“La diversità come valore”. Note sui discorsi d’odio omofobi in Svizzera

“La diversità come valore”. Note sui discorsi d’odio omofobi in Svizzera
Abstract [It]: il fenomeno dei discorsi d’odio omofobi, pur collocandosi tra le priorità di intervento dell’agenda europea, continua a ricevere un trattamento differenziato da parte dei singoli ordinamenti. Facendo leva sull’esperienza svizzera, il contributo pone in luce la repellente necessità di colmare il vuoto di tutela nel contesto nazionale, andando oltre il ricorso allo strumento penale, attestata la persistenza di consistenti barriere culturali.
Abstract [En]: the phenomenon of homophobic hate speech, although it is among the priorities for intervention on the European agenda, continues to receive differentiated treatment from individual jurisdictions. Drawing on the Swiss experience, the contribution highlights the repellent need to fill the protection gap in the national context, going beyond the use of criminal law, given the persistence of significant cultural barriers.
“La nostra capacità di raggiungere l'unità nella diversità sarà la bellezza e la sfida della nostra civiltà”
(Mahatma Gandhi)
1. Premessa
Il noto psicanalista francese Lacan sostiene che – contrariamente delle altre “passioni” dell’essere, amore e ignoranza – l’odio, nella sua dimensione “solida”, non prenda di mira l’avere, ma l’essere dell’Altro[1]. In particolare, sarebbe proprio quest’ultimo ad affermarsi e circolare nei tempi moderni «producendo segregazioni e soprattutto cancellazioni degli esseri parlanti»[2]. Il linguaggio può essere reputato come uno dei centri-chiave dell’odio.
Nel corso degli anni, due linee teoriche apparentemente distanti tra loro – la filosofia del linguaggio ordinario e la filosofia femminista, che lamentano una concezione tradizionale di linguaggio fin troppo astratta e riduttiva[3] – finiscono per convergere, dando corpo così ad un modo originale di concepire il linguaggio, visto nella sua dimensione performativa, come elemento di mutazione della società, efficace e potente strumento di oppressione, ma potenzialmente anche di emarginazione[4].
Rispetto a taluni concetti – “razzismo”, “sessismo”, “xenofobia” ed “omofobia – vi è un’unica certezza, la loro appartenenza alla categoria generale dell’odio, per almeno una delle seguenti ragioni: sono connessi a pratiche manifestanti chiara ostilità, avversione o mancanza di rispetto rivolti alle persone in relazione alla loro appartenenza a taluni gruppi minoritari, vessati, o storicamente e/o socialmente svantaggiati; sono associati a pratiche “odiose” nel senso di pericolose ed eticamente riprovate e/o riprovevoli; sono correlati a pratiche a loro volta fonte d’odio, infervorato in altri contro gli odiati e/o ritorto da costoro contro gli odianti o la società nel suo complesso[5]. Nel momento in cui i predetti fenomeni sono inquadrati nella loro dimensione comunicativo-espressiva, allora è prassi parlare di “discorsi d’odio” (“hate speech”).
Il presente lavoro, nel prendere le mosse da tali cenni, intende soffermarsi sui discorsi d’odio omofobi, attraverso l’analisi dell’esperienza svizzera, considerata significativa per via della riforma recentemente attuata, diretta a compiere un passo in avanti in termini di
protezione dell’orientamento sessuale, pur risultando comunque incompleta per il fatto di non contemplare il criterio dell’identità di genere. L’analisi del caso svizzero rappresenta un punto di partenza per giungere a rilevanti risultati anche nel contesto nazionale, ove si continua ad attestare l’inerzia del legislatore. Quel che manca è la presa di coscienza che il tema delle discriminazioni commesse a danno delle persone LGBT costituisca un chiaro indicatore di qualità del livello di civiltà culturale di una società dichiaratamente libera e pluralista – e dunque in perfetta linea con il dato costituzionale – nella quale la “diversità” dovrebbe rappresentare una fonte di ricchezza, piuttosto che un terreno che divide[6].
2. I principali interventi delle Istituzioni europee
Prima di entrare nel merito della riforma svizzera, appare vitale fare leva sui primari documenti redatti a livello europeo, volti a sollecitare gli Stati membri ad incriminare tali condotte. Innanzitutto, con la Risoluzione del 24 maggio 2012[7], il Parlamento europeo ha condannato tutte le discriminazioni basate sull’orientamento sessuale, invitando gli Stati ad estendere idonea protezione ai discorsi omofobi di incitamento all’odio e alla violenza. Sempre nel 2012, il PE ha avanzato un’altra risoluzione[8] invitando la Commissione ed il Consiglio a intervenire marcatamente contro l’omofobia, la violenza e la discriminazione basate sull’orientamento sessuale, a sfruttare i risultati dell’indagine in atto dell’Agenzia dell’Unione europea per i diritti fondamentali[9] ed infine a sottoporre celermente la tabella di marcia dell’UE per l’uguaglianza fondata sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere da adottare entro il 2014. In seguito, con la Risoluzione del 14 marzo 2013[10], tale organo ha posto in luce la necessità di mettere in atto una strategia globale per contrastare la tipologia di reato. Analogamente, l’urgenza di attuare delle azioni concrete per arginare i discorsi d’odio omofobi è al centro della Risoluzione del 18 dicembre 2019[11]. Di recente, la Commissione ha rivolto una comunicazione al Parlamento e al Consiglio, proponendo di estendere la portata dell’art. 83 TFUE[12] anche agli atti di incitamento all’odio e ai reati provocati dall’odio in ragione della razza, della religione, del genere e dell’orientamento sessuale[13].
Sul tale lunghezza d’onda, si pongono gli atti adottati dal Consiglio d’Europa, i quali incentivano gli Stati membri ad attuare delle misure tese a vietare le manifestazioni d’odio verso le persone LGBTI. Con la Raccomandazione del Comitato dei Ministri 5/2010[14], il Consiglio d’Europa ha invitato gli Stati ad intervenire per proibire tutte quelle espressioni capaci di propagare odio o ulteriori forme di discriminazione nei confronti delle persone LGBTI. Più avanti, la Commissione europea contro il razzismo e l’intolleranza (ECRI)[15] ha adottato la Raccomandazione di politica generale 15/2015[16], con la quale si incoraggia nuovamente gli Stati a reprimere, tramite diverse misure, i discorsi d’odio fondati (anche) sull’orientamento sessuale. Ancora, con la Raccomandazione 16/2022[17], lo stesso organo è intervenuto con l’intento di assistere gli Stati membri nella predisposizione di una serie di misure finalizzate alla prevenzione e al contrasto dei discorsi d’odio basati, tra gli altri,
sull’orientamento sessuale.
