Democrazia, libertà, diritti: breve commento a un discorso del presidente della repubblica italiana
Democrazia, libertà, diritti: breve commento a un discorso del presidente della repubblica italiana
Premessa
La stampa ha dato ampio rilievo all'intervento del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, alla 50a edizione delle Settimane sociali dei cattolici italiani, tenutasi a Trieste dal 3 al 7 luglio 2024. .
Il Presidente, inaugurando i lavori dedicati al tema «Al cuore della democrazia», ha tenuto un Discorso di notevole rilievo sia politico sia giuridico, toccando argomenti di diffuso interesse e di grande attualità.
Le tesi sostenute in detto Discorso trovano spesso sostegno in dottrine, in autori e in commentatori della Costituzione repubblicana italiana. Talune in autori di indubbio (anche se di opinabile) rilievo.
Le opinioni espresse dai commentatori e dagli autori, richiamate da Sergio Mattarella, vanno attentamente considerate. Ciò non comporta il loro necessario accoglimento. Talune indicazioni, infatti, sono coerenti con le premesse delle teorie elaborate e/o sostenute dagli autori citati nel Discorso (e, ovviamente, condivise da Mattarella). Non sempre, però, le dottrine richiamate sono sostenibili in sé. Il richiamo a premesse discutibili in sé rende, a sua volta, discutibili anche le conclusioni da esse dedotte. Si deve osservare, infatti, che, per essere valida una conclusione, essa postula un fondamento sicuro e argomenti a suo favore incontrovertibili. Si potrebbe osservare, inoltre, che la stessa (ritenuta) opportunità di rifarsi a opinioni sia pure autorevoli dimostra che la lettura della Costituzione offerta dal Presidente è, a sua volta, un'opinione, non un fatto incontrovertibile; un'opinione autorevole, intendiamoci, ma soggetta a giudizio. In altre parole l'interpretazione della questione proposta dal Presidente della Repubblica è provvisoria, non definitiva. Essa è soggetta, quindi, ad osservazioni non solamente per essere adeguatamente compresa ma anche – e soprattutto – per essere (eventualmente) considerata valida.
Alcune osservazioni
Procediamo per gradi. Ci limiteremo a quattro osservazioni essenziali.
Prima osservazione. Osserviamo innanzitutto che ha ragione Mattarella quando afferma che la democrazia «non si esaurisce nelle sue norme di funzionamento, ferma restando, naturalmente, - osserva il Presidente – l’imprescindibilità della definizione e del rispetto delle “regole del gioco”». Mattarella cita a questo proposito Norberto Bobbio. Norberto Bobbio, però, sulla questione si contraddice. Egli, infatti, contrariamente alle logiche conseguenze della definizione di democrazia come regola del gioco[1], sostiene che la democrazia postula contenuti, non solamente procedure: l’eguaglianza e la libertà, anche per pensatori politici ipotecati dalle dottrine illuministiche (è il caso di Norberto Bobbio) sono «valori» che la democrazia è chiamata a rispettare; anzi, sono i suoi presupposti e le sue condizioni. La democrazia, quindi, non sta nelle regole del gioco, presuppone appunto … valori. I valori, però, sono soggetti a interpretazioni assai diverse. Quelli della democrazia, infatti, possono trovare fondamento ideologico (cosa che avviene anche in Bobbio) oppure un fondamento ontologico. Nel primo caso dipendono esclusivamente e insindacabilmente dall’opzione individuale o della maggioranza o da un’opzione collettiva, spesso chiamata «identità»[2]; nel secondo caso essi hanno un fondamento in re, vale a dire nell’ordine naturale delle «cose».
La democrazia moderna è essenzialmente ideologica. Essa pone, fra l’altro, – accenneremo alla questione fra poco – un problema che il Presidente Mattarella tocca nel suo Discorso, dando però incerte indicazioni per la sua soluzione.
