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Istruzioni per una visita pastorale: facoltà di compiere, regolare e punire

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Istruzioni per una visita pastorale: facoltà di compiere, regolare e punire

L’abate commendatario della diocesi di San Vincenzo a Volturno, don Antonio Sforza, aveva delegato il calabrese don Antonino Montesanto «Neocastrensis civitatis», ovvero originario di Nicastro, oggi un quartiere di Lamezia Terme (CZ), a visitare la circoscrizione vescovile sotto la sua giurisdizione con una lettera del 19 ottobre 1676. La missiva era stata inviata da Roma, dove l’abate commendatario risiedeva abitualmente (Archivio di Stato di Roma, “Corporazioni religiose soppresse”, b. 1, Istruzioni per la visita pastorale di don Antonino Montesanto, ff. 1r-v).

Si legge nel documento che «mancando ancora parimenti del tutto una santa visita alle chiese abbaziali della nostra abbazia di San Vincenzo in Volturno, abbiamo ritenuto di dover eleggere il predetto signor Antonino Montesanto affinché si conferisca nella predetta abbazia per condurre una
santa visita, e nelle chiese di quella, con facoltà piena di punire, regolare e compiere tutte le altre cose che noi stessi nella predetta santa visita potremmo e avremmo capacità di compiere, regolare e punire
» (Ivi, f. 1r).

Il delegato dello Sforza era stato inviato presso l’abazia di San Vincenzo a Volturno con pieni poteri decisionali, anche nel firmare decreti di massima importanza senza l’avvallo dell’abate commendatario, «come se fosse un secondo abate, con l’espressa clausola che abbia capacità di compiere anche quegli atti che forse richiederebbero un nostro speciale mandato» (Ivi, ff. 1r-v).

In virtù della delega dello Sforza, il Montesanto inoltrava al clero dell’Alta Valle del Volturno le istruzioni per organizzare la visita pastorale che si sarebbe svolta l’anno successivo. Il vademecum era stato affisso sui portali delle chiese della diocesi per renderlo noto ai fedeli. «Piacendo a Dio», si sarebbero visitate «le chiese et terre di cotest’abbadia di San Vincenzo in Volturno cogl’oratorij, luoghi pij, confraternita, et ogn’altra cosa che a noi tocchi a fine di provedere tutto ciò che bisogna intorno al culto di Dio, alla cura dell’anime, alla vita de chierici et al buon stato delle cose» (Ivi, f. 1v).

Si chiedeva a tutti i sacerdoti della diocesi di San Vincenzo di presentare i rendiconti delle loro parrocchie, allegandovi la documentazione relativa ai benefici, ai «titoli» e agli introiti derivanti dalle celebrazioni di qualsiasi funzione religiosa, e l’inventario dei beni mobili e immobili e delle «suppellettile» (Ivi, f. 1v).

Gli arcipreti, inoltre, erano tenuti a redigere una relazione («nota») riguardante le chiese e le cappelle di loro pertinenza, elencandovi anche le confraternite e i luoghi pii eventualmente presenti nelle parrocchie e specificando i membri del clero che ne facevano parte. Agli amministratori laici o ecclesiastici degli enti di carità, invece, si chiedeva di mostrare al Montesanto solo i consuntivi (Ivi, f. 1v).

«Agli officiali et cappellani de luoghi pij, fabricche e confraternite» si ordinava di rendere note al delegato dello Sforza le regole di fondazione, le reliquie che custodivano, gli elenchi degli «oblighi di messe» e tutto ciò che, insieme con i bilanci, comprovasse la consistenza del loro patrimonio immobiliare e mobiliare (Ivi, f. 2r).

Nella medesima relazione gli arcipreti dovevano descrivere anche la moralità dei fedeli, ovvero «ogn’abuso e corrutela publica de peccatori», «come iurarej concubinarij, bestemiatori, malefici, e di quelli che non si sono confessati alla prossima Pasqua». «Ci avisino», si legge nelle istruzioni di don Antonino Montesanto, «se ci fusse alcun interdetto o scomunica o se alcun marito fosse separato dalla moglie, o all’incontro, e se nelle parrocchie di ciascheduno vi fosse alcun romito» (Ivi, f. 2r). 

Non possedendo la relazione finale della visita pastorale di don Antonino Montesanto, si può supporre che l’ispezione fosse avvenuta dopo la celebrazione pasquale (18 aprile 1677), come si desume dalla citazione soprastante, in quanto si fa riferimento a chi non si fosse confessato durante la Pasqua di quell’anno.

«A tutti universalmente comandiamo sotto pena ad arbitrio nostro» di denunciare la presenza di «libri o scritti prohibiti», eresie o protettori di eretici nelle parrocchie visitate dal Montesanto e si ordinava senza mezze misure di rivelare chi fosse dedito a «maleficij, fattucchierie o incantesimi» e di non tener nascosti «oblighi di messe o limosine» dei luoghi pii o situazioni di pericolo in cui si fosse trovato qualche parrocchiano (Ivi, f. 2r).