Dialogo tra Corti UE e nazionali: stato del processo di integrazione

The Met
Ph. Pierangelo Blandino / The Met

Abstract

La portata delle decisioni della Corte di Strasburgo e di Lussemburgo in relazione al tema dei diritti fondamentali CEDU e il conseguente dialogo discendente ed ascendente che si crea tra le Carte e tra le Corti europee e nazionali: tale complementarietà, cooperazione ed integrazione modifica il ruolo della Corte di Cassazione.

 

Tutela dei diritti fondamentali nel sistema CEDU: effetti delle sentenze della Corte Europea

In un clima di sempre maggiore integrazione tra il diritto nazionale e il diritto dell’Unione Europea, risulta interessante comprendere la portata delle decisioni della Corte di Strasburgo in relazione al tema dei diritti fondamentali nel sistema CEDU: vi sono effetti precettivi immediati in capo alle decisioni della Corte?

Secondo un primo orientamento le sentenze della Corte EDU che dichiarano violata la Convenzione non avrebbero effetti precettivi immediati pur riconoscendo diritti ed obblighi nei confronti delle parti in giudizio: lo Stato deve ad esse conformarsi eliminando la violazione e la parte lesa ha diritto alla riparazione in forma pecuniaria e/o restituito in integrum.

Sulla base di altro indirizzo, invece, la sentenza della Corte Edu, una volta divenuta definitiva, avrebbe effetti precettivi immediati assimilabili al giudicato e dovrebbe essere tenuta in considerazione dall’organo dello Stato che è il destinatario naturale dell’obbligo giuridico di conformarsi e di non contraddire il deliberato della Corte Edu per la parte in cui abbia acquistato autorità di cosa giudicata. Attraverso tale effetto, il giudice Ue presenta un’indiscussa competenza nel fornire risposte ai quesiti pregiudiziali posti dal giudice nazionale.

Il nesso di collegamento diretto fra il giudice di merito e la Corte di giustizia si apprezza ancor di più se si osservano quelle pronunce che consentono al giudice comune di “scalvacare” il giudicato interno e di bypassare il controllo di costituzionalità, procedendo direttamente alla disapplicazione della norma interna contrastante con il diritto Ue, seppure vi sia stata una pronuncia della Corte costituzionale che ne aveva confermato la legittimità.

Secondo la Corte di Lussemburgo, il giudice nazionale è vincolato, ai fini della risoluzione della controversia principale, all’interpretazione della disposizione come fornita dalla Corte, e deve eventualmente discostarsi dalle valutazioni dell’organo giurisdizionale di grado superiore qualora esso ritenga che queste non siano conformi al diritto dell’Unione. Tale meccanismo permette, all’occorrenza, di disapplicare, di propria iniziativa, qualsiasi disposizione della legislazione nazionale contrastante con il diritto europeo, senza doverne chiedere o attendere la previa rimozione in via legislativa o mediante qualsiasi altro procedimento costituzionale.

 

Rinvio pregiudiziale come “ponte” tra gli ordinamenti

Un ponte” fra gli ordinamenti interni e il diritto Ue è costituito dallo strumento c.d. del rinvio pregiudiziale, il quale ha favorito un clima “amichevole” tra le Corti nazionali ed europee. Tale meccanismo non è destinato ad intervenire per sanzionare la giurisdizione, come invece accade nell’ambito della Cedu, ma viene utilizzato per offrire chiavi di lettura interpretative, poi affidate all’attuazione da parte del giudice comune.

Esso è inteso come uno strumento fondamentale per il rafforzamento della voce istituzionale di un potere degli Stati membri: la giustizia”, valorizzando il ruolo dei giudici nazionali nello spazio costituzionale europeo. È la giurisdizione come potere basato sull’indipendenza, sul rispetto della legge e sulla risoluzione delle controversie a godere di “una voce singolare, staccata dello scenario politico e legata unicamente alla volontà del diritto”.

 

Ruolo dei giudici comuni nazionali relativamente al tema dei principi fondamenti comunitari.

Secondo la dottrina i principi possono costituire sia materia di rinvio pregiudiziale, sia rappresentare un valido parametro ai fini dell’interpretazione degli atti sottoposti alla cognizione del giudice comune.

L’espansione del ruolo del giudice ordinario trova, così, un suo spazio negli interstizi di questi due ordinamenti giuridici. Ogni volta che la norma da utilizzarsi per la risoluzione della singola controversia sia da valutare con riferimento al sospetto di una sua incostituzionalità, la procedura da seguire è quella del ricorso alla Corte costituzionale. Quest’ultima dovrebbe entrare nel merito della questione sottopostale a prescindere dal fatto che la norma dell’Unione abbia o meno effetti diretti. Se la stessa norma da utilizzarsi come parametro non ricade espressamente tra i principi costituzionali e nella giurisprudenza costituzionale già disponibile – nonché nell’interpretazione conforme alla Costituzione stessa – il giudice nazionale potrà adire la Corte di giustizia mediante il rinvio pregiudiziale o mediante la risoluzione della controversia fornendo un’interpretazione conforme alle disposizioni dei trattati.

La nostra Corte costituzionale ha stabilito che un’eventuale questione di legittimità costituzionale che facesse leva sul contrasto tra la norma interna impugnata e una norma di diritto UE dotata di effetto diretto sarebbe inammissibile, spettando al giudice ordinario il compito di risolvere il contrasto mediante la disapplicazione della norma interna o ricorrendo al meccanismo dell’interpretazione conforme.

