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Essere “persona nella Chiesa”: il Battesimo (parte prima)

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Essere “persona nella Chiesa”: il Battesimo (parte prima)

 

Can. 96 - Mediante il battesimo l'uomo è incorporato alla Chiesa di Cristo e in essa è costituito persona, con i doveri e i diritti che ai cristiani, tenuta presente la loro condizione, sono propri, in quanto sono nella comunione ecclesiastica e purché non si frapponga una sanzione legittimamente inflitta.

 

La trattazione De personis (cann. 96-123) si apre con un canone molto denso di significati, sia teologici sia più strettamente giuridici, che riprende il can. 87 CIC 1917,[1] ma non ha un referente immediato nella legislazione anteriore.[2] Come ogni norma definitoria, pone al lettore molti più problemi di quanti – a prima vista – ne risolva, perché riesce comprensibile solo a chi conosca già, non solo la res definita, ma soprattutto il contesto in cui essa si inserisce. In questo caso, non è azzardato asserire che si richiede la conoscenza, almeno a grandi linee, di tutto l'ordinamento canonico nel suo complesso.

Un interrogativo, comunque, spicca sugli altri ed ha carattere centrale: in che senso si può dire che l'uomo “è costituito persona nella Chiesa” in forza del Battesimo? Mi permetto di dare per scontata una conoscenza minima del Sacramento battesimale, ai fini che ne occupano; del resto, qui rileva anzitutto un dato evidente dal testo stesso, cioè che, almeno in un certo senso, si afferma che l'uomo diventa persona in forza di qualcosa che gli accade dall'esterno, non di ciò che è o di qualità proprie. Ora, il termine “persona” conosce una molteplicità di accezioni filosofiche, prima ancora che giuridiche, e il suo impiego specialistico in ambito teologico, specialmente trinitario, non ha certo contribuito a semplificarne il campo semantico; tuttavia, la riflessione giusnaturalista, che tutti sanno quanta importanza abbia avuto e abbia nella storia della Chiesa (soprattutto nei secoli più recenti), ci ha abituati all'uso di “persona” come sinonimo di “uomo”, vocabolo riassuntivo degli attributi propri dell'essere umano in quanto tale; e allora, come spiegare questa formula legislativa?Anticipo, rispetto a considerazioni più complesso che riservo alla seconda parte, che persona indica qui il soggetto di diritto all'interno dell'ordinamento canonico e che il legislatore sta tracciando una linea di demarcazione: se in un certo senso gli uomini sono persone per il solo fatto di esistere, va però anche detto che l'ordinamento canonico si rivolge innanzitutto ai battezzati. Né in ciò è dato vedere una vera rottura con il iusnaturalismo filosofico, poiché, secondo il dato di Fede, il Battesimo non è soltanto un atto esteriore o simbolico, ma produce una trasformazione ontologica, un “uomo nuovo” (secondo la celebre espressione paolina) e dunque una nuova persona, concetto qui declinato in un senso propriamente giuridico. Si può pensare, per un parallelo abbastanza calzante, al diritto statale, che dedica un certo numero di norme agli stranieri, ma tratta soprattutto dei cittadini.

C'è tuttavia una differenza fondamentale, al riguardo, tra Stato e Chiesa: il potere dello Stato è territoriale e limitato per definizione; la Chiesa, invece, si reputa chiamata ad accogliere tutti gli uomini, senza eccezioni di sorta, cosicché ogni uomo è, in potenza, persona in Ecclesia. Non solo: poiché il comando “Andate e battezzate” è stato impartito da Cristo Stesso, si può ben sostenere che, in un certo senso, egli abbia conferito ai non-battezzati almeno un diritto verso l'autorità ecclesiastica, quello di chiedere il Battesimo o, almeno, che si accerti se essi sono disposti a riceverlo (e li si prepari se ancora non lo sono). Come si concilia ciò con quanto appena detto circa le implicazioni del sintagma persona in Ecclesia? In particolare, che differenza c'è tra il non-battezzato (che la tradizione canonica chiama anche infidelis, dato che in genere non ha, oltre al Battesimo, nemmeno la Fede cristiana)[3] e il fedele laico cattolico, considerato che, secondo il can. 682 CIC17, “Laici ius habent recipiendi a clero, ad normam ecclesiasticae disciplinae, spiritualia bona et potissimum adiumenta ad salutem necessaria.”? Dopotutto, non si può certo dire che questo sia un diritto dei laici ad esclusione del clero! Sarà dunque, semmai, un diritto dei fedeli in quanto tali ai mezzi di salvezza. E allora torna la domanda di prima: non hanno forse questo diritto anche gli infedeli, sia pure con l'ovvia differenza che debbono ricevere il Battesimo prima degli altri Sacramenti? La posizione fondamentale non è forse la stessa?

