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Rapporti tra diritto interno e diritto UE

sinergie e integrazioni
Marina di Ravenna
Ph. Ermes Galli / Marina di Ravenna

Abstract

In questa trattazione si analizzeranno le principali trasformazioni che ha subito l’attività del giudice comune nazionale per effetto del processo di integrazione europea e le ragioni che hanno, nel corso degli anni, creato una straordinaria sinergia fra lo stesso e la Corte di giustizia e fra diritto interno e diritto Ue.

In this section we will analyze the main changes that the activity of the national common judge has undergone as a result of the process of European integration and the reasons that have, over the years, created an extraordinary synergy between him/her and the Court of Justice and between domestic and EU law.

 

Rapporti tra carte sovranazionali e tra corti nazionali e sovranazionali

In Europa sono presenti tre livelli di corti: Corte europea dei diritti dell’uomo, Corte di giustizia dell’Unione Europea, corti nazionali.

Esistono poi tre livelli di carte dei diritti fondamentali: la CEDU, la Carta di Nizza e le costituzioni nazionali.

Nell’ambito dell’Unione Europea i rapporti tra le carte sovranazionali e la carte costituzionali nazionali sono retti da Relazioni gerarchiche e dal principio di Primazia costituzionale del diritto europeo sul diritto costituzionale nazionale.

L’evoluzione della giurisprudenza delle corti costituzionali nazionali, quali “custodi” delle costituzioni dei singoli Paesi membri, mostra in modo evidente le resistenze avutasi nel corso degli anni nell’accogliere il concetto di primazia costituzionale, in particolare elaborando la dottrina dei Contro-limiti.

È opportuno classificare le risposte date dalle corti costituzionali nazionali al tema della primazia costituzionale.

Da un lato si registra l’esistenza di Paesi che non ammettono tale primazia e la escludono. Dall’altro vi sono Paesi che non ammettono la primazia costituzionale ma che consentono di superare questo ostacolo attraverso un procedimento rinforzato di revisione costituzionale, in cui il ruolo dei giudici è una sorta di potere di veto.

Poi vi sono altri Stati che, pur ammettendo la primazia costituzionale pongono limiti materiali alla stessa: è ciò che la dottrina italiana chiama teoria dei contro limiti in senso stretto. Tali sistemi individuano un nucleo duro di principi fondamentali contenuti all’interno della Costituzione che non possono essere scalfiti e/o modificati neanche dal diritto UE.

Infine vi sono paesi nei quali la primazia è accettata senza limiti.

L’ordine giudiziario comune europeo, forte dell’indipendenza riconosciutagli dai vari Stati membri, intende perseguire il proprio ruolo con lo scopo di implementare la protezione dei diritti delle persone, indipendentemente dalla cittadinanza e anche contro le tendenze politiche di maggioranza.

Vi sono diversi approcci che determinano i rapporti tra Giudici Nazionali e Giudici Europei e svariate sono le ragioni che hanno portato a vederli con un approccio “amichevole”. Fondamentale è la copertura costituzionale fornita dall’art. 11, che garantisce il realizzarsi di un sempre maggiore processo di armonizzazione dell’ordinamento interno con quello europeo. Particolarmente radicati si rivelano poi essere i legami intercorrenti fra i giudici nazionali e della Corte di giustizia, i quali condizionano in senso positivo il processo di continua osmosi fra i due sistemi.

Il rapporto tra ordinamento interno e ordinamento UE è sempre stato caratterizzato dalla primazia di quest’ultimo rispetto al primo, primazia assicurata dal controllo diffuso sulla compatibilità del diritto interno al diritto europeo avente effetti diretti.

In caso di contrasti con la Costituzione resta ferma la garanzia che, diversamente dalle norme internazionali convenzionali, l’esercizio dei poteri normativi delegati all’Unione europea trovi un limite solo nei principi fondamentali costituzionali e nella maggior tutela dei diritti inalienabili della persona.

 

La Teoria dei contro-limiti

Secondo la costante giurisprudenza della Corte costituzionale e la dottrina prevalente, il potere di non applicazione spettante al giudice comune incontra il limite dell’intangibilità, da parte della norma UE, dei principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale e dei diritti inviolabili garantiti dalla Costituzione.

Secondo la nostra Consulta in base alla teoria dei contro-limiti, la violazione dei principi fondamentali e strutturali dell’ordinamento comporta l’illegittimità della legge di ratifica nella parte in cui ha permesso l’ingresso nell’ordinamento della disposizione sovranazionale contrastante; il relativo accertamento spetta esclusivamente alla Corte costituzionale, alla quale la questione può e deve essere prospettata dal giudice comune. L’antinomia della norma interna con una norma dell’Unione europea, dunque, dà luogo ad una questione di legittimità costituzionale solo nei casi in cui sia fatta valere nel corso di un giudizio principale, qualora la norma UE sia priva di effetto diretto, o quando dall’applicazione della direttiva derivi una responsabilità penale. Soltanto ove non sia possibile superare il contrasto mediante l’interpretazione conforme e si verta nell’ambito di uno di tali casi, non è ammessa la disapplicazione della norma interna, il giudice comune dovrà proporre questione di legittimità costituzionale di quest’ultima in relazione agli artt. 11 e 117 I° co. Cost.

