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Pertini a Leone: “Sputi su un’amicizia ch’era sincera. Non la meriti, come non meriti più da parte mia alcuna umana considerazione”.

Sandro Pertini
Sandro Pertini

Pertini a Leone: “Sputi su un’amicizia ch’era sincera. Non la meriti, come non meriti più da parte mia alcuna umana considerazione”

Nei giorni scorsi abbiamo scritto un piccolo post sulla pagina Facebook di Filodiritto sull’acredine tra i due Presidenti della Repubblica. Ora riportiamo la lettera del 31 ottobre 1984, a firma Sandro, dove Pertini si lascia andare a duri giudizi ed improperi su Giovanni Leone.

La lettera è provocata da una battutaccia di Leone con l’andreottiano Franco Evangelisti, poi rilanciata da un giornale. Una frecciata che fece schiumare di rabbia Pertini, perché mutuava fra l’altro un giudizio del socialista Riccardo Lombardi e reso pubblico da Indro Montanelli, su una sua presunta “ignoranza”, contraddetta da due lauree.

Nonostante una smentita di Leone, il presidente replicò con una lettera “di improperi” che i suoi consiglieri tentarono invano di fermare.

Non se ne saprebbe niente se, incrociando quelle righe di diario con le carte della Fondazione Turati-Centro studi Sandro Pertini di Firenze (presieduta dal professor Maurizio Degli Innocenti e diretta dallo storico Stefano Caretti), non avessero trovato una minuta della missiva. Ed è davvero di fuoco.

Scrive Pertini: “Ti ho sempre difeso, sempre, da accuse infamanti, da maldicenze che toccavano anche i tuoi familiari. Nel mio discorso d’insediamento con parole umane, fraterne, ti ho inviato la mia solidarietà.

E tu, invece, non fai che della maldicenza idiota nei miei confronti. Maldicenza che degrada te, non tocca me. Sputi su un’amicizia ch’era sincera. Non la meriti, come non meriti più da parte mia alcuna umana considerazione. Da oggi ti abbandonerò ad bestias”.

Non basta. In un post scriptum, il “partigiano Sandro” (perché adesso si esprime in quella veste) aggiunge: “Analfabeta? Se tu avessi letto solo una parte di quello che ho letto io per vincere la solitudine del carcere e il peso del confino ti sentiresti una biblioteca ambulante. Quattordici anni di detenzione, sopportati anche per la tua libertà di dire e fare sciocchezze degradanti”. 

La conclusione evoca il fascismo ed è abrasiva: “Allora tu marciavi fieramente in orbace e se i tuoi allievi non si presentavano in camicia nera, rifiutavi di esaminarli… Mentre gente come me sacrificava la giovinezza anche perché tu ti sentissi libero e più uomo… ma in piedi e non in ginocchio”. 

Questi toni feroci, ai quali la lettera associa staffilate personali sono l’emblema  di una mai risolta “antipatia” tra i due.

Secondo lo storico Stefano Caretti, che a Pertini ha dedicato una decina di saggi, l’origine di tutto risalirebbe a molti anni prima: “Una vecchia ruggine. Cresciuta sul dramma di un sindacalista del Psi di Sciara, nel Palermitano, Salvatore Carnevale, ucciso dalla mafia il 16 maggio 1955 e sugli esiti del processo che seguì”.

Gli avvocati Giovanni Leone e Sandro Pertini seguirono su parti contrapposte il processo Carnevale che segnò per sempre il loro rapporto.

Il processo determinò un duro scontro tra i due che non venne mai del tutto dimenticato nel corso degli anni.

La vicenda drammatica di un sindacalista del Psi di Sciara, nel Palermitano, Salvatore Carnevale, ucciso dalla mafia il 16 maggio 1955.

Nonostante la diffida dei carabinieri, Pertini partecipò ai funerali e lo commemorò in piazza. Poi affiancò la madre, rappresentandola come parte civile in un collegio di difesa composto da socialisti.

Furono arrestati quattro uomini.

In primo grado, a Santa Maria Capua Vetere, dov’era stato spostato il processo, i quattro imputati furono condannati all’ergastolo.

In appello, a Napoli, difesi da Leone e altri, vennero assolti per insufficienza di prove.

Verdetto confermato in Cassazione dove il procuratore generale affermò che la “mafia era un argomento da conferenzieri".

La vicenda umana sottesa alla vicenda processuale lasciò per sempre degli strascichi tra i due avvocati e futuri Presidenti della Repubblica, “strascichi” culminati nella stesura della lettera dove Pertini definì Leone, tra l’altro, un ingrato.