L’insindacabilità dell’opzione contiene in nuce il totalitarismo, sia esso dello Stato (moderno) – lo teorizzò apertamente Rousseau[3] – sia esso quello della maggioranza che rivendica la legittimazione dell’uso del potere esclusivamente sulla base del consenso volontaristico. La democrazia moderna è, perciò, coerentemente (anche se talvolta resta tale a livello virtuale) totalitaria anche quando essa viene esercitata nel rispetto delle regole, ossia quando postula lo «Stato di diritto». Lo «Stato di diritto», infatti, non è quello Stato nel quale viene rispettato il diritto come determinazione della giustizia (Aristotele), bensì quello Stato nel quale nulla si può contro la legge ma tutto si può con la legge. La terminologia, equivoca, favorisce errori dalle conseguenze molto gravi. La legge, infatti, invocata come fonte del diritto (quella del cosiddetto «Stato di diritto») è la norma positiva, la quale trova la propria giustificazione nella pura volontà del detentore del potere di turno. Siamo, quindi, in presenza della teoria assolutamente giuspositivistica dell’ordinamento giuridico che ha «legittimato» e tuttora «legittima» autentiche iniquità. Si pensi, per fare solamente alcuni esempi, a diverse norme dell’ordinamento nazista, alle leggi razzali fasciste, alla legalizzazione dell’aborto procurato e persino dell’infanticidio come attualmente avviene soprattutto in alcuni Stati degli U. S. A., oppure all’aborto prescritto dallo Stato in presenza di norme che limitano la procreazione come avveniva in Cina e come tuttora avviene in quel Paese sia pure con un «allargamento» dei confini per quel che riguarda il numero dei figli.
Le parole hanno un peso, rectius un significato etimologico che non consente un loro uso ideologico. Ciò riguarda anche il termine «democrazia», che non può essere né ridotta a «regola del giuoco» né a regime della assoluta libertà (la cosiddetta «libertà negativa»), apertamente invocata dalla Rivoluzione francese e dai regimi che le sono seguiti soprattutto in Europa. Significativa, a questo proposito, è la dichiarazione del Portalis (il Presidente della Commissione per la redazione del Codice civile francese del 1804, detto di Napoleone), secondo il quale con la norma (positiva) si può distruggere la realtà e crearne una nuova[4], rectius – sarebbe stato più corretto dire – sostituire la realtà con l’effettività.
Seconda osservazione. Mattarella sostiene che è la pratica della democrazia «che la rende viva, concreta, trasparente». Non c’è dubbio che la prassi rivela la teoria sulla quale essa poggia. In altre parole la pratica è l’epifania del «pensiero», anche del «pensiero» scambiato (erroneamente) con le opinioni ideologiche. L’affermazione del Presidente ha, però, altro significato rispetto a questa osservazione di natura essenzialmente teoretica. Mattarella, infatti, sostiene che la tutela dei diritti fondamentali di libertà dà senso allo «Stato di diritto» e alla democrazia stessa. Legare, però, «Stato di diritto» e democrazia significa – ci sembra – accogliere dogmaticamente la «libertà negativa» come valore e, perciò, affermare (almeno implicitamente) che la democrazia non si dà senza la sovranità (intesa come supremazia, non quindi come semplice indipendenza), sia essa dello Stato sia essa quella individuale[5]. È quanto afferma l’art. 1 Cost. relativamente alla sovranità del popolo e quanto, sia pure subordinatamente alla sovranità dello Stato, consente l’art. 2 Cost. Della Costituzione Mattarella è il «custode». Pertanto il Presidente della Repubblica sostiene e difende, «doverosamente» rispetto all’ufficio ricoperto, una dottrina codificata nella Legge fondamentale della Repubblica italiana. Benché codificata questa dottrina è assurda. Il popolo sovrano (in realtà gli elettori e, ancora più realisticamente, la maggioranza degli elettori) è libero alla luce di questa teoria di volere quello che vuole e la sua volontà è considerata ragionevole, per alcuni addirittura razionale (stat pro ratione voluntas, insegnò il padre della democrazia moderna). Oggi viene ripetuto da più parti che il «popolo ha sempre ragione» e mai sbaglia.