Il giudice comune, nei limitati casi in cui l’antinomia della norma interna con la norma dell’UE va denunciata con l’incidente di costituzionalità, prima di sollevare la relativa questione, ha l’onere di verificare l’impossibilità di porre rimedio al contrasto mediante l’interpretazione del diritto nazionale in modo conforme al diritto dell’UE, avendo cura di indicare le ragioni che, eventualmente, la precludono. Egli deve avvalersi del margine di discrezionalità consentitogli dalle regole ermeneutiche, ma anche tenere conto che il principio di interpretazione conforme non può servire da fondamento ad un’esegesi contra legem del diritto nazionale. Inoltre, il giudice comune deve avere riguardo al testo ed alle finalità della direttiva e non può offrire una lettura della disposizione sovranazionale che entri in conflitto con i diritti fondamentali o con gli altri principi generali del diritto comunitario.

Il quadro fin qui delineato parte da una ricostruzione in senso dualistico dei rapporti fra l’ordinamento comunitario e quello statale: due sistemi configurati come autonomi e distinti, ancorché coordinati.

 

Primazia del diritto comunitario sul diritto interno e forme di tutela dei diritti

La forza giuridica posta alla base della primazia del diritto comunitario sul diritto interno può  pacificamente individuarsi nell’art. 11 Cost. dove è prevista l’assunzione di un principio che vede i due ordinamenti distinti, e, al contempo, le norme da esso derivanti vengono a ricevere diretta applicazione nel territorio italiano, pur rimanendo estranee al sistema delle fonti interne. Stando così le cose, esse non potranno essere valutate secondo gli schemi predisposti per la risoluzione dei conflitti tra le norme del nostro ordinamento, ma necessiteranno di un continuo dialogo tra istituzioni giurisdizionali.

La ricostruzione dualistica di tali rapporti e la primazia del diritto comunitario non è tale da consentire di ipotizzare una completa sottrazione alla competenza della Corte del settore dei rapporti fra diritto UE e diritto interno. La Corte esclude solo la sua competenza a far valere la compatibilità del diritto interno rispetto a quello comunitario riconoscendo tale possibilità ai giudici ordinari e agli altri soggetti cui compete di dare esecuzione al diritto comunitario stesso.

Nel caso in cui una norma interna contrasti con una norma di diritto Ue, la duttilità” del meccanismo della non applicazione al caso di specie esaminato dal giudice interno perché contrastante con quello Ue, consente di alleggerire fortemente il compito del giudice nazionale, lasciandogli in futuro la possibilità di rivedere la sua posizione e di modularla nel modo migliore rispetto al singolo caso.

 

Problema della compatibilità con le norme dell’Unione Europea

In primis il dubbio di compatibilità comunitaria deve essere risolto dal giudice comune,  prima di sollevare la questione di costituzionalità. Una norma che non fosse compatibile con il diritto comunitario sarebbe inapplicabile e dunque la relativa questione di costituzionalità che fosse proposta prima di sciogliere quel dubbio sarebbe inammissibile per difetto di rilevanza.

Dal punto di vista del diritto comunitario, la Corte di giustizia ha affermato che il giudice nazionale incaricato di applicare le norme comunitarie ha l’obbligo di garantirne la piena efficacia, disapplicando all’occorrenza qualsiasi disposizione contrastante della legislazione nazionale, senza doverne decretare previamente la rimozione in via legislativa o mediante qualsiasi altro procedimento costituzionale.

Tale criterio è stato applicato dalla Corte di Cassazione, la quale ha ulteriormente chiarito che le norme della CEDU hanno immediata rilevanza nell’ordinamento interno: i diritti riconosciuti dalla Convenzione sono inviolabili, essendo relativi a diritti fondamentali della persona, e sostanzialmente assimilabili a quelli protetti dalla Costituzione. Per tale ragione le predette norme possono essere qualificate come elementi costitutivi dell’ordine pubblico italiano. Vi è, però, una differenza. Pur confermando l’insindacabilità dell’interpretazione della Convenzione fornita dalla Corte di Strasburgo, la Corte costituzionale riserva a sé la possibilità – oltre che di controllare la rispondenza delle norme CEDU alla Costituzione – anche di valutare come ed in che misura il prodotto dell’interpretazione della Corte europea si inserisca nell’ordinamento costituzionale italiano. Questa valutazione si risolve in un apprezzamento della giurisprudenza europea consolidatasi sulla norma conferente che consenta di rispettarne la sostanza e di tener conto delle peculiarità dell’ordinamento giuridico in cui la norma convenzionale è destinata a inserirsi quale norma interposta.

Secondo la tesi della Corte costituzionale, l’operatore si dovrebbe trovare a ricercare la tutela più intensa attraverso il confronto diretto tra CEDU e Costituzione. Una tale evenienza si è verificata in tragiche questioni relative al fine-vita quali quelle dei casi Welby ed Englaro.

È il giudice che si trova a dover gestire in maniera sempre più accurata le numerose fonti normative a sua disposizione: dovrà svolgere un’opera interpretativa volta ad estrapolare dai vari documenti quelli che garantiscono una maggior tutela. Ciò dimostra una sempre maggiore integrazione tra le Carte e tra le Corti e come la logica della separazione tra ordinamenti non sia più particolarmente confacente a quella della tutela più intensa dei diritti.