È importante marcare come le iniziative prendano forma da precedenti provvedimenti posti in essere per l’apposita tutela delle persone LGBTI e per la prevenzione di qualsiasi discriminazione fondata specificatamente sull’orientamento sessuale. In tale prospettiva, si pone l’art. 2 TUE[18], che definisce il rispetto della dignità umana, dell’uguaglianza e la tutela dei diritti umani quali fondamentali valori che sostengono l’Unione; segue poi l’art. 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE[19], il quale statuisce il divieto di qualsiasi discriminazione fondata sulle tendenze sessuali. All’art. 10 TFUE si ribadisce che «nella definizione e nell’attuazione delle sue politiche e azioni, l’Unione mira a combattere le discriminazioni fondate sul sesso, la razza o l'origine etnica, la religione o le convinzioni personali, la disabilità, l'età o l'orientamento sessuale». Di rilievo è un ulteriore richiamo
normativo teso a rafforzare il divieto di discriminazioni per motivi legati all’orientamento sessuale: l’art. 19, infatti, stabilisce che «il Consiglio, deliberando all'unanimità secondo una procedura legislativa speciale e previa approvazione del Parlamento europeo, può prendere i provvedimenti opportuni per combattere le discriminazioni fondate sul sesso, la razza o l'origine etnica, la religione o le convinzioni personali, la disabilità, l'età o l'orientamento sessuale».
Alla base dell’azione attiva e costante delle Istituzioni UE vi è la consapevolezza che non tutti gli Stati membri[20] prevedono strumenti legislativi di matrice penale finalizzati a criminalizzare e reprimere i discorsi d’odio omofobi.
3. La “svolta” della Svizzera: la modifica dell’art. 261bis del Codice penale
Sebbene nelle varie realtà europee la depenalizzazione delle relazioni tra persone dello stesso sesso sia avvenuta da tempo[21], il dibattito sulla necessità o meno di criminalizzare in maniera specifica tale “condotta d’odio” divide notevolmente le forze politiche. Sulla scelta di politica criminale pesa il fatto che i “discorsi d’odio” sono strettamente connessi e prodromici ai “crimini d’odio”, rivelandosi capaci di produrre o rafforzare pregiudizi e stereotipi associati alle categorizzazioni sociali. In concreto, è la connessione tra “discorsi d’odio” e i “crimini d’odio” ad imporre il ricorso allo strumento penale anticipando così l’ambito del penalmente rilevante e dunque la soglia di punibilità[22].
Fino al 2020, la Svizzera rientrava tra i pochi Paesi non perseguenti, con una norma ad hoc, i discorsi d’odio omofobi. Difatti, l’art. 261bis c.p.[23] – sugli atti di discriminazione ed incitamento all’odio – prevedeva come unici criteri di perseguibilità l’appartenenza ad una determinata razza, etnia o religione, non consentendo alle persone dello stesso sesso di invocare una violazione del proprio onore in caso di esternazioni omofobe. In origine, l’esclusione di ulteriori criteri – il sesso, le tendenze sessuali e le convinzioni – prendeva le mosse dalla volontà di non discostarsi eccessivamente dalla revisione del Codice penale svizzero del 1992. In tale ottica, si sottolinea la preoccupazione di tradurre adeguatamente nel diritto nazionale gli obblighi di diritto internazionale risultanti dall’adesione del Paese alla Convenzione[24].
È doveroso precisare che la recente riforma costituisce soltanto il prodotto di una serie di interventi che sottintendono l’importanza di promuovere l’uguaglianza ed eliminare la discriminazione di qualsiasi natura, compresa quella basata sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere[25]. Il progetto di modifica dell’art. 261bis c.p., adottato dalle Camere il 14 dicembre 2018 e sottoposto a referendum il 9 febbraio 2020, ottiene il consenso della popolazione[26], pur non mancando di sollevare talune criticità. In tale senso, si ricorda che in seno alla Commissione degli affari giuridici del Consiglio Nazionale era stato proposto di accostare al criterio dell’orientamento sessuale anche quello dell’identità di genere[27]: secondo il Consiglio federale, però, la nozione di identità di genere «è molto più vaga e corrisponde a un sentimento individuale e profondamente intimo, indipendente dal sesso biologico, dallo stato civile e dall’orientamento sessuale»[28].
In tale sede, occorre chiedersi se la modifica del Codice penale[29] possa costituire anche un ausilio per la lotta contro le terapie di conversione[30]: identificare l’omosessualità come una malattia da “curare” attraverso tali percorsi riparativi potrebbe essere considerato un appello all’odio fondato sull’orientamento sessuale. Non deve ritenersi un semplice caso se il Consiglio federale nel parere concesso in risposta alla nota interpellanza Barrile[31] si è interrogato circa la portata applicativa del nuovo 261bis c.p. rispetto agli atti pubblici che definiscono l’omosessualità come una malattia. Il fatto che la modifica sia stata citata nella mozione ginevrina (in particolare, nella parte finale delle motivazioni, si riporta che nel Canton Ginevra essa era stata accettata al 76,3%) avvalora l’idea secondo cui il popolo svizzero (specialmente i ginevrini) risulta – in linea di massima – a favore degli interventi volti ad attenuare tali discriminazioni, nonché ad avvalorare la tesi per cui se il Consiglio di Stato attuasse la mozione avverso tali terapie realizzerebbe e risponderebbe anche alla volontà popolare[32]. Sebbene la situazione sia ancora “in stallo”, taluni storici precedenti
– inerenti proprio ai diritti delle persone LGBT – lasciano presagire la possibilità che una soluzione adottata “dal basso” possa indurre successivamente la Confederazione a sancire un divieto a livello federale: si fa leva sulla depenalizzazione[33] delle relazioni omosessuali e sull’introduzione dell’istituto dell’unione domestica registrata per le coppie tra persone dello stesso sesso.
3.1 Il contributo fondamentale del Tribunale federale
In termini di criminalizzazione dei discorsi d’odio omofobi, un segnale rilevante è dato
recentemente dalla più alta autorità giuridica della Svizzera. È opportuno specificare che – prima della riforma del 2020 – una persona poteva limitarsi ad invocare la violazione dell’art. 28 del Codice civile svizzero sulla protezione della personalità[34] o degli artt. 173 ss. c.p. A ciò deve affiancarsi la negazione della legittimazione ad agire alle associazioni per la tutela dei diritti delle persone omosessuali e transessuali nell’ambito dei reati contro l’onore[35]. Con la sentenza 6B_1323/2023, invece, il Tribunale federale ha – per la prima volta – condannato una persona per discriminazione e incitamento all’odio, rilevato tanto l’elemento oggettivo quanto quello soggettivo dell’art. 261 bis c.p.
