La “drammatica” sorte dei senatori a vita
La “drammatica” sorte dei senatori a vita
Di recente, la maggioranza di governo ha ottenuto l'approvazione da parte del Senato del primo articolo del premierato elettivo, quello atto ad abrogare il potere del Presidente della Repubblica in termini di nomina dei senatori a vita. Come noto, l'art. 59, co. 1, Cost. sancisce che “il Presidente della Repubblica può nominare senatori a vita cinque cittadini che hanno illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario”. Nel corso del tempo, il vincolo numerico è stato oggetto di animati dibattiti dottrinali, inducendo le singole personalità ad interpretare la disposizione in senso ampio o restrittivo, a seconda dei casi.
È soprattutto la prima a trovare ampio apprezzamento, pur essendo tramontata: cinque è il numero di senatori a vita che ciascun Presidente della Repubblica può nominare nel corso del proprio mandato; ciò rende significativa, all'interno dell'Aula del Senato, la rappresentanza parlamentare dei membri non eletti dal popolo. Con la proposta di legge costituzionale, i fautori del “premierato all'italiana” reclamano “la soppressione di un istituto “giuridico-costituzionale” nato nell'ambito di una forma di governo assai diversa da quella attuale che, invece, affonda le sue radici nel principio della rappresentatività delle Assemblee parlamentari e nella responsabilità politica di ogni parlamentare che è e deve essere espressione di una scelta diretta del popolo”. Ai senatori di nomina presidenziale si accostano però coloro che lo diventano di diritto, una volta cessato il mandato presidenziale. È impossibile - nell'ottica dei propositori - “non rilevare come fortemente contraddittorio il fatto che colui che è stato, per obbligo costituzionale, super partes per sette anni, possa poi tornare nell'agone politico, svolgendo il ruolo di attore politico”.
La storica querelle sui senatori a vita - di per sé travagliata - induce chi scrive a compiere talune precisazioni in relazione a quanto esposto.
In primo luogo, la proposta di legge finisce per mettere in discussione la particolare oculatezza con cui il Capo dello Stato provvede alla nomina dei senatori a vita. In secondo luogo, è paradossale contestare l'inserimento del Presidente della Repubblica nel contesto politico al termine del settennato per poi riconoscere all’Esecutivo lo stesso potere di nomina, senza porsi il problema di poter creare malintesi, giacche dietro la scelta dei soggetti potrebbero celarsi interessi di natura squisitamente politica.
In definitiva, il rischio prospettato è tanto quello di indebolire la figura istituzionale per eccellenza, quanto quello di compromettere la peculiare autorevolezza di cui la stessa gode in virtù del dettato costituzionale.