Avrebbe ragione e mai sbaglierebbe anche quando conferma (con referendum) norme approvate dai suoi rappresentanti (divorzio, aborto procurato, etc.); avrebbe ragione allorché attraverso i suoi rappresentanti approva norme in sé antigiuridiche (unioni civili, parto in incognito, etc.); avrebbe ragione quando prescrive obbligatoriamente pratiche sul corpo degli individui, dagli individui non accettate o addirittura esplicitamente rifiutate (per esempio, alcune vaccinazioni), creando talvolta un «conflitto di norme» costituzionali[6] (l’art.1 Cost., annullerebbe i diritti riconosciuti all’art. 2 Cost.). Mattarella dovrebbe ricordare, a questo proposito, innanzitutto quanto da lui stesso affermato in occasione della pandemia da Covid-19. Dovrebbe ricordare, poi, quanto da lui offerto come esempio per persuadere i cittadini ad accettare alcune pratiche vaccinali sottoponendosi (sotto gli occhi delle telecamere) alla vaccinazione anti Covid-19. L’imposizione sembra contrastare – lo si è appena ricordato – sia con l’art. 2 Cost. (almeno secondo l’interpretazione datane dalla Corte costituzionale; interpretazione non condivisa – pare – almeno in parte da Mattarella)[7], sia con la teoria di Karl Popper dal Presidente apertamente invocata come criterio ermeneutico della democrazia (quella di Popper, però, - la cosa va tenuta presente - è una forma particolare di democrazia, non la democrazia in sé).
Anche Mattarella sembra seguire a questo proposito le orme di Popper. Per il Presidente della Repubblica, infatti, la libertà di tradizione liberale è sottratta alla disponibilità del contingente succedersi delle maggioranze. Il che significa che la «libertà negativa», ovvero il diritto all’assoluta autodeterminazione della volontà, è valore intangibile (salvo negarlo, poi, in alcune occasioni come è avvenuto per esempio in presenza della pandemia da Covid-19). Non solo. Ciò sta a significare che alla democrazia e alla libertà di tradizione liberale non ci sono (o non ci sarebbero) alternative. Nemmeno se volute dalla maggioranza del corpo elettorale, come dimostrano del resto orientamenti, raccomandazioni, prassi dell’Unione Europea (anch’essi, talvolta, caratterizzati da contraddizioni).
Terza osservazione. Mattarella accoglie la tesi del giurista Tosato che (a nostro avviso, solamente a parole) si oppose alla teoria di Rousseau, in particolare alla teoria del Ginevrino secondo la quale la volontà generale (quella del Corpo politico, ovvero dello Stato) non poteva trovare limiti di alcun genere nelle leggi. Tosato sostenne – e Mattarella lo segue – che la volontà popolare poteva cambiare qualunque norma o regola. Di fatto è così. È vero. Tosato non si accorse, però, di condividere la stessa teoria di Rousseau, sia pure «rovesciata». Non si avvide, cioè, che la sovranità è la stessa sia quando essa è esercitata dallo Stato sia quando essa è esercitata dal popolo (definizione ambigua, lasciata indeterminata[8]). In altre parole la sovranità è sempre assoluta, poiché, come affermò giustamente Bodin, sovrano è colui che dipende unicamente dal potere della propria spada. La sovranità implica l’abbandono del diritto, inteso come determinazione della giustizia. Essa rivendica il potere di «creare» il diritto attraverso le norme positive. La legge, così, sarebbe criterio del diritto, non sarebbe regolata dal diritto. Anche quando i diritti vengono definiti «fondamentali» dalla legge, in particolare dalla Costituzione, non sarebbero espressione di ciò che è giusto in sé, ma sarebbero posti come «giusti». In altre parole saremmo in presenza di un’assoluta convenzionalità dei diritti. La loro natura sarebbe inesistente sul piano ontico. Essi, infatti, troverebbero fondamento e consistenza nelle definizioni dei Parlamenti e delle Assemblee. Sarebbero soggetti alla contingente volontà di colui (o di coloro) che avrebbe (o avrebbero) il potere di legiferare o di coloro che hanno il potere di fatto di condizionare il legislatore (come avviene in maniera evidente, per esempio, applicando la diffusa teoria politologica della politica, nata negli U. S. A. e dagli U. S. A. esportata).