Il caso di specie attiene un saggista franco-svizzero che, nel 2021, aveva reso noto sul suo sito internet e sulla sua pagina Facebook un video[36] in risposta ad un articolo in merito
ai trascorsi dello stesso e del proprio sito con la giustizia. In prima istanza, il Tribunale di Polizia di Losanna lo condanna per diffamazione ex art. 173 c.p.[37]; in appello, egli viene dichiarato colpevole anche per incitamento all’odio ex art. 261bis c.p. Avverso tale ultima accusa, il saggista interpone ricorso innanzi al Tribunale federale. La prima contestazione
concerne il termine “queer” che, secondo il ricorrente, si riferiva all’identità di genere e non all’orientamento sessuale della persona e, perciò, non godeva della protezione ex art. 261bis c.p. Richiamate le definizioni di “orientamento sessuale” e di “identità di genere” dei Principi di Yogyakarta[38], si statuisce che esso tende a includere entrambe. In realtà, il ricorrente non si sarebbe limitato a qualificare la giornalista come una “militante queer”, avendola appellata anche “grossa lesbica militante”, termine che attiene innegabilmente al suo orientamento sessuale. La seconda contestazione del saggista muove dal fatto che il suo discorso non esprimeva alcun disprezzo, giacchè i termini “queer” e “lesbica” sono utilizzati proprio dalla comunità LGBTI, adducendo che il primo viene originariamente tradotto con il termine disadattato/a. Al contrario, nell’ottica del Tribunale federale, il suo linguaggio è avvilente, disumanizzante, oltraggioso, ed è capace di incentivare gli utenti a detestare la persona per via del suo orientamento sessuale. In aggiunta, i commenti e le
reazioni rilasciati sotto al video manifestano la capacità delle sue parole di coltivare l’odio omofobo. Con riguardo all’elemento soggettivo, il Tribunale federale prende atto che egli è volontariamente e coscientemente ricorso a tali parole, con l’intento di fomentare l’odio e la discriminazione verso la giornalista e la comunità LGBT. I precedenti penale, altresì, lasciano trasparire la sua inclinazione a porre in essere dei comportamenti discriminatori verso le minoranze tutelate dalla legge. In ultima analisi, il saggista contesta la violazione della sua libertà di espressione ex artt. 16 della Costituzione federale svizzera[39] e 10 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e del cittadino[40] e, soprattutto, della protezione riconosciuta ai giornalisti nell’ambito di un dibattito politico. In primo luogo, il Tribunale precisa che, pur essendo la libertà di espressione garantita, essa può essere circoscritta in presenza delle condizioni poste dall’art. 36 Cost. fed.[41] e dell’art. 10.2 CEDU. In secondo luogo, l’alta autorità dichiara che i commenti contestati non rientrano né nella dimensione di un dibattito politico, né in uno di interesse generale; ciò induce a ritenere che i vincoli alla libertà di espressione del ricorrente sono legittime.
Oltre a mettere in luce la percezione esterna di tali tipologie di dichiarazioni, chi scrive ritiene che la sentenza in esame si contraddistingui per accentuare l’omissione del criterio dell’identità di genere tra quelli invocabili a norma dell’art. 261bis c.p. La volontà di fare leva su una precisa e completa definizione di “identità di genere”[42] si traduce chiaramente nell’invito al legislatore a rivedere la portata dell’art. 261bis c.p.; in generale, si sottolinea la necessità di considerare il criterio sopraindicato nelle riforme legislative a tutela della comunità LGBT[43].
4. Il quadro italiano tra vuoto di tutela e stereotipi culturali
Il caso svizzero rappresenta un valido test per altri ordinamenti europei, tra cui quello nazionale. In tale contesto, colpisce come l’adesione formale e generalizzata alle retoriche contro l’omofobia vada a convivere con la riluttanza all’istituzionalizzazione di politiche anti-omofobia[44]. Il dibattito pubblico attorno alla lunga e complessa vicenda del c.d. “Ddl. Zan”[45] poteva rappresentare un’occasione di riscatto per il nostro legislatore nell’opera di contrasto all’odio e alle discriminazioni; al contrario, ciò si è ridotto in un’asettica lotta tra forze politiche[46]. Innanzitutto, la suddetta proposta includeva un intervento di carattere repressivo, attraverso l’integrazione degli artt. 604 bis e 604 ter, finalizzata a reprimere o aggravare la pena nell’ipotesi di condotte delittuose motivate dall’odio. Considerato che la norma si riferisce ai crimini d’odio fondati sulla razza, l’origine etnica, la nazionalità e la religione, la proposta legislativa proponeva l’estensione della tutela anche al sesso, al genere, all’orientamento sessuale e all’identità di genere. In tale senso, il fine perseguito era quello di integrare una norma già presente[47], interessando altri fattori di rischio. Essa prevedeva poi un intervento dal contenuto preventivo che introduceva una serie di misure di tipo propositivo, volte all’assistenza delle vittime ed alla promozione dell’uguaglianza.
In realtà, la proposta di riforma non è nuova[48] alle aule parlamentari: le prime discussioni risalgono al 2009 e al 2011, arrestandosi però ad alcune pregiudiziali di incostituzionalità ex artt. 3 e 25 Cost.; nel 2013, il c.d. “Ddl Scalfarotto”, approvato nel settembre del 2013 alla Camera, non è riuscito ad approdare al Senato prima della fine della XVII legislatura.
Dalla lettura delle risalenti proposte di legge emerge la volontà di “sovrapporre” discorsi e crimini d’odio: il fallimento dei vari tentativi di riforma è imputabile proprio all’omessa distinzione tra le due fattispecie che, pur essendo strettamente legate, si diversificano per gli interessi che evocano. In particolare, in ordine alla seconda fattispecie, l’ordinamento giuridico è tenuto a compiere un prudente bilanciamento con il diritto fondamentale alla libertà di espressione e di pensiero, che rappresenta la principale ragione delle avversioni parlamentari ed extra parlamentari.
