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Avvocati: attenzione al mancato incasso!

Cairo
Ph. Antonio Capodieci / Cairo

Abstract

L’ordinanza 24255/2021 della Cassazione ritiene che il mancato incasso di compensi possa essere indizio di omessa dichiarazione da parte del contribuente. Ripercorrendo la vicenda si possono cogliere utili spunti organizzativi.

 

Qual è il criterio di tassazione del reddito di lavoro autonomo?

I liberi professionisti vengono tassati in base al cd. “principio di cassa”.

Infatti, l’articolo 54 del DPR 917/86 stabilisce che: “Il reddito derivante dall’esercizio di arti e professioni è costituito dalla differenza tra l’ammontare dei compensi in denaro o in natura percepiti nel periodo d’imposta… (omissis) e quello delle spese sostenute nel periodo stesso nell’esercizio dell’arte o della professione… (omissis)”.

Dunque, la regola base è quella secondo cui rilevano i ricavi percepiti e i costi sostenuti.

In parole povere, il reddito di lavoro autonomo “guarda” l’aspetto finanziario.

Perciò, se non si incassa, non vi è reddito tassabile.

 

L’ordinanza 24255/2021

Il mancato incasso non può essere un aspetto fisiologico per un professionista.

Per una efficiente gestione occorre che gli insoluti e gli incarichi svolti a titolo gratuito costituiscano una parte minima del totale.

Altrimenti, si possono trarre due conclusioni:

a) il professionista che non incassa non ha grandi capacità organizzative e gestionali oppure non vale professionalmente;

b) il professionista incassa senza dichiarare il reddito.

L’ordinanza 24255/2021 riguarda un accertamento che ha tratto spunto dal collegamento tra i fascicoli processuali intestati ad uno studio legale associato ed i redditi dichiarati dagli associati.

La Cassazione, richiamando un proprio orientamento precedente, ritiene che quando l’incarico professionale è portato a termine il compenso si presume incassato.

Lo studio associato si era difeso allegando che non erano state emesse fatture.

Quest’eccezione è stata disattesa dalla Suprema Corte che ha sottolineato che, ove l’Agenzia delle Entrate contesti che il compenso sia stato pagato, appare ragionevole ritenere che la fattura non sia stata emessa al fine proprio di sottrarsi al pagamento delle imposte.

 

Spunti pratici

I colleghi che mi stanno leggendo saranno molto perplessi.

“Già i clienti non ci pagano e ora dobbiamo anche essere accertati dall’Agenzia delle Entrate!”

In realtà, l’accertamento non è una conseguenza necessaria del mancato incasso del compenso.

L’accertamento è l’effetto o di una evasione fiscale e, in questo caso, chi lo riceve deve solo tacere, oppure di una disorganizzazione del professionista.

Sono io la prima a sostenere che siamo travolti dalla burocrazia, dalla carta e non riusciamo a venirne fuori.

Quindi, la disorganizzazione è sovente inevitabile.

Tuttavia, non tutto è perduto.

Cosa possiamo cogliere dalla sentenza ed applicare nell’organizzazione del nostro studio?

Direi anche nella percezione del nostro valore?

Cerchiamo di limitare le attività svolte pro bono a una/due posizioni l’anno.

D’altra parte, quando andiamo a fare la spesa, non ci fanno pagare “la prossima volta”.

Gli incarichi assunti gratuitamente devono essere supportati da documentazione firmata che provi ciò.

A cosa mi riferisco?

Nella lettera di incarico che normalmente si fa firmare al cliente si deve menzionare il fatto che non vi è compenso, indicando la ragione.

A me è capitato di dover difendere dei professionisti che mi hanno portato tantissime pratiche e ho scelto di non farmi pagare.

Nel conferimento dell’incarico l’articolo sul compenso dava conto che la pratica veniva seguita gratuitamente dati gli assidui rapporti di collaborazione professionale.

La quasi totalità delle pratiche deve essere svolta a titolo oneroso.

Questo non significa che il cliente abbia sempre o subito il piacere di pagare l’avvocato.

Credo, però, che se un avvocato permetta al suo assistito un inadempimento, prima che avere problemi con l’Agenzia delle Entrate, debba avere delle grosse lacune nella propria autostima.

Perciò, quali adempimenti documentali dovrà seguire il professionista?

I civilisti lo sanno meglio di me.

Farsi sempre rilasciare un incarico in forma scritta e farsi pagare con acconti, senza attendere il termine del lavoro.

Se la fattura pro forma non viene onorata entro i termini, dopo qualche mese (quanti dipende da voi) si invia una mail di sollecito e, successivamente, una raccomandata o una PEC di diffida.

Se non è sufficiente e se l’importo merita, si notifica un ricorso per decreto ingiuntivo.

I documenti che ho menzionato sono esattamente le prove che lo studio associato non ha fornito.

Ora, se è un unico cliente che è inadempiente e, magari, la cifra è bassa, un professionista non sta a perdere tempo.

In questa situazione, la mancanza di qualsiasi documento è plausibile.

Non è credibile, invece, una situazione che sistematicamente vede il professionista lavorare gratis.