Risulta, quindi, quanto meno singolare il ricorso di Mattarella a Tosato nel tentativo di difendere una tesi indifendibile. Inoltre Mattarella nel Discorso di apertura della 50a Settimana sociale dei cattolici italiani invoca una tesi che egli stesso contraddice: quella secondo la quale la maggioranza non avrebbe poteri assoluti, cioè non sarebbe sovrana. Il che contrasta con la dottrina Tosato sulla sovranità popolare. Essa, infatti, può essere legittimamente sostenuta solamente negando la sovranità e riconoscendo il valore e la funzione del diritto naturale (classico).
Quarta osservazione. Il Presidente della Repubblica nel più volte citato Discorso afferma che: «una democrazia “della maggioranza” sarebbe per definizione una insanabile contraddizione per la confusione tra strumenti di governo e tutela della effettiva condizione di diritti e di libertà». Il problema è reale. Esso investe innanzitutto la questione del dissenso: fino a che punto la maggioranza può imporre regole alla minoranza? La legge è generale. La generalità della legge impone doveri, obblighi, sacrifici, regole anche a chi dissente (e anche a chi, non avendone la capacità, non può né acconsentire né dissentire come avviene per i minori e per gli incapaci). È legittima questa imposizione? Rousseau aveva cercato una soluzione al problema facendo ricorso a finzioni: l’uomo, per il pensatore ginevrino, è solo ed unicamente cittadino. Pertanto la sua volontà è e deve essere solamente quella dello Stato che è la condizione della di lui cittadinanza. La Corte costituzionale italiana, invece, ritiene sulla base della Costituzione repubblicana, che i convincimenti della persona (quelli che vengono chiamati «convincimenti di coscienza») abbiano un primato sulla volontà dello Stato: anche obblighi definiti inderogabili dalla Costituzione possono, così, essere disattesi per ragioni appunto di …coscienza (Sentenza Corte costituzionale n. 467/1991). Totalitarismo (quello rouseauiano) e anarchia (quella del personalismo contemporaneo) si rivelano, così, due aspetti della stessa medaglia, vale a dire due aspetti della sovranità.
Conclusione
Ci troviamo, quindi, tra Scilla e Cariddi, due pericoli diversi e due minacce reali, entrambe pericolose. Il problema non è risolvibile adottando (e ostinandosi a difendere) le teorie moderne della politica, ridotta a mero potere (coerentemente rispetto alla Weltanschauung politica protestante). È vero che la maggioranza non ha diritti sulla minoranza alla luce della dottrina della sovranità come supremazia. La maggioranza, tuttavia, alla luce di questa stessa dottrina è sovrana. Essa ha il potere di imporre di fatto la propria volontà a tutti. Non può rivendicare ciò come diritto, né dimostrarne la sua essenza e la sua esistenza. Il problema non è solamente politico in senso stretto. Investe anche altri settori della vita. Per esempio, è anche un problema educativo: la patria potestas non è diritto sovrano ma dovere di esercitare poteri da parte di chi la detiene secondo criteri non opinabili. Il suo esercizio, infatti, è regolato da criteri naturali dettati dal conseguimento del fine naturale del minore (o dell’incapace) e quindi dal bene oggettivo dello stesso. Mattarella, perciò, solleva un problema essenziale e molto delicato, il quale non può essere risolto invocando «limiti», confini invalicabili, distinzioni astratte proprie della dottrina liberale da tempo entrata in crisi[9]. La maggioranza non ha diritti propri come non ne ha la minoranza. Entrambe esercitano contingentemente ruoli diversi. Entrambe, però, nell’esercizio del ruolo proprio, devono rispettare il diritto come determinazione della giustizia. Non semplicemente, quindi, quello «posto», ma quello naturale invenibile in ogni rapporto naturale o contrattuale e, comunque, riguardante il trinomio ulpianeo: honeste vivere, alterum non laedere, suum quique tribuere. Non vanno, pertanto, rispettati diritti. Quello che va rispettato è il diritto, fonte di diritti. Alla luce della Weltanschauung di Mattarella sulla democrazia sembra che esistano, invece, soltanto diritti. Non il diritto. Si può discutere sull’interpretazione da dare ad alcune norme di Diritto pubblico riguardanti la minoranza e la maggioranza come è stato ampiamente fatto in passato[10] e come tuttora avviene da parte di molti giuristi. Questo, però, non è il problema essenziale della democrazia (anche se ha ovviamente rilievo), che richiede un ripensamento radicale del modo di concepirla attualmente diffuso per non finire nel vicolo cieco di tralaticie teorie accolte dogmaticamente.