Vi sono certamente alcuni presupposti indefettibili il cui carattere fondativo è certo ed evidente: la causa finale dell'esistenza terrena è ultraterrena e consiste nella beatitudine eterna, la visione di Dio; tuttavia, l'uomo non vi può pervenire con le sue forze naturali e necessita di uno speciale aiuto divino, la Grazia; dopo l'avvento di Cristo, esiste un insieme di mezzi per conseguire la Grazia, e quindi la beatitudine alias (sotto altro punto di vista) la salvezza eterna, insieme che è affidato alla gestione della Chiesa; di qui l'assioma Extra Ecclesiam nulla salus. Tralasciamo il problema teologico di come possa salvarsi chi non è stato battezzato e quindi, nel senso dell'assioma stesso, si dovrebbe considerare extra Ecclesiam: sta di fatto che tutti, battezzati o meno, hanno bisogno dei mezzi di salvezza, i primi ne hanno semplicemente già ricevuto uno, che mette in grado di ricevere gli altri. Insieme con esso, peraltro, dovrebbero aver ricevuto anche la Fede... e qui si apre un altro problema, la posizione giuridica canonica dei battezzati non cattolici. Ma, in questa sede, voglio concentrarmi sui soli non-battezzati, perché la comprensione del loro status in ambito canonico aprirà la via alla soluzione di problemi più complessi.

Poiché il can. 87 CIC 17 ricollegava chiaramente al Battesimo l'acquisto di una soggettività giuridica nella Chiesa (homo... constituitur persona),[4] con annessi diritti e doveri, estendendo oltretutto in automatico – perlomeno in linea di principio[5] – anche ai battezzati acattolici la soggezione alle leggi meramente ecclesiastiche, dunque di origine umana (cfr. can. 12), nei primi decenni di vigenza l'interpretazione più comune del canone era a contrario ed escludeva qualsiasi titolarità di diritti o doveri in ambito canonico per i non battezzati.[6] Con una pesante ipoteca sulla possibile rilevanza, per la Chiesa e nella Chiesa, dei diritti umani come tali.

Nel 1942, tuttavia, sopraggiunse la diversa lettura di Ciprotti,[7] che, rilevato che numerosi canoni del CIC 17 attribuivano di fatto facoltà ai non battezzati,[8] reinterpretava il can. 87 come norma attributiva della diversa e più ristretta qualifica di membrum Ecclesiae[9] (che tradizionalmente, però, e anche in atti del Magistero solenne, è negata ai battezzati acattolici, sicché la tesi è parsa problematica a molti).[10] Analogamente, in seguito, Lombardía, che ha preferito evocare la titolarità effettiva dei diritti e doveri del cristiano.[11] Ma, per influsso del ricordato clima postbellico, in genere si è ragionato in termini di recepimento pieno (e non solo nei casi previsti dal Codice) della personalità di diritto naturale. Così, ad es., Onclin, deciso fautore della titolarità di diritti naturali e civili “Quae […] Ecclesia agnoscit immo et agnoscere debet”, ma con una radicale incapacità a diritti e obblighi propri dell'ordinamento canonico.[12]