Lasciando da parte ogni rilievo critico di natura penale, preme chiedersi in tale sede se la condotta inerte del legislatore sia influenzata da fattori esterni. Viene naturale valutare il fattore religioso, poichè in età imperiale – ove il cristianesimo era designato come unica religione ufficiale[49] – l’omosessualità è stata perseguita penalmente proprio quale crimine religioso[50]. In tale senso, nel 390 d.c., Teodosio I aveva adottato una legge per punire con la pena del rogo tutti coloro che perpetravano un atto omosessuale passivo[51], mentre quelli attivi invece iniziano ad essere perseguiti con le Novellae constitutiones di Giustiniano[52] del 538 d.c. e del 559 d.c. Oltre ai dissensi dell’autorità cattolica sulla regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso[53], si segnala che il dibattito scaturito dallo stato di avanzamento dei lavori parlamentari sul c.d. “D.d.l. Zan” aveva coinvolto anche le travagliate dinamiche dei rapporti tra Stato e Chiesa, innescando un potenziale conflitto tra “ordini” (art. 7, co. 1, Cost.)[54]. In tale circostanza, la Segreteria di Stato (Sezione per i Rapporti con gli Stati) aveva trasmesso all’Ambasciata d’Italia presso la Santa Sede una “Nota verbale”, manifestando le proprie perplessità sul disegno di legge in esame («alcuni contenuti dell’iniziativa legislativa – particolarmente nella parte in cui stabilisce la criminalizzazione delle condotte discriminatorie per “motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere” – avrebbero l’effetto di incidere negativamente sulle libertà assicurate alla Chiesa cattolica e ai suoi fedeli dal vigente regime concordatario»)[55]. Tuttavia, la Segreteria di Stato chiarisce che l’intervento non era mirato ad ostacolarne l’approvazione, bensì a sollecitare il Parlamento – nell’esercizio della riconosciuta autonomia – nel «trovare una diversa modulazione del testo normativo, continuando a garantire il rispetto dei Patti lateranensi, che da quasi un secolo regolano i rapporti tra Stato e Chiesa e ai quali la stessa Costituzione Repubblicana riserva una speciale menzione». In tale direzione sembra muoversi la nota con cui la Presidenza della Conferenza Episcopale Italiana ribadisce il sostegno a ogni sforzo teso al riconoscimento dell’originalità di ogni essere umano e del primato della sua coscienza, riportando la voce di Papa Francesco («ogni persona, indipendentemente dal proprio orientamento sessuale, va rispettata nella sua dignità e accolta con rispetto, con la cura di evitare ogni marchio di ingiusta discriminazione e particolarmente ogni forma di aggressione e violenza»)[56].
È comunque improbabile ricondurre la perdurante inerzia del legislatore italiano alla sola resistenza cattolica. L’odio – soprattutto in tale ottica – «non è un fenomeno individuale, né tantomeno casuale. Non è soltanto un vago sentimento». Come ammesso, “si tratta di un odio collettivo e di matrice ideologica”; in conseguenza di ciò, «l’odio non deflagra all’improvviso, va coltivato»[57]. Quanto appena riportato induce chi scrive a condividere il pensiero di chi sostiene che «solo combattendo l’omofobia sul piano culturale si allenta il silent effect dei discorsi discriminatori, abbattendo o più realisticamente riducendo quel rumore di fondo che crea un ambiente ostile o quantomeno di diffidenza che fa da sfondo agli episodi di violenza»[58]. Occorre sottolineare come nei dibattiti politici e nelle riflessioni politiche risultino assenti una serie di analisi sociologiche e comportamentali[59] dalle quali poter evincere come i “discorsi di odio” costituiscano l’anticamera a condotte violente che ci riportano drammaticamente agli anni della persecuzione razziale, nonché ai soprusi del Terzo Reich[60].
5. Conclusioni
Giunti a tale punto, è possibile asserire di aver colto elementi-chiave dal confronto con lo scenario comparato, nel caso di specie con quello svizzero. Tra i tanti, spicca il dialogo tra legislatore e Tribunale federale, dialogo non attualmente auspicabile nel nostro Paese. A conferma di ciò, si pone l’indifferenza del legislatore italiano rispetto agli orientamenti giurisprudenziali europei. Alcune decisioni della Corte di Giustizia[61] assumono specifica valenza in materia di omofobia, in quanto offrono una cornice normativa volta ad arginare il linguaggio discriminatorio nell’ambito lavorativo, pur in assenza di chi lamenta di aver subito una discriminazione. Sulla base di taluni precedenti[62], si deve tenere conto altresì che ove un analogo episodio verificatosi nel contesto nazionale dovesse dare avvio ad una vicenda giudiziaria sino a giungere alla Corte di Strasburgo, non sarebbe affatto esclusa una condanna dell’Italia per la violazione degli artt. 3 e 14 CEDU, data l’insussistenza di una normativa tesa a reprimere l’istigazione alla discriminazione e alla violenza connesse all’orientamento sessuale della vittima.
Sebbene si apprezzino tali “fatiche” giurisprudenziali, è innegabile che la lacuna possa essere colmata unicamente per via legislativa. In tale sede, preme compiere una doverosa precisazione sull’uso “simbolico” del diritto penale[63]. Allo stato attuale, le scelte etiche condivise risultano essere solo quelle sancite da quest’ultimo: una condotta è intesa come socialmente riprovevole e dunque censurabile soltanto se riconosciuta come penalmente rilevante dall’ordinamento penale[64]. In un ordinamento che si definisce laico, moderno e democratico, il fenomeno invece dovrebbe essere affrontato anzitutto sul piano culturale, incoraggiando e generando un significativo cambiamento nella coscienza delle persone. È poi auspicabile che – sempre dietro volontà legislativa – si potenzino i diritti individuali e sociali: come ben osservato in dottrina «quanto più i diritti saranno riconosciuti, tanto più il clima culturale sarà meno discriminatorio»; tale mutamento culturale circoscriverà «i reati a motivazione omofobica e marginalizzerà anche l’intervento del diritto penale, rendendolo, chissà, alla fine inutile»[65].
La Costituzione – ancora una volta – offre la soluzione al problema: è nel principio di uguaglianza e nella tutela dei diritti inviolabili dell’uomo che deve essere rintracciata la ratio delle misure volte a contrastare l’odio e le discriminazioni; ciò trova riscontro anche nella giurisprudenza costituzionale che individua limiti alla libertà di manifestazione del pensiero di cui all’art. 21 Cost. ulteriori rispetto a quello esplicito del “buon costume”[66].
Partendo dalla convinzione che «non è possibile accettare di rassegnarsi alla brutalità», l’impegno solido delle Istituzioni «deve essere orientato a fornire, soprattutto alle nuove generazioni, gli strumenti per comprendere le diversità delle esistenze e delle diverse esperienze umane, per una società inclusiva e rispettosa delle identità»[67].
[1] J. LACAN, Il Seminario, Libro I. Gli scritti tecnici di Freud (1953-1954), Torino, 1978, 335.
[2] Cfr. R.E. MANZETTI, Odi(i), in M.L. TKACH (a cura di), Incarnazioni dell’odio, Razzismi, sessismi, crudeltà quotidiane, Torino, 2020, 12.
