politiche pubbliche e sostegni economici, anche se consistenti. Servirebbe soprattutto un deciso mutamento culturale, che riscopra l’importanza e la bellezza della vita e dei bambini, restituendo speranza e progetto ai giovani. E questo si può e si deve ricostruire nella trama educativa delle relazioni di ogni giorno, nell’atteggiamento degli imprenditori verso le madri in azienda, nell’offerta di servizi per l’infanzia, nei messaggi della pubblicità, nelle parole sui social network….”. La natalità in Italia va promossa e garantita, anche in ossequio ai dettami costituzionali, quali lo svolgimento della personalità (articolo 2 Cost.) e la rimozione degli ostacoli (articolo 3 Cost.).

Francesco Belletti ha ribadito altresì la “dimensione pubblica, socialmente rilevante della famiglia”, come si leggeva già in Cicerone che definiva la famiglia “principium urbis et quasi seminarium rei publicae”, cioè luogo generativo della vita pubblica e laboratorio di relazioni sociali, e dalla “trilogia” costituzionale, gli articoli 29, 30 e 31 della Costituzione italiana.  Non è connaturale, pertanto, quando una famiglia si chiude all’altro e agli altri per stare bene in se stessa e pur di stare bene con se stessa, come avviene spesso nel rapporto con le famiglie di origine (in particolare quella del padre), con la scuola, con altre famiglie.

La famiglia torni a essere generativa e generosa, fucina e fulcro di relazioni ed emozioni!