Nello stesso periodo, de Luca giunge, per primo, a parlare di “diritti fondamentali dell'uomo nell'ordinamento canonico”,[13] il quale è “tutto [...] basato sulla premessa che gli uomini sono dei centri di interessi che lo stesso ordinamento tutela come interessi, appunto, degli uomini uti singuli.”.[14] Attesta l'accennato flusso dal sistema “diritti fondamentali” ONU e CEDU;[15] rileva la novità del discorso tra i canonisti, ma reputa che l'ordinamento canonico, in quanto comprende tutto quanto il diritto naturale, sia in realtà quello che di tali diritti “offre la più completa e la più perfetta regolamentazione”, facendone il “primo nucleo” dei diritti pubblici soggettivi,[16] perché si tratta dei mezzi accordati da Dio all'uomo perché assolva all'esigenza Bonum faciendum, malum vitandum. Ciò li rende inviolabili, al punto di farne un “limite ai poteri della stessa Chiesa”; nonché “il fondamento di tutto l'ordinamento canonico”.[17] In quanto diritti della persona, hanno anche un contenuto positivo (e qui si nota almeno l'affinità negli esiti con Maritain): si pensi, in primo luogo, al diritto alla vita fin dal concepimento,[18] ma anche all'integrità fisica (divieto di mutilatio membrorum), alla libertà di locomozione e soggiorno,[19] al diritto di associazione,[20] di manifestare il proprio pensiero,[21] aderire alla vera religione, esercitare un'attività professionale,[22] sposarsi. Tali diritti possono esser limitati solo dallo stesso ius divinum che il pone e ne ha precisati i termini in modo che restino sempre strumenti congrui rispetto al fine ultimo;[23] ogni indebita estensione sarebbe un male, al pari di ogni violazione.[24]

La linea di de Luca ha sostanzialmente finito per imporsi. Bisogna dunque concludere che, nonostante ciò che potrebbe far pensare la lettera del can. 96, esiste un certo numero di casi in cui la semplice capacità giuridica naturale rileva anche per l'ordinamento canonico, tant'è vero che oggi il can. 1476 riconosce espressamente che il diritto di azione spetta sia ai battezzati sia ai non battezzati; saranno però diverse le situazioni giuridiche tutelabili, rispetto a cui la soggettività dell'infidelis è comunque un'eccezione che deve desumersi o dalla legge o ex natura rei, tenuto presente l'insegnamento della Chiesa rispetto alla realtà concretamente in gioco. Per contro, è suo e soltanto suo l'interesse giuridicamente tutelato (se non si vuol dire “diritto”) a ricevere il proimo annuncio del Vangelo, la catechesi preparatoria al Battesimo e, ovviamente, il Battesimo stesso: si tratta di un diritto individuale, ma anche collettivo, e i sovrani che un tempo chiedevano al Papa l'invio di missionari lo stavano esercitando nel nome e nell'interesse di tutto il popolo loro affidato, sebbene forse non ragionassero in certi termini. Oggi, una richiesta del genere – sempre attuale di per sé - non proverrebbe forse più dalle autorità statali; ma nulla vieta e, anzi, molto suggerisce che essa sia formulata da una comunità o, comunque, da più persone associate: questo è un diritto naturale, circa il cui rilievo in Ecclesia si pongono, peraltro, problemi non dissimili da quelli appena visti, e associandosi gli interessati rendono più agevole ovviare ai problemi pratici dello stabilimento della missione. Abbiamo, quindi, una capacità che risulta dall'insieme di quella comune a tutti gli omini, nei casi in cui l'ordinamento canonico (con norma di diritto divino o di diritto umano) la ritiene rilevante, ma anche una capacità specifica di ordine sovrannaturale, che deriva dal trovarsi “in potenza” rispetto al Battesimo e riguarda gli atti necessari per passare dalla potenza all'atto. Vedremo nella prossima parte la diversa situazione dei battezzati acattolici e la problematica espressione “membri della Chiesa”.