[3] Tali prospettive sono riconducibili a J.L. AUSTIN, Come fare cose con parole (1987), a cura di M. SBISÀ, C. PENCO (a cura di), Bologna, 2019; L.WITTGRNSTEIN, La filosofia (1932), a cura di D. MARCONI, Donzelli, Roma, 2006.
[4] C. BIANCHI, Hate speech. Il lato oscuro del linguaggio, Bari-Roma, 2024, 9 ss.
[5] G. GOMETZ, L’odio proibito: la repressione giuridica dello hate speech, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, n. 32/2017, 4.
[6] È quanto evidenziato anche da F. PESCE, Omofobia e diritto penale: al confine tra libertà di espressione e tutela dei soggetti vulnerabili. Le prospettive possibili in Italia e le soluzioni nell’Unione Europea, in Diritto Penale Contemporaneo, 2015.
[7] Risoluzione del Parlamento europeo del 24 maggio 2012 sulla lotta all’omofobia in Europa (2012/2657(RSP)).
[8] Risoluzione del Parlamento europeo del 12 dicembre 2012 sulla situazione dei diritti fondamentali nell’Unione europea (2010 - 2011) (2011/2069(INI)).
[9] L’Agenzia dell’Unione europea per i diritti fondamentali (Fundamental Rights Agency, FRA) ha sede a Vienna ed è stata istituita dal regolamento (CE) n. 168/2007 del Consiglio del 15 febbraio 2007 (GU L 53 del 22.2.2007). Nel luglio 2011, l’Agenzia ha pubblicato l’interessante studio “Homophobia, Transphobia and Discrimination on Grounds of Sexual Orientation and Gender Identity in the EU Member States”; nella parte si ammette che, pur attestando innegabili sviluppi in talune realtà europee, permangono radicati ostacoli generati principalmente da un generale clima di intolleranza e atteggiamenti pregiudizievoli nei confronti delle persone LGBT.
[10] Risoluzione del Parlamento europeo del 14 marzo 2013 sul rafforzamento della lotta contro il razzismo, la xenofobia e i reati generati dall'odio (2013/2543(RSP)).
[11] Risoluzione del Parlamento europeo del 18 dicembre 2019 sulla discriminazione in pubblico e sull'incitamento all’odio nei confronti delle persone LGBTI, comprese le zone libere da LGBTI (2019/2933(RSP)).
[12] L’art. 83 TFUE conferisce al Parlamento europeo e al Consiglio il diritto di elaborare norme minime per la definizione dei reati in sfere di criminalità particolarmente grave con una dimensione transfrontaliera, dovuti alla natura o alle conseguenze di tali reati o a una particolare esigenza di combatterli su basi comuni. I reati in oggetto sono: terrorismo; tratta di esseri umani e sfruttamento sessuale di donne e bambini; traffico illecito di stupefacenti e armi; riciclaggio di denaro; corruzione; contraffazione di mezzi di pagamento; criminalità informatica; criminalità organizzata.
[13] Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio del 9 dicembre 2021, Un’Europa più inclusiva e protettiva: estendere l'elenco dei reati riconosciuti dall'UE all'incitamento all'odio e ai reati generati dall'odio (COM/2021/777).
[14] Raccomandazione CM/Rec(2010)5 del Comitato dei Ministri agli Stati membri sulle misure volte a combattere la discriminazione fondata sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere, 31 marzo 2010.
[15] La Commissione europea contro il razzismo e l’intolleranza (ECRI), istituita nel 1993, è un organo di monitoraggio del Consiglio d’Europa specializzato nel contrasto a ogni forma di razzismo, xenofobia, antisemitismo e intolleranza, in un’ottica di protezione dei diritti umani.
[16] Raccomandazione di politica generale n. 15 dell’ECRI relativa alla lotta contro il discorso dell’odio, 8 dicembre 2015.
[17] Raccomandazione CM/Rec(2022)16 del Comitato dei Ministri agli Stati membri sulla lotta contro i discorsi d’odio, 20 maggio 2022.
[18] Ai sensi dell’art. 2 TUE: «L Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell'uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze. Questi valori sono comuni agli tati membri in una società caratterizzata dal pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla parità tra donne e uomini».
[19] Ai sensi dell’art. 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea: «È vietata qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, sul sesso, la razza, il colore della pelle o l'origine etnica o sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le convinzioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, l’appartenenza ad una minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita, la disabilità, l'età o l'orientamento sessuale. Nell’ambito d’applicazione dei trattati e fatte salve disposizioni specifiche in essi contenute, vietata qualsiasi discriminazione in base alla nazionalità».
[20] Una panoramica generale è compiuta da L. GOISIS, Omofobia e diritto penale: profili comparatistici, in Diritto Penale Contemporaneo, 2012.
[21] A partire dal XVIII secolo, si assiste ad una progressiva sostituzione della pena del rogo con sanzioni alternative. Il reato di sodomia è stato abrogato in occasione dell’adozione della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789, la quale, all’art. 5, prevede che «la loi n’a le droit de défendre que les actions nuisibles à la société» (cfr. E. DOLCINI, Omosessualità, omofobia, diritto penale. Riflessioni a margine del volume di M. Winkler e G. Strazio, L’abominevole diritto. Gay e lesbiche, giudici e legislatori, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, n. 16, 2021, 2011, 2).
[22] F. PESCE, Omofobia e diritto penale: al confine tra libertà di espressione e tutela dei soggetti vulnerabili. Le prospettive possibili in Italia e le soluzioni nell’Unione Europea, cit., 5-6.
[23] Si segnala che l’art. 261bis c.p. è stato introdotto nel 1995 in seguito alla ratifica della Convenzione delle Nazioni Unite sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale.
[24] Messaggio concernente l’adesione della Svizzera alla Convenzione internazionale del 1965 sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale e la conseguente revisione del Codice penale, 2 marzo 1992, 258.
[25] Iniziativa parlamentare 7 marzo 2013: “Lottare contro le discriminazioni basate sull’orientamento sessuale”; Interpellanza 5 maggio 2015: “Rilevazione statistica dei crimini d’odio fondati sull’orientamento sessuale”; Mozione 18 settembre 2017: “Rilevazione statistica dei crimini d’odio fondati sull’orientamento sessuale, l’identità e l’espressione di genere o le caratteristiche sessuali”; Interpellanza 21 giugno 2019: “Uguaglianza giuridica e sociale per le persone LGBTIQ in Svizzera”.
[26] La modifica dell’art. 261bis c.p. è stata accolto dal 63.1% della popolazione svizzera.
[27] Rapporto della Commissione degli affari giuridici del Consiglio nazionale del 3 maggio 2018, FF 2018 3209, 3220.
[28] Parere del Consiglio federale del 15 agosto 2018, FF 2018 5327, 4435.