[1] Fra le altre opere di Norberto Bobbio dedicate alla questione si veda N. BOBBIO, Il futuro della democrazia. Una difesa delle regole del gioco, Torino, Einaudi, 1984. L’opera ha avuto successivamente diverse riedizioni.
[2] L’identità è stata usata (e strumentalizzata) politicamente innanzitutto dalle dottrine nazionalistiche. Successivamente è stata ritenuta «fondativa» da parte delle dottrine (talvolta impropriamente) definite sovraniste. È stata, inoltre, proposta recentemente anche da autori (per esempio da Taylor) che ritengono che l’identità sociologica sia condizione necessaria e sufficiente per la giustificazione del vigente ordinamento giuridico. Per la questione si rinvia a D. CASTELLANO, La verità della politica, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2002, pp. 69-79.
[3] Per il pensiero politico di Rousseau si veda Del Contratto sociale o principi del diritto politico, in J. J. ROUSSEAU, Opere, a cura di Paolo Rossi, Firenze, Sansoni, 1972, pp. 278-345.
[4] J.-E.-M. PORTALIS, Relazione al Titolo preliminare del Code Civil, presentata al Corps Législatif il 4 del mese ventoso dell’anno XI della Rivoluzione francese (23 febbraio 1803).
[5] Usiamo il termine secondo il significato da esso assunto nel nostro tempo alla luce della diffusa rivendicazione del diritto all’autodeterminazione assoluta della propria volontà. Per la comprensione della questione si vedano due opere rilevanti: R. DI MARCO, Autodeterminazione e diritto, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2017 e AA.VV., La autodeterminación: problemas juridícos y políticos, a cura di Miguel Ayuso, Madrid. Marcial Pons, 2020.
[6] Sulla questione, trattata sotto diversi profili, si rinvia a D. CASTELLANO, Cronache biogiuridiche, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2022. Sulla controversa questione si è pronunciata anche la Corte costituzionale (Sentenza n. 14/2023, da noi recensita -cfr. “Osservatorio tre Bio” 14 marzo 2023 - ), innovando e, quindi, contraddicendo la sua precedente e costante giurisprudenza).
[7] Contrasta ad avviso di molti anche con l’art. 32 Cost.
[8] Utile per la comprensione dell’affermazione può risultare la lettura del Capitolo II del libro D. CASTELLANO, Politica. Parole chiave, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2019.
[9] Alla questione è stato recentemente dedicato un lavoro collettaneo. Cfr. AA. VV., Problemi e difficoltà del Costituzionalismo, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2023.
[10] Fra gli altri ne hanno discusso, esaminando la questione sotto profili diversi, Esposito, Crisafulli, Paladin. Degli autori citati sono particolarmente interessanti anche le riflessioni sulla democrazia che il rapporto maggioranza/minoranza impone di considerare attentamente.