 

[1]    “Baptismate homo constituitur in Ecclesia Christi persona cum omnibus christianorum iuribus et officiis, nisi, ad iura quod attinet, obstet obex, ecclesiasticam communionem impediens, vel lata ab Ecclesia censura.”.

[2]    L'apparato dei fontes al CIC17, infatti, richiama una congerie di documenti dal Decretum in avanti; ma l'espressione “constituitur in Ecclesia Christi persona” è, quantomeno, un'interpretazione più che una sintesi di ciò che dovrebbe essere il loro tenore complessivo e convergente.

[3]    Chi ha già abbracciato la Fede ma ancora deve ricevere il Battesimo prende il nome di catecumeno, in quanto destinatario per antonomasia della catechesi.

[4]    Il termine persona ha suscitato controversie: per G. Forchielli, Precisazioni sul concetto di “persona” nel diritto canonico, in Acta Congressus Internationalis Iuris Canonici. Romae 25-30 Septembris 1950, Roma 1953, pagg. 127-9, è estraneo alla tradizione canonica e va inteso come il tradizionale subditus; contra, A. Gomez de Ayala, Il “soggetto” nella nuova codificazione canonica – Qualificazione dell'accordo fra Stato e S. Sede. Spunti e suggerimenti, Milano 1985, pagg. 29-35, 37-42 (utile anche per la disamina di tutto il dibattito precedente, cfr. ampliius pagg. 13-74), secondo cui proprio la canonistica, sia pur lavorando sulla persona giuridica, ha spinto il concetto a quel livello di astrazione che poi ne ha consentita l'applicazione indifferenziata a uomini ed enti, ravvisata in nuce già nello stesso Sinibaldo Fieschi (ben prima che Pufendorf generalizzasse persona moralis) e comunque recepita dai canonisti immediatamente anteriori al CIC 17; inoltre, l'impiego di persona può indicar la volontà di accostarsi ad un piano teologico. Per J. Bernal Pascual, Persona in iure canonico (la personalidad física o la dimensión técnico-canónica de la subjetividad en el pensamiento de Pedro Lombardía), in Fidelium Iura 8 (1998), pagg. 41-3 (e cfr. amplius tutto il §VI), si è trattato di un flusso (“definición [...] tomada de los civilistas”) dovuto all'amore per le definizioni introduttive.

[5]    Per le possibili eccezioni, cfr. M. da Casola, Compendio di Diritto Canonico, Genova 1967, pag. 68. Inoltre, Suprema Sacra Congregazione del Sant'Uffizio, Responsum ad propositum dubium, 27 gennaio 1928, in AAS 20 (1928) 75, escludeva che potesse agire in causa matrimoniale “acatholicus, sive baptizatus sive non baptizatus […] ad normam can. 87”, a meno che non sussistessero “speciales rationes” per ammetterlo (vien da pensare ai matrimoni misti), però con rescritto della Suprema.

[6]    Cfr. i riferimenti ibid., pag. 18 nt. 5, nonché infra nel testo. Si segnala in particolare, perché apparso contestualmente all'articolo di Ciprotti, M. Petroncelli, I soggetti dell'ordinamento canonico, in Il diritto ecclesiastico 53 (1942), pagg. 276-82, secondo cui il modo di acquisizione della personalità giuridica è sempre determinato positivamente da ogni determinato ordinamento. Ancora alla vigilia del nuovo CIC, J. Gaudemet, La condition..., cit., pag. 649, ritiene che il can. 87 postuli una rigorosa interpretazione a contrario.

[7]    Cfr. P. Ciprotti, Personalità e battesimo nel diritto della Chiesa, in Il diritto ecclesiastico 53 (1942), pagg. 273-5, in particolare pag. 274: “Esso [can. 87] deve essere inteso non nel senso che gl'infedeli non sono personae, bensì che essi non sono in Ecclesia, ma sono perciò personae extra Ecclesiam; e inoltre che mentre chi non ha battesimo non ha omnia christianorum iura et officia, il battezzato ha omnia christianorum iura et officia nisi etc...”. La tesi ha successivamente guadagnato l'adesione di Bender, Feliciani e Gismondi, che svolge un raffronto con lo straniero nell'ordinamento statale: “i non battezzati si presentano, di fronte all'ordinamento della Chiesa, quali stranieri e, perciò, come persone giuridicamente capaci ma privi della condizione necessaria per avere il pieno godimento di tutti i diritti.”. P. Gismondi, Gli acattolici nel diritto della Chiesa, in Ephemerides iuris canonici 2 (1946), pag. 248.