Tali principi valgono soltanto per l’ipotesi in cui la norma comunitaria contrastante con quella interna sia self executing.

Tali strumenti favoriscono un clima di fiducia e di cooperazione tra le corti, clima che in genere non ha finora caratterizzato i rapporti fra giudice nazionale e Corte Edu, in quanto il giudice di Strasburgo interviene all’esito dell’esaurimento delle vie di ricorso interne, e soprattutto per la diversità di funzione che la Corte Edu ha nel sistema di protezione del diritti di matrice convenzionale.

I principi dell’effetto diretto e del primato del diritto Ue sono serviti, insieme al rinvio pregiudiziale, a “rafforzare i poteri dei giudici nazionali rispetto ai rami politici dello Stato nei settori disciplinati dal diritto dell’unione europea”. Se, quindi, il giudice nazionale è incaricato di applicare nell’ambito della propria competenza le norme del diritto dell’Unione, ha altresì l’obbligo di garantire la piena efficacia delle stesse, disapplicando all’occorrenza, qualsiasi contraria disposizione della legislazione nazionale, senza doverne chiedere o attendere la previa rimozione per via legislativa o mediante qualsiasi altro procedimento costituzionale.

 

Modalità di interpretazione del diritto UE: il giudice nazionale ha veramente l’ultima parola?

La maggioritaria dottrina sostiene che sia la Corte di giustizia ad evitare la possibilità di contrasti fra i diritti di matrice UE e i canoni fondamentali interni, passando la palla al giudice nazionale che adotta un approccio “amichevole verso il diritto europeo.

Ulteriore indice di trasformazioni interne della giurisprudenza della Corte di Cassazione è dato dalla tendenza volta ad investire la Corte di Giustizia dell’esame di questioni interpretative relative al diritto Ue quando sorgano contrasti nella giurisprudenza nazionale. La scelta della Cassazione di dialogare con la Corte di Giustizia invece che demandare la soluzione del contrasto alle Sezioni Unite è collegata alla necessità di ottenere dal giudice di Lussemburgo chiarimenti non solo sulla portata del diritto dell’Ue, ma anche sul contrasto creatosi all’interno della giurisdizione di ultimo grado.

Si ritiene che il rinvio pregiudiziale offra al giudice di Lussemburgo la possibilità di chiarire ulteriormente la propria posizione nella materia regolata dall’Ue, favorendo una decisione non soltanto vincolante sul piano interpretativo per tutti i giudici dei Paesi membri, ma anche capace di ridurre il contenzioso interno e di depotenziare i contrasti giurisprudenziali nazionali.

 

Dialogo ascendente e discendente tra giudice Ue e giudici nazionali

Il dialogo tra giudice di Lussemburgo e giudice nazionale è ascendente e discendente, dato che non si può prescindere da una netta ripartizione di ruoli dei dialoganti. Si giunge così alla conclusione che all’affermazione del “primato” del giudice di Lussemburgo su quello nazionale si lascia il passo a tratti di più marcata complementarietà, cooperazione ed integrazione, capaci di ricondurre tale rapporto su parametri di equa ordinazione.

La trasformazione del ruolo del giudice – comune e di ultima istanza - si delinea attraverso cessioni di supremazia” in favore delle Corti sovranazionali, alle quali fa da contrappeso l’acquisizione di non indifferenti “quote di sovranazionalità” da parte dei giudici nazionali che contribuiscono ad avvicinare le Corti tutte, intersecandone in modo più deciso i compiti, gli sviluppi interpretativi e le soluzioni.

Il mutare delle coordinate rappresentato dall’avvento del diritto Ue, della Cedu, dei trattati internazionali che riconoscono i diritti fondamentali, rende evidente il cambio di prospettiva della funzione nomofilattica – e in definitiva la mutazione genetica – della Corte di Cassazione, ormai giuridicamente obbligata a garantire anche l’uniforme interpretazione della legge come reinterpretata alla luce della Cedu, della Carta dei diritti fondamentali dell’Ue, dei trattati internazionali e del diritto di matrice Ue.

Fondamentale, in una situazione tanto complessa, il dialogo tra le carte e il dialogo tra le corti, il cui strumento essenziale è rappresentato proprio dal rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia.

L’istituto del rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia costituisce un vero e proprio dialogo in cui i partecipanti esprimono le loro considerazioni, sebbene l’ultima parola spetti ad uno solo di essi. La dottrina mette in luce come le varie corti, parlando tra di loro secondo il metodo discorsivo, costruiscano delle passerelle che collegano ordini nazionali e sopranazionali. La tendenza sempre più frequente dei giudici di richiamare, nell’applicazione del diritto interno, anche le giurisprudenze straniere su casi analoghi, quali strategie argomentative in funzione rafforzativa delle proprie decisioni, sta infatti prendendo sempre più piede.

In merito al dialogo tra corti nazionali e Corte europea, si rileva che neppure l’adesione dell’Unione alla CEDU dovrebbe cambiare la situazione descritta. Lo conferma il fatto che gli Stati membri hanno precisato come la Cedu non incrementi le competenze dell’Unione e che il sistema comunitario sia fondato sul principio delle competenze di attribuzione. Gli Stati membri hanno voluto così sottolineare di voler procedere a piccoli passi nel processo d’integrazione.