[29] Ai sensi del nuovo art. 261bis c.p.: «Chiunque incita pubblicamente all’odio o alla discriminazione contro una persona o un gruppo di persone per la loro razza, etnia, religione o per il loro orientamento sessuale, chiunque propaga pubblicamente un’ideologia intesa a discreditare o calunniare sistematicamente tale persona o gruppo di persone, chiunque, nel medesimo intento, organizza o incoraggia azioni di propaganda o vi partecipa, chiunque, pubblicamente, mediante parole, scritti, immagini, gesti, vie di fatto o in modo comunque lesivo della dignità umana, discredita o discrimina una persona o un gruppo di persone per la loro razza, etnia, religione o per il loro orientamento sessuale o, per le medesime ragioni, disconosce, minimizza grossolanamente o cerca di giustificare il genocidio o altri crimini contro l’umanità, chiunque rifiuta ad una persona o a un gruppo di persone, per la loro razza, etnia, religione o per il loro orientamento sessuale, un servizio da lui offerto e destinato al pubblico, è punito con una pena detentiva sino a tre anni o con una pena pecuniaria».
[30] La terapia di conversione, anche detta terapia riparativa o terapia di riorientamento sessuale, è una pratica pseudoscientifica tesa a cambiare l’orientamento sessuale di una persona dall'omosessualità originaria all'eterosessualità, o ad eliminare o quantomeno contenere i suoi desideri e comportamenti omosessuali. In particolare, in Svizzera le terapie di conversione sono proibite de facto, non esistendo ancora un loro divieto de iure. Nel parere del 4 settembre 2019, il Consiglio federale ha escluso la necessità di intervenire con una legge ad hoc, ritenendo infatti sufficiente l’impianto giuridico già predisposto dall’ordinamento nazionale. Data l’inerzia del Consiglio federale, i Cantoni sono intervenuti autonomamente affinché, almeno nel loro territorio, le terapie di conversione venissero esplicitamente vietate ed effettivamente sanzionate.
[31] Interpellanza Barrile 20.3870 “La Svizzera è un rifugio per ‘guaritori di omosessuali’” del 19 giugno 2020.
[32] M. FERRARIO, «Guérir de l’homosexualité»? Sulla regolamentazione delle terapie di conversione in Svizzera, in DPCE online, vol. 47, n. 2, 2021, 1560.
[33] Per un approfondimento, cfr. T. DELESSERT, L’homosexualité dans le Code pénal suisse de 1942. Droit octroyé et préventions de désordres sociaux, in Vingtième Siècle. Revue d’histoire, vol. 131, 2016, 127 ss.
[34] Ai sensi dell’art. 28 del Codice civile svizzero sulla protezione della personalità: «Chi è illecitamente leso nella sua personalità può, a sua tutela, chiedere l’intervento del giudice contro chiunque partecipi all’offesa. La lesione è illecita quando non è giustificata dal consenso della persona lesa, da un interesse preponderante pubblico o privato, oppure dalla legge».
[35] A titolo esemplificativo, si veda sentenza TF 6B_361/2010 del 1° novembre 2010.
[36] In tale video, il saggista afferma quanto segue: «Ritengo che questo articolo sia [...] firmato da un’attivista comunitaria, che è un’attivista queer che si batte anche per i migranti. [...] Io sono uno svizzero nel mio paese, che difende l’animo svizzero e lo spirito svizzero, [...] e mi trovo a battermi contro persone che rappresentano un’estrema minoranza. E voglio ricordare che queer in inglese significa, io credo, disadattata. Di conseguenza ritengo che tra la mia visione del mondo e quella di una grossa lesbica militante per i migranti, io penso di essere un combattente per la pace, la fraternità e l’anima svizzera [...]».
[37] Ai sensi dell’art. 173 cpv. 1 c.p.: «Chiunque, comunicando con un terzo, incolpa o rende sospetta una persona di condotta disonorevole o di altri fatti che possano nuocere alla riputazione di lei, chiunque divulga una tale incolpazione o un tale sospetto, è punito, a querela di parte, con una pena pecuniaria».
[38] I Princìpi di Yogyakarta sono una serie di princìpi per la protezione dei diritti umani in materia di LGBT. Essi sono stati adottati nel congresso internazionale tenutosi all’Università Gadjah Mada, a Yogyakarta, (Indonesia) dal 6 al 9 novembre 2006 da Commissione internazionale di giuristi, International Service for Human Rights e 29 esperti internazionali di legge sui diritti umani. Il progetto è stato presentato al Consiglio ONU per i Diritti Umani nel 26 marzo 2007. I princìpi sono stati considerati dal Consiglio d’Europa nel documento “Diritti Umani e Identità di Genere”, scritto il 29 luglio 2009.
[39] Ai sensi dell’art. 16 della Costituzione federale svizzera: «La libertà d’opinione e d’informazione è garantita. Ognuno ha il diritto di formarsi liberamente la propria opinione, di esprimerla e diffonderla senza impedimenti. Ognuno ha il diritto di ricevere liberamente informazioni, nonché di procurarsele presso fonti accessibili a tutti e di diffonderle».
[40] Ai sensi dell’art. 10 della CEDU: «Ogni persona ha diritto alla libertà d’espressione. Tale diritto include la libertà d’opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera. Il presente articolo non impedisce agli Stati di sottoporre a un regime di autorizzazione le imprese di radiodiffusione, cinematografiche o televisive. L’esercizio di queste libertà, poiché comporta doveri e responsabilità, può essere sottoposto alle formalità, condizioni, restrizioni o sanzioni che sono previste dalla legge e che costituiscono misure necessarie, in una società democratica, alla sicurezza nazionale, all’integrità territoriale o alla pubblica sicurezza, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, alla protezione della reputazione o dei diritti altrui, per impedire la divulgazione di informazioni riservate o per garantire l’autorità e l’imparzialità del potere giudiziario».
[41] Ai sensi dell’art. 36 della Costituzione federale svizzera: «Le restrizioni dei diritti fondamentali devono avere una base legale. Se gravi, devono essere previste dalla legge medesima. Sono eccettuate le restrizioni ordinate in caso di pericolo grave, immediato e non altrimenti evitabile. Le restrizioni dei diritti fondamentali devono essere giustificate da un interesse pubblico o dalla protezione di diritti fondamentali altrui. Esse devono essere proporzionate allo scopo. I diritti fondamentali sono intangibili nella loro essenza».
[42] Consid. 2.1.1: «Gender identity is understood to refer to each person’s deeply felt internal and individual experience of gender, which may or may not correspond with the sex assigned at birth, including the personal sense of the body (which may involve, if freely chosen, modification of bodily appearance or function by medical, surgical or other means) and other expressions of gender, including dress, speech and mannerisms».