[8]    A parte il rilievo delle loro nozze anche per il diritto canonico, la dispensa dall'impedimento di mista religione lascia soggetto alla iurisdictio Ecclesiae anche il matrimonio misto e accorda specifico rilievo agli impegni del coniuge non battezzato; l'infedele ha capacità di stipulare contratti con le persone morali ecclesiastiche (cfr. P. Ciprotti, Personalità e battesimo..., cit., pag. 274); manca una proibizione esplicita di agire in giudizio nel foro canonico (cfr. can. 1646 CIC 17); può testimoniare nei processi di beatificazione e canonizzazione (can. 2027 §1) od ottenere rescritti (cfr. can. 36 §1). E battezzare validamente, agendo quindi in persona Christi et Ecclesiae (can. 742): le altre disposizioni possono spiegarsi come un'eccezionale rilevanza della semplice soggettività di diritto naturale (così spec. G. Michiels, Principia generalia de personis in Ecclesia, Parigi-Tournai-Roma 1955, pagg. 17-8), ma questa attiene al divino positivo, è specifica dell'ordinamento canonico in quanto tale. M. Petroncelli, I soggetti..., cit., pag. 282, risolve la difficoltà viene da lui risolta col ”dire che l'infedele compie l'atto solo materialmente, ma la volontà è della Chiesa” (così pure A. Criscito, Osservazioni sulla personalità nell'ordinamento canonico, in Il diritto ecclesiastico 54 [1943], pagg. 27-9). Ma la validità del Sacramento richiede che il ministro voglia fare ciò che fa la Chiesa.

[9]    La capacità è un minimo indispensabile: “Gli uomini che, in un dato ordinamento positivo, abbiano almeno le qualità necessarie per essere capaci a qualche rapporto giuridico, sono persone (fisiche); e di essi si dice che hanno la personalità o anche la personalità giuridica. [...E'] la capacità che è posseduta dal maggior numero possibile di uomini, anche cioè da quelli che sono incapaci al maggior numero possibile di situazioni o di atti”. P. Ciprotti, Personalità e battesimo..., cit., pag. 273. Si ricollega alla nascita, ma “il diritto canonico ammette che anche il feto prima della nascita, purché vivente, ossia animato, possa esser soggetto di una situazione giuridica [...], si deve conseguentemente considerare persona anche il feto, non appena esso abbia l'anima; in modo cioè da considerare persona ogni corpo informato da anima umana.” (pag. 275).

[10]  Cfr. A. Gomez de Ayala, Il “soggetto” …, cit., pagg. 20-3, 37-42. “Ammessa la configurabilità di una sola nozione di [membrum Ecclesiae], fondata, appunto, sul concetto di “unitas fidei et regiminis”, il legislatore canonico del XX Secolo con perfetta proprietà ha limitato l'effetto del battesimo alla creazione della sola qualità di “persona”, dissociandola da quella di “membro””, come la potenza dall'atto (pag. 41).

[11]  Cfr. P. Lombardía, Derecho divino y persona física en el ordenamiento canónico, in Temis 7 (1960), pagg. 187-203, e, per una sintesi degli sviluppi successivi del suo pensiero, J. Bernal Pascual, Persona in iure canonico, cit. Contra, A. Gomez de Ayala, Il “soggetto” …, cit., pag. 23, che rileva nel can. 87 «la significativa precisazione “cum omnibus christianorum iuribus et officiis”. Non può darsi, infatti, senza contraddizione la titolarità effettiva di tutte le situazioni giuridiche soggettive attive e passive». Il can. resta sul piano astratto, della potenzialità o, appunto, capacità (a conferma anche la diversa redazione del can. 16 di Pio XII, Motu Proprio Cleri sanctitati sui riti orientali e le persone, per le Chiese Orientali, 11 giugno 1957, in AAS 49 [1957], 433-600).

