x

x

L’Immacolata e la verità sull’uomo

Immacolata
Immacolata

Una creatura dilaniata

Una delle cose più belle del possedere un’animale è la possibilità di osservare come si realizza la sua vita. Mi pare evidente che i mammiferi posseggono un indubbio vantaggio, poiché la distanza che ci separa è talmente labile che riusciamo a vedere in essi come una nostra immagine a due dimensioni. Anche se i fini che ci muovono sono differenti, i mormorii dei nostri corpi risuonano quasi all’unisono, come note pizzicate da corde vicine.

Per questo, osservando i miei cani, ho notato quanto per loro sia semplice raggiungere la pace. Non parlo della semplice assenza di conflitto, ma del vero compimento di ogni desiderio ed aspirazione dell’anima. Certo, essendo creature soggette alla mutevolezza della materia, anche questa loro serenità è inevitabilmente corrosa ed insidiata dagli avvenimenti della vita, fosse anche il semplice riproporsi dei medesimi desideri appena soddisfatti. Tuttavia, in quegli attimi di appagamento, tutto il loro essere appare pienamente compiuto, tanto che, se potessero tradurlo nel linguaggio dell’eternità, sarebbe per loro simile alla beatitudine.

Forse da questo nasce quell’infantile invidia che spesso i nostri amici animali suscitano in noi. Per quanto infinitamente superiore al loro sia il nostro essere, quella serenità ci sfugge; anche quando ci sembra di averla colta, ci accorgiamo in realtà di aver solo zittito una parte di noi, per quanto piccola, la cui petulante voce è subito pronta a ribadire la propria presenza.

La verità è che l’uomo è una creatura priva di armonia interiore, i cui tentativi di trovare il perfetto equilibrio sono tanto vani quanto cercare di suonare una melodia con uno strumento scordato. In noi vi sono due consapevolezze contrastanti, contrarie, egualmente vere, che generano un costante stato di turbamento e frustrano ogni tentativo di trovare la vera pace. Blaise Pascal, pensatore cristiano del XVII secolo, così descrive questa condizione: «Le grandezze e le miserie dell’uomo sono talmente visibili, che bisogna necessariamente che la vera religione ci insegni che v’è qualche gran principio di grandezza nell’uomo, e che v’è un gran principio di miseria. Bisogna dunque ch’essa ci renda ragione di questi strani contrasti»[1].

 

L’armonia della Vergine

La vera religione, che Pascal e chi scrive identificano con il cristianesimo, educa l’uomo circa questa sua dualità interiore proprio attraverso la sua negazione. Come quando mostriamo il disordine non evidente di una stanza attraverso il perfetto ordine raggiungibile, così il Signore mostra ai Suoi figli la loro disarmonia attraverso la perfezione della Vergine Immacolata. La Chiesa, fedele serva della Sua Volontà, si fa specchio di questa luce che illumina l’anima tramite la solennità dell’Immacolata Concezione di Maria. In questa occasione infatti il credente è chiamato, paradossalmente, a comprendere meglio se stesso contemplando un aspetto della Santa Madre di Dio che, al momento presente, ancora non gli appartiene.

Il cardinale Giacomo Biffi, in un’omelia tenuta nel 1990 a San Petronio a Bologna in occasione dell’Immacolata, espresse bene questo concetto dicendo: «“Immacolata concezione” vuol dire che Maria non è stata soggetta neppure per un istante della sua esistenza (e l’esistenza umana per chi ha conservato l’uso della retta ragione comincia dal concepimento) allo stato di peccato originale; stato che contamina invece l’intera umanità in conseguenza di quella ribellione che dall’inizio della storia del mondo ha turbato l’armonia tra il Creatore e le creature […]»[2].

Appare chiaro che è proprio la libertà totale dal peccato, da quel “principio di miseria” evidenziato da Pascal, che consente alla Santa Vergine d’incarnare appieno il “principio di grandezza” insito nell’uomo. Contemplando quindi l’assenza di dualità, l’armonica esistenza di Maria Immacolata, il cristiano è invitato a riconoscere umilmente la propria condizione ferita e quindi a comprendere la ragione di quell’incapacità di pace che tanto lo perseguita.

 

Maria fonte d’umiltà

Anche se questa condizione eccezionale della Santa Vergine nasce da uno speciale privilegio, chi si sa redento e salvato da Cristo è consapevole che raggiungerà il medesimo stato, pur con differenti modalità. Se quindi Maria ricevette la speciale grazia di godere, sin dal grembo materno, i pieni frutti della redenzione, noi viviamo nella promessa futura del medesimo premio. In lei l’assenza del peccato, di quel vuoto che trascina l’uomo verso il basso mutilandone le naturali aspirazioni, ha consentito una piena comunione con Dio. Ci appare di conseguenza come la più bella espressione di quella stessa spinta verso il divino, verso la grandezza, che tutti sentiamo insita nella nostra natura.

Se quindi la Solennità dell’Immacolata ci aiuta a ricordare a quale aspirazione umana la grazia divina intende dare seguito, indicandoci di conseguenza anche il luogo spirituale della nostra sospirata pace, dall’altro ci mostra la profondità della nostra miseria. Anche se a prima vista può sembrare crudele dover sostare alla presenza della propria deformità spirituale, prenderne atto è una conquista inestimabile. Troppo spesso infatti il delicato rapporto che intratteniamo con la nostra congenita ferita s’inclina disarmonicamente da una parte o dall’altra. Alcuni possono disperarsi, credendo troppo profondo quell’abisso perché anche Dio possa riempirlo; altri rischiano d’insuperbirsi, dimenticando che l’attuale umana grandezza, per quanto lucente, è sempre fondata su di una radicale imperfezione.

La tradizione filosofica greca, risalente a personaggi quasi leggendari come Talete, ha consegnato all’occidente la nota massima “conosci te stesso”; noi cristiani riconosciamo la saggezza di questo invito e lodiamo Dio per il dono di Maria Immacolata. Ella è per noi perfetto specchio, chiaro e lucente, nel quale scorgiamo lo splendore della divina luce che rifulgerà in noi e vediamo il riflesso di quella ferita purulenta che infetta la nostra umanità. Raggiungere una tale consapevolezza ci consente non solo di sperare con maggior intensità e fede, ma anche di vivere in umiltà la nostra natura, disponendoci così a meglio accogliere il Dono di Dio.

 

[1] Cf Blaise Pascal, Pensieri (trad. Ugo Bernasconi), Liberamente, Ariccia 2019, p. 23.

[2] Cf Giacomo Biffi, La Donna Ideale, ESD, Bologna 2007, p. 111.