[43] È anche la posizione di M. FERRARIO, Sui discorsi d’odio omofobi. Il caso della Svizzera in prospettiva comparata, in GenIUS, n. 1, 2025, 10-11.
[44] Cfr. P. GUSMEROLI, Inversione dello stigma e aggiornamento delle retoriche anti-Lgbt: l’omofobia “contesa” nel discorso mediatico italiano, in AG About Gender, vol. 10, n. 19, 2021, 270.
[45] Proposta di legge: ZAN ed altri: “Modifiche agli articoli 604-bis e 604-ter del codice penale, in materia di violenza o discriminazione per motivi di orientamento sessuale o identità di genere” (569). Per una breve disamina del contenuto della legge, cfr. A. GALLUCCIO, D.d.l. Zan: cosa prevede il testo in discussione al Senato, in Sistema penale, 2021. Nella seduta del 18 maggio 2021, il presidente della Commissione Giustizia del Senato della Repubblica, in applicazione dell’art. 51 del Regolamento del Senato, ha disposto l’esame congiunto dell’A.S. 2005 e dell’A.S. 2205 (c.d. “Ddl Ronzulli-Salvini”), recante “Modifiche al codice penale in materia di circostanze aggravanti nei casi di violenza commessa in ragione dell’origine etnica, credo religioso, nazionalità, sesso, orientamento sessuale, età e disabilità della persona offesa”. Quest’ultimo, a differenza del primo, incide sulla parte generale del Codice penale tramite un’aggravante speciale rispetto a quelle già previste all’art. 61 c.p., oggetto di una “blindatura” rispetto all’applicazione di eventuali circostanze attenuanti.
[46] Per un puntuale esame degli aspetti di diritto parlamentare della tortuosa vicenda del d.d.l. “Zan”, cfr. E. AURELI, Presidenti di Commissione parlamentare “di opposizione”: spunti a partire dal travagliato iter parlamentare del ddl Zan, in Forum di Quaderni Costituzionali, n. 3, 2021. Sui profili maggiormente discussi, tra i vari, cfr. A. SCHILLACI, A metà del guado: la proposta di legge Zan, tra riconoscimento e solidarietà, in Giustizia insieme, 10 novembre 2020S. CURRERI, Ddl Zan: proviamo a fare chiarezza, in LaCostituzione.info, 2021; R. BARTOLI, Costituzionalmente illegittimo non è il d.d.l. Zan ma alcuni comportamenti incriminati dall’art. 604-bis c.p., in Sistema penale, 2021; L. CONTE, Il “Ddl Zan” tra Costituzione e politica legislativa, in Diritti fondamentali, n. 2, 2021.
[47] In particolare, lo scopo del disegno di legge è l’estensione di un impianto normativo esistente che rimane stabile dal 1975, ampliato nel 1993, poi modificato nel 2006 e infine, nel 2018, parzialmente incluso nel codice penale agli artt. 604 bis e 604 ter che costituiscono la nuova sezione dei delitti contro l’uguaglianza
[48] Per un’analisi generica delle varie proposte di riforma, cfr. E. DOLCINI, Omofobia e legge penale, note a margine di alcune recenti proposte di legge, in Rivista italiana di diritto e procedura penale, 2011, vol. 54, n. 1, 24-37; E. DOLCINI, Di nuovo affossata una proposta di legge sull’omofobia, in Diritto e processo penale, 2011, 1393-1396; E. DOLCINI, Omofobi: nuovi martiri della libertà di manifestazione del pensiero?, in Rivista italiana di diritto e procedura penale, n. 1, 2014, 7-31; L. MORASSUTTO, La legge contro l’omofobia e la transfobia: il coraggio mancato e l’occasione perduta?, in Persona e danno, 2013; M. GATTUSO, Che cosa dice veramente la legge sull’omofobia: ovvero, il bambino e l’acqua sporca, in Articolo29, 2013; L. IMARISIO, Il reato che non osa pronunciare il proprio nome. Reticenze e limiti nel c.d. disegno di legge Scalfarotto, in GenIUS, n.1, 2015, 28-39; A. PUGIOTTO, Aporie, paradossi ed eterogenesi dei fini nel disegno di legge in materia di contrasto all’omofobia e alla transfobia, in GenIUS, n. 1, 2015, 6-13.
[49] Con il cristianesimo si è accentuata «l’ostilità della Legge ebraica e situa in un primo tempo gli atti omosessuali, ed in seguito le persone che li commettono, non solo al di fuori della Salvezza ma anche e soprattutto ai margini della Natura» (D. BORRILLO, Omofobia, storia e critica di un pregiudizio, Bari, 2009, 40).
[50] Tuttavia, la teorizzazione dell’atto omosessuale come esplicita violazione del precetto divino è rilevabile nella Summa theologica di San Tommaso d’Aquino il quale, nell’affrontare il tema della sessualità umana, sottolinea come l’atto sessuale possa andare contro l’ordine naturale tramite quattro distinti comportamenti. San Tommaso d’Aquino, Summa theologica, Prima pars secundae partis Quaestio 31, Articulus 7 «Uno quidem modo, si absque omni concubitu, causa delectationis venereae, pollutio procuretur, quod pertinet ad peccatum immunditiae, quam quidam mollitiem vocant. Alio modo, si fiat per concubitum ad rem non eiusdem speciei, quod vocatur bestialitas. Tertio modo, si fiat per concubitum ad non debitum sexum, puta masculi ad masculum vel feminae ad feminam, ut apostolus dicit, ad Rom. I, quod dicitur sodomiticum vitium. Quarto, si non servetur naturalis modus concumbendi, aut quantum ad instrumentum non debitum; aut quantum ad alios monstruosos et bestiales concumbendi modos».
[51] J.L. ADÈNOR, T. De RAUGLAUDRE, Dieu est amour. Infiltrés parmi ceux qui veulent “guérir” les homosexuels, Parigi, 2019, 42.
[52] E. CANTARELLA, Secondo natura. La bisessualità nel mondo antico, Milano, 2022, 232.
[53] Sul punto, tra i diversi, cfr. V. PARLATO, Note su matrimonio e unioni civili nella concezione cattolica e nel diritto canonico, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, n. 6, 2014.
[54] Sulla predetta querelle, cfr. R. SANTORO, La “Nota verbale” della Segreteria di Stato sul D.d.l. Zan:
un atto alla ricerca della reciproca collaborazione, in Diritti fondamentali, n. 2, 2021; N. COLAIANNI, La Santa Sede e il d.d.l. Zan sulla tutela di LGBTQ, in Questione Giustizia, 3 luglio 2021, il quale ricorda che la “nota verbale” sul d.d.l. Zan «non è stato un atto senza precedenti, essendo già accaduto, e in maniera insistita ed eclatante, poco più di cinquant’anni fa durante la discussione della proposta di legge sul divorzio Fortuna-Baslini».