[12]  Cfr. W. Onclin, De donationibus aut largitionibus ad causas pias a non Catholicis factas, in Pontificia Università Gregoriana (cur.), Questioni attuali..., cit., pag. 194.

[13]  L. de Luca, I diritti…, cit., in Id., Scritti..., pagg. 177-92, apparso originariamente nel 1952, già nel titolo è sintomatico di un clima nuovo e di un nuovo approccio ai problemi. La sua riflessione prende le mosse proprio dal fatto che la Chiesa «ripetutamente riafferma l'esistenza di alcuni diritti inviolabili dell'uomo – considerato proprio come singolo – di fronte allo strapotere statuale» (ivi, pag. 177), sicché sembra assurdo che possa, poi, non riconoscere alcun diritto al singolo nel Suo stesso ordinamento, come vorrebbe Fedele.

[14]  Ibid., pag. 178.

[15]  Cfr. ivi, pagg. 178-9. In pari tempo, egli si richiama costantemente ai moralisti (cfr., ad es., pagg. 182-3 e 185 nt. 13); ma ciò conferma la percezione di comunanza, necessaria perché il flusso possa instaurarsi.

[16]  Cfr. ibid., pagg. 179-80. Non trovano spazio, in ambito canonico, le teorie dei diritti fondamentali ispirate alla sovranità popolare né tantomeno quelle che li riducono a concessioni dell'autorità (pagg. 181-2).

[17]  Ibid., pag. 183. Egli circoscrive esplicitamente la trattazione ai soli diritti naturali (ivi, pag. 184). Ogni atto ad essi contrario sarebbe irrationabilis (pag. 183) e farebbe sorgere l'azione per danni (pag. 186). Il nesso col fine ultimo li rende “indisponibili, intrasmissibili e imprescrittibili” (ibid.).

[18]  Il divieto del suicidio (e del duello), penalmente sanzionato, non esclude che si tratti di diritto, ma solo la disponibilità di esso; e, come detto, i diritti fondamentali sono indisponibili (cfr. ibid., pagg. 186-8). Il concepito “è tutelat[o] al punto che non è lecito sopprimere volontariamente il feto neanche per salvare la madre da morte certa (can. 2350 §1).” (ivi, pag. 188).

[19]  Cfr. ibid., pag. 189: la scelta del domicilio, salvi gli obblighi di stato e d'ufficio, è libera.

[20]  Che, per de Luca (bid.), è tutelato - “nel suo aspetto negativo” - dalla scomunica comminata dal can. 2352 contro chi costringa altri “ad religionem ingrediendam vel ad emittendam religiosam professionem”; ma mi sembra che dallo stesso tenore letterale del canone si desuma piuttosto la tutela della libertà nella scelta dello stato di vita, dove, più che l'aspetto associativo qua talis, rileva il carattere pubblico di impegni assunti coram Ecclesia.

[21]  Con i limiti della “previa censura di libri, proibizione di certi libri, divieto di difendere privatamente o pubblicamente dottrine condannate dalla Chiesa” (ibid., pag. 192).

[22]  Tutelato, secondo l'A., dalle disposizioni contro chi costringe taluno ad abbracciare (o a non abbracciare, se vi è idoneo) lo stato clericale, nonché dal can. 1436 CIC 17, che vietava il conferimento di un beneficio “clerico invito et expresse non acceptanti”. Cfr. ibid., pagg. 189-90.

[23]  Onde esso vieta di aderire ad una religione che non sia la vera e fonda gli impedimenti di cultus disparitas e mista religione: cfr. ibid., pag. 191.

[24]  Cfr. ibid., pagg. 190-2.