[55] SEGRETERIA DI STATO - SEZIONE PER I RAPPORTI CON GLI STATI, Nota verbale prot. n. 9212/21/RS, 17 giugno 2021. Nell’ottica della Segreteria di Stato, il testo normativo, ove approvato senza modifiche da parte del Senato della Repubblica, sarebbe stato in grado di riflettersi negativamente sulle dinamiche applicative dell’Accordo di Villa Madama, con riferimento alle seguenti norme: a) la Repubblica italiana riconosce alla Chiesa cattolica la piena libertà di svolgere la sua missione pastorale, educativa e caritativa, di evangelizzazione e di santificazione. In particolare è assicurata alla Chiesa la libertà di organizzazione, di pubblico esercizio del culto, di esercizio del magistero e del ministero spirituale nonché della giurisdizione in materia ecclesiastica; b) è garantita ai cattolici e alle loro associazioni e organizzazioni la piena libertà di riunione e di manifestazione del pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.
[56] Esortazione Apostolica post-sinodale “Amoris laetitia” del Santo Padre ai vescovi, ai presbiteri e ai diaconi, alle persone consacrate, agli sposi cristiani e a tutti i fedeli laici sull’amore nella famiglia. È però quest’ultimo ad essere travolto da una “bufera” mediatica per aver utilizzato un linguaggio discriminatorio in occasione dell’ingresso in seminario di persone omosessuali; l’episodio è stato subito chiarito dalla Sala Stampa della Santa Sede, richiamando le parole dello stesso Pontefice («Nella Chiesa c’è spazio per tutti, per tutti! Nessuno è inutile, nessuno è superfluo, c’è spazio per tutti. Così come siamo, tutti»).
[57] Cfr. C. EMCKE, Gegen den Hass, Francoforte, 2016, trad. it. Contro l’odio, Milano, 2017, 17.
[58] Cfr. M. PELISSERO, Omofobia e plausibilità dell’intervento penale, in GenIUS, n. 1, 2015, 27.
[59] M. D’AMICO, I diritti dei “diversi”. Saggio sull’omosessualità, in Osservatorio AIC, n. 6, 2021, 199.
[60] È particolarmente interessante l’opera di V. KLEMPERER, Language of the Third Reich, Londra, 2006.
[61] CGUE (C-81/12), Asociaţia Accept, 25 aprile 2013 (per un analisi, cfr. C. DANISI, Lavoro, assunzioni e omofobia alla Corte di Giustizia, in GenIUS, 2020); CGUE, NH (C‑507/18), aprile 2020 (sulla predetta pronuncia, cfr. P. TANZARELLA, Il caso Taormina e la Corte di giustizia. Dalla libera espressione alla discriminazione, in MediaLaws, 2020).
[62] C. EDU, V S., Case of Vejdeland v. Sweden (n. 1813/07), 9 febbraio 2012 (sulla decisione in esame, cfr. M. CAIELLI, Punire l’omofobia: (non) ce lo chiede l’Europa. Riflessioni sulle incertezze giurisprudenziali e normative in tema di hate speech, in GenIUS 2015); C. EDU, VI S., Case of Identoba e a. v. Georgia (n. 73235/12), 12 maggio 2015; C. EDU, IV S., Case of M.C. and A.C. v. Romania (n. 12060/12), 12 aprile 2016 (per un commento, cfr. C. FATTA, Omofobia – «hate crimes all’esame della corte di Strasburgo: l’obbligo degli stati di proteggere i membri della comunità lgbti», in Nuova giur. civ., 2016, 1329 ss. Su entrambe le pronunce della Corte di Strasburgo, cfr. C. DANISI, Omofobia e discriminazione: la continua evoluzione nell’interpretazione della Cedu, in GenIUS, 2016.
[63] Fortemente critico verso un’accezione del diritto penale in senso “pedagogico” è G. FORNASARI, Mutilazioni genitali femminili e multiculturalismo: premesse per un discorso giuspenalistico, in A. BERNARDI, B. PASTORE, N. PUGIOTTO (a cura di), Legalità penale e crisi del diritto, oggi. Un percorso interdisciplinare, Milano, 2008, 194. Sullo stesso piano, A. PUGIOTTO, Aporie, paradossi ed il eterogenesi dei fini nel disegno di legge in materia di contrasto all’omofobia e alla transfobia, cit., 9, per il quale «scrivere una legge penale non è fare ideologia, ma è – innanzitutto – scrivere una legge. E la trama costituzionale di un diritto penale liberale non contempla l’uso del reato e della pena in chiave pedagogica, perché non deve imporre valori con la minaccia della spada, semmai mettere in sicurezza valori che si sono già affermati nel dibattito pubblico».
[64] Cfr. F. PESCE, Omofobia e diritto penale: al confine tra libertà di espressione e tutela dei soggetti vulnerabili. Le prospettive possibili in Italia e le soluzioni nell’Unione Europea, cit., 37.
[65] Cfr. M. PELISSERO, Omofobia e plausibilità dell’intervento penale, cit., 27.
[66] Con la sentenza n. 86/1974, la Corte costituzionale ha statuito che «la previsione costituzionale del diritto di manifestare il proprio pensiero non integra una tutela incondizionata e illimitata della libertà di manifestazione del pensiero, giacché, anzi, a questa sono posti limiti derivanti dalla tutela del buon costume o dall’esistenza di beni o interessi diversi che siano parimenti garantiti o protetti dalla Costituzione. [...] E tra codesti beni ed interessi, ed in particolare tra quelli inviolabili, in quanto essenzialmente connessi con la persona umana, è l’onore (comprensivo del decoro e della reputazione)». Con la pronuncia n. 293/2000, la Consulta ha escluso la violazione dell’art. 21 Cost., ammettendo che un limite alla libera manifestazione del pensiero è costituito dal rispetto per un altro interesse di rilievo costituzionale, ossia la tutela della dignità umana. A sostegno della non fondatezza della questione, la stessa precisava che «solo quando la soglia dell’attenzione della comunità civile è colpita negativamente, e offesa, dalle pubblicazioni di scritti o immagini con particolari impressionanti o raccapriccianti, lesivi della dignità di ogni essere umano, e perciò avvertibili dall’intera collettività, scatta la reazione dell’ordinamento».
[67] Dichiarazione del Presidente Mattarella in occasione della Giornata Internazionale contro l’Omofobia, la Transfobia e la Bifobia, Roma